Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27128 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27128 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 9174-2011 proposto da:
FEMINELLA

DOTTOR

GIANLUIGI

FMNGLG65B25E919N,

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato CALDERANO BIAGIO,
giusta delega in atti;

– ricorrente –

2013
2708

contro

AZIENDA OSPEDALIERA REGIONALE “OSPEDALE SAN CARLO DI
POTENZA” C.F. 01186830764, in persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata

Data pubblicazione: 04/12/2013

in

ROMA,

VIA

COSSERIA

2,

presso

lo

studio

dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVIA GIOVANNI, giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 305/2010 della CORTE D’APPELLO
di POTENZA, depositata il 10/06/2010 r.g.n. 577/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/09/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato CALDERANO BIAGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del primo motivo, accoglimento secondo
motivo, assorbiti gli altri.

DE COSTANZO GIOVANNI;

R.G. 9174/2011
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 841/2008 il Giudice del lavoro del Tribunale di Potenza,
in parziale accoglimento del ricorso proposto da Gianluigi Feminella in data 8-

Potenza, dichiarava l’illegittimità del licenziamento da quest’ultima intimato e
condannava la convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di
euro 33.254,88, a titolo di indennità di mancato preavviso, oltre interessi dal
dovuto al saldo.
Con il suddetto ricorso il Feminella, dirigente medico di I livello presso
l’U.O. di Ostetricia e Ginecologia del detto Ospedale dal 14-1-2002, aveva
esposto: che nel giugno 2005 aveva avanzato all’Ufficio del Personale richiesta
di aspettativa per sei mesi (dal 16-7-2005 al 15-1-2006), avendo ricevuto
incarico a tempo determinato presso l’Ospedale Cristo Re di Roma; che,
invitato a riprendere servizio con telegramma del 21-7-2005, egli aveva
chiarito la propria posizione con racc. del 27-7-2005, giustificando la domanda
per i motivi di studio e aggiornamento scientifico specificati; che, dopo un
telegramma di risposta negativa ed un nuovo invito a riprendere servizio, aveva
ricevuto comunicazione del diniego dell’aspettativa (per essere l’Ospedale
Cristo Re di natura privata – nota del 18-7-2005 -) e della contestazione
dell’addebito (nota dell’1-8-2005), con invito a comparire per 1’8-8-2005 per
rispondere di “assenza dal lavoro nonostante il diniego dell’aspettativa;
ritardata e telegrafica risposta del 27-7-2005; inconferente e pretestuosa
equiparazione dell’Ospedale Cristo Re ad una struttura pubblica; gravità del
comportamento; cumulo di impieghi”; che egli era comparso ed aveva
I

3-2007 nei confronti dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale San Carlo” di

presentato memoria difensiva; che in data 19-8-2005 l’azienda aveva
comunicato al Comitato dei Garanti di ritenere infondate le difese e chiesto il
parere sulla risoluzione del contratto; che in data 19-9-2005 il D.G.
Cannizzaro, nel corso di una riunione con oltre 10 medici, aveva annunciato il

gli era pervenuta comunicazione del dirigente Franzese con allegato il
provvedimento del 7-10-2005 con cui l’Azienda aveva deliberato di recedere
dal rapporto.
Tanto premesso, il Feminella aveva chiesto la declaratoria di illegittimità
del licenziamento e la condanna dell’Azienda convenuta al pagamento delle
somme determinate come da conteggi effettuati con riferimento all’intero
rapporto (e relativi a festività e ferie non godute, indennità di mancato
preavviso, TFR, danni non patrimoniali) oltre al risarcimento dei danni
esistenziali.
Con la sentenza di primo grado il giudice adito riteneva che, pur essendo
acclarata la legittimità della scelta di risolvere il rapporto, il recesso era viziato
sul piano formale, essendo stato irrogato dal Direttore Generale anziché
dall’Ufficio Procedimenti Disciplinari (ex art. 55 d.lgs. n. 165/2001), e
condannava l’Azienda al pagamento dell’indennità di mancato preavviso,
quantificata dal CTU, respingendo tutte le altre richieste.
Avverso tale sentenza l’Azienda Ospedaliera “Ospedale San Carlo” di
Potenza proponeva appello chiedendone la riforma con il rigetto integrale della
domanda di controparte. Il Feminella si costituiva chiedendo il rigetto
dell’appello principale e proponendo appello incidentale per i seguenti motivi:
1) difetto di rappresentanza in giudizio, difetto di legittimazione passiva in
2

suo licenziamento, con notizia giunta alla stampa; che solo successivamente

primo grado e attiva in grado d’appello — omessa pronuncia circa la
dichiarazione di contumacia — inammissibilità dell’appello; 2) vizio
procedimentale – contestazione addebito; 3) illegittimità del diniego

ma

dell’aspettativa; 4) vizio di motivazione nella negazione dei danni non

festività non godute — vizio di motivazione; 6) divieto di cumulo di interessi e
rivalutazione; 7) illegittimità del licenziamento irrogato da organo
incompetente — riforma della sentenza sul punto errore formale.
La Corte d’Appello di Potenza, con sentenza depositata il 10-6-2010, in
accoglimento dell’appello principale rigettava la domanda proposta dal
Feminella e condannava quest’ultimo a restituire all’Azienda le somme da
questa corrisposte in esecuzione della sentenza appellata oltre interessi legali
dalla data del pagamento al soddisfo; rigettava altresì l’appello incidentale e
condannava il Feminella al rimborso in favore di controparte di due terzi delle
spese del doppio grado, compensandone il residuo terzo.
In sintesi la Corte territoriale, esclusa preliminarmente la sussistenza di
alcun vizio di rappresentanza in giudizio dell’azienda e premessa la distinzione
tra responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare, affermava che
mentre l’art. 55 comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001 è una norma generale e si
applica a tutto il personale non dirigenziale, l’art. 21 dello stesso d.lgs. è una
norma speciale applicabile solo al ruolo dirigenziale, con la conseguenza che,
dovendo farsi riferimento per la responsabilità disciplinare alla disciplina
collettiva applicabile

ratione temporis, nella fattispecie sussisteva la

competenza del Direttore Generale con la sola necessità dell’acquisizione del
previo parere del Comitato dei Garanti.
3

patrimoniali, circa diritto riservatezza, licenziamento e mobbing; 5) ferie e

La Corte di merito riteneva inoltre legittimo anche sul piano sostanziale il
provvedimento adottato dall’azienda, posto che un giudizio di ingiustificatezza
del diniego della stessa giammai avrebbe potuto avere effetti sananti rispetto ad
un comportamento tenuto dal dipendente e sostanziatosi in una consapevole

alle determinazioni aziendali (non incidendo peraltro sulla regolarità del
procedimento disciplinare la circostanza della contemporanea ricezione da
parte del Feminella sia del diniego dell’aspettativa sia della contestazione
dell’addebito) e confermava, infine, il rigetto delle pretese risarcitorie relative
all’asserita situazione di mobbing e al dedotto mancato godimento di ferie e
festività, in mancanza di relative allegazioni e prove.
Per la cassazione di tale sentenza il Feminella ha proposto ricorso con
sette motivi.
L’Azienda Ospedaliera “Ospedale san Carlo” di Potenza ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando difetto di rappresentanza
processuale e di jus postulandi, carenza di legittimazione passiva in primo
grado ed attiva in appello, con conseguente inammissibilità dell’appello e
nullità della sentenza, deduce che l’avv. Giovanni Salvia si è avvalso in
appello, come già in prime cure, di un mandato conferitogli con delibera del
11-9-2007, avente il suo presupposto in una delega che il dott. Cannizzaro,
direttore generale, ebbe a conferire al direttore amministrativo con atto del 108-2004, perché lo sostituisse in caso di assenza e di impedimento, ed, invece,
azionata per la costituzione nel giudizio di primo grado (comparsa depositata il
4

sottrazione agli obblighi di prestazione lavorativa, in totale indifferenza rispetto

29-9-2007), quando il dott. Cannizzaro era già dimissionario e l’Azienda era
vacante (dal 21-5-2007), in violazione dell’art.. 3 bis comma 2 del d.lgs n.
502/1992 (che prevede la nomina del nuovo direttore generale nel termine
perentorio di 60 giorni, scaduto il quale bisogna nominare un commissario ad

In sostanza il ricorrente, come già eccepito davanti ai giudici di merito,
ribadisce che l’Azienda ha agito in nome di un direttore generale già
dimissionario e perciò non più suo legale rappresentante.
Il motivo è infondato.
Come già rilevato dalla Corte territoriale, il mandato difensivo in favore
dell’avv. Giovanni Salvia (a margine della costituzione di primo grado) è stato
conferito dal dott. Grieco, che rivestiva, in ragione delle intervenute dimissioni
del dott. Cannizzaro, le funzioni di direttore generale in quanto già individuato
ex art. 10, comma, 10 della 1.r. n. 1857 del 2004 (giusta delibera della Giunta
Regionale n. 758 del 21-5-2007).
La legittimazione del dott. Grieco a rappresentare l’Azienda ed a conferire
il mandato, in base alla quale la stessa si è costituita in giudizio ed ha proposto
appello, ha trovato, quindi, fondamento innanzitutto nell’atto deliberativo della
Giunta Regionale prodotto in giudizio.
Del resto, nella fattispecie, neppure poteva trovare applicazione l’art. 3 bis
del d.lgs. n. 502/1992 (invocato in questa sede dal Feminella), riferendosi tale
norma alla ipotesi di vacanza dell’ufficio, mentre nel caso in esame la Giunta
Regionale aveva immediatamente disposto, con la citata delibera, l’attribuzione
delle funzioni di Direttore Generale al dott. Rubino Grieco, già direttore
amministrativo, senza soluzione di continuità e fino a nuova nomina.
5

acta).

Con il secondo motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella
parte in cui ha ritenuto di accogliere la tesi dell’Azienda circa la non
applicabilità ai dirigenti della disposizione di cui all’art. 55 comma 4 del d.lgs.
n. 165/200, e, posto che mentre tale disposizione “è una norma generale e si

norma speciale applicabile solo . al ruolo dirigenziale”, ha affermato che “in
sostanza, se può ipotizzarsi come legittimo che la contrattazione collettiva
relativa ai dirigenti preveda, per l’ipotesi di responsabilità disciplinare, la stessa
procedura prevista per i dipendenti del citato art. 55 co. 4, non è di contro,
illegittimo che, nella medesima sede, si preveda una disciplina diversa,
prescindendo dalla previsioni di cui al citato art. 55 co.4”.
Al riguardo il ricorrente deduce che, fatta salva l’applicazione del citato
art. 21 per l’ipotesi di “responsabilità dirigenziale”, a tutti i procedimenti
disciplinari concernenti la “responsabilità disciplinare” di cui all’art. 55,
doveva applicarsi, anche per i dirigenti, la relativa disciplina di legge,
inderogabile da parte della contrattazione collettiva, in relazione alla
competenza dell’ufficio competente per i procedimenti disciplinari (u.c.p.d.).
Il motivo è fondato come di seguito.
Innanzitutto va precisato che nella fattispecie deve farsi riferimento alla
disciplina di legge dell’epoca (artt. 21 e 55 d.lgs. 165/2001, nel testo vigente
nel periodo luglio/ottobre 2005, anteriore alle modifiche successive ed in
specie alla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2009).
L’art. 55 così disponeva: “Sanzioni disciplinari e responsabilità (Art.59
del d.lgs n.29 del 1993, come sostituito dall’art.27 del d.lgs n.546 del 1993
e successivamente modificato dall’art.2 del decreto legge n.361 del 1995,
6

applica a tutto il personale non dirigenziale”, l’art. 21 dello stesso d.lgs. “è una

convertito con modificazioni dalla legge n.437 del 1995, nonché dall’art.27,
comma 2 e dall’art.45, comma 16 del d.lgs n.80 del 1998)
I. Per i dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, resta ferma la disciplina
attualmente vigente in materia di responsabilita’ civile, amministrativa, penale

2. Ai dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, si applicano l’articolo 2106
del codice civile e l’articolo 7, commi primo, quinto e ottavo, della legge 20
maggio 1970, n. 300.
3. Salvo quanto previsto dagli articoli 21 e 53, comma 1, e ferma restando la
definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici
di comportamento di cui all’articolo 54, la tipologia delle infrazioni e
delle relative sanzioni e’ definita dai contratti collettivi.
4. Ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua
l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari. Tale ufficio,

su

segnalazione del capo della struttura in cui il dipendente lavora, contesta
l’addebito al dipendente medesimo, istruisce il procedimento disciplinare e
applica la sanzione. Quando
le sanzioni da applicare siano rimprovero verbale e censura, il capo
della struttura in cui il dipendente lavora provvede direttamente.

5

33

L’Art. 21, dal canto suo, all’epoca così stabiliva:
“Responsabilita’ dirigenziale (Art. 21, commi 1, 2 e 5 del d.lgs. n. 29 del 1993,
come sostituiti prima dall’art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1993 e poi dall’art. 14 del
d.lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificati dall’art. 7 del d.lgs. n. 387
del 1998)
7

e contabile per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

1.

Il

mancato

raggiungimento

degli

obiettivi,

ovvero

l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, valutati con i sistemi e le

Via

garanzie di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286,
comportano, ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo

dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi,
l’amministrazione può, inoltre, revocare l’incarico collocando il dirigente a
disposizione dei ruoli di cui all’articolo 23, ovvero recedere dal rapporto di
lavoro secondo le disposizioni del contratto
collettivo. ….” (comma così sostituito dall’art. 3, comma 2, lettera a) della
legge n. 145 del 2002, poi ulteriormente sostituito nel 2009).
Con riferimento, quindi, a tale disciplina vigente ratione temporis, nella
“responsabilità disciplinare”, scaturente in generale dalla violazione dei doveri
del dipendente pubblico privatizzato è competente (salvo che per il rimprovero
verbale e la censura) l’u.c.p.d. e la “tipologia delle infrazioni e delle relative
sanzioni è definita dai contratti collettivi”, mentre per la “responsabilità
dirigenziale”, caratterizzata dal “mancato raggiungimento degli obiettivi”
ovvero “dall’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente”,
l’amministrazione “può recedere dal rapporto secondo le disposizioni del
contratto collettivo” (e i provvedimenti di cui all’art. 21, comma 1, “sono
adottati previo conforme parere di un comitato di garanti” – v. successivo art.
22-).
La differenza intrinseca tra le due responsabilità si riflette quindi sulla
competenza, sulla disciplina relativa al procedimento e alle sanzioni e
sull’ambito del ruolo della contrattazione collettiva.
8

la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilita’ di rinnovo

Orbene, come è stato affermato da questa Corte, “in tema di rapporto di
lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 59,
quarto comma, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, trasfuso nell’art. 55 del
D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono

(u.c.p.d.), il quale è anche l’organo competente alla irrogazione delle sanzioni
disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura. Ne consegue
che il procedimento instaurato da un soggetto o organo diverso dal predetto
ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione
irrogata è, in tale caso, affetta da nullità, risolvendosi in un provvedimento
adottato in violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza; ne’ la
previsione legislativa è suscettibile di deroga ad opera della contrattazione
collettiva, sia per l’operatività del principio gerarchico delle fonti, sia perché il
terzo comma dell’art. 59 cit. attribuisce alla contrattazione collettiva solo la
possibilità di definire la tipologia e l’entità delle sanzioni e non anche quella di
individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento
disciplinare.” (v. Cass. 5-2-2004 n. 2168, in una fattispecie riguardante proprio
un licenziamento di un dirigente sanitario di primo livello; nello stesso senso v.
anche Cass. 30-9-2009 n. 20981, in una fattispecie di licenziamento di direttore
generale di un Comune).
Nel contempo questa Corte ha anche precisato che “nel pubblico impiego
contrattualizzato, trova applicazione anche con riferimento alla dirigenza
sanitaria il principio di cui all’art. 55 del d.lgs. 165 del 2001, secondo il quale
tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente
dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l’organo
9

svolte esclusivamente dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari

competente all’irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del
rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento

oa

instaurato da un soggetto diverso al predetto ufficio è illegittimo e la sanzione è
affetta da nullità, restando altresì escluso l’intervento nel procedimento del

dirigenziale” (v. Cass. 17-6-2010 n. 14628). Del resto proprio in base alla
diversità della natura intrinseca della responsabilità disciplinare (che concerne
le condotte realizzate in violazione di singoli doveri) rispetto alla natura
intrinseca della responsabilità dirigenziale (che riguarda le sole ipotesi di
responsabilità gestionale per il mancato raggiungimento degli obbiettivi
nell’attività amministrativa e di grave inosservanza delle direttive impartite
dall’organo competente a ciò preposto), è stata da questa Corte affermata la
necessità del previo conforme parere del comitato dei garanti (v. Cass. 8-42010 n. 8329, Cass. n. 14628/2010 cit., Cass. 14-9-2011 n. 18769, cfr. già
Cass. 2-2-2007 n. 3929).
Tali principi vanno qui riaffermati, precisandosi (sempre con riferimento
alla normativa nella fattispecie applicabile ratione temporis) che allorquando
l’amministrazione fa valere ragioni intrinseche di responsabilità disciplinare e
non di responsabilità dirigenziale, anche per i dirigenti non può che trovare
applicazione la disciplina generale di cui all’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001
(nel testo all’epoca vigente) e non anche quella di cui all’art. 21 dello stesso
d.lgs..
Orbene la sentenza impugnata, pur rilevando che “nello specifico, la
contestazione di addebito (consistente nella violazione dello specifico dovere
di rendere la prestazione – ingiustificata e protratta assenza dal lavoro -, nella
10

comitato dei garanti, che è previsto per il diverso caso della responsabilità

manifesta insubordinazione, nell’essersi il Feminella consapevolmente posto in
una posizione di incompatibilità) ha un contenuto evidentemente disciplinare”,
disapplicando in concreto i suddetti principi e con un evidente salto logico, ha
affermato che “ai sensi dunque, di quanto previsto dal citato art. 21 occorre far

collettivo” ed ha ritenuto inapplicabile l’art. 55 del d.lgs. n. 165/2001, non
evincendosi nel contratto stesso alcun richiamo a tale procedura.
A tale riguardo va rilevato che la ratio sottesa al citato art. 55 vada
individuata nell’esigenza di assoggettare ai medesimi organi disciplinari
l’esame della condotta di tutti coloro — e quindi anche dei dirigenti — cui
vengono contestati addebiti che, in ragione della natura subordinata del loro
rapporto lavorativo, configurano un inadempimento agli obblighi scaturenti da
detti rapporti, con esclusione quindi di quelle condotte che necessitano invece
di giudizi che richiedono differenti criteri valutativi per avere ad oggetto non la
configurabilità della responsabilità disciplinare dei dirigenti ma la
responsabilità scaturente da un esercizio dei loro poteri del tutto inadeguato
rispetto alla rilevanza delle funzioni ad essi attribuite.
In tali sensi va quindi accolto il secondo motivo, restando assorbiti tutti gli
altri motivi, riguardanti questioni successive in ordine logico (ed in specie il
terzo e il quarto profili ulteriori di illegittimità del licenziamento e il quinto, il
sesto e il settimo questioni comunque in qualche modo consequenziali.
L’impugnata sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’Appello
di Napoli, la quale provvederà attenendosi ai principi sopra riaffermati,
statuendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
11

riferimento, per tale tipo di responsabilità alla disciplina contenuta nel contratto

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, assorbiti gli altri,
cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di
Napoli.
Roma 26 settembre 2013

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