Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27127 del 28/12/2016
Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 14/10/2016, dep.28/12/2016), n. 27127
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29135/2010 proposto da:
C.G., in proprio, elettivamente domiciliato in ROMA
VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ANDREA
MANCINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUIGI CARPEGGIANI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 105/2009 della COMM. TRIB. REG. dell’EMILIA
ROMAGNA, depositata il 10/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
14/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;
udito per il controricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
A norma dell’art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 l’Agenzia delle Entrate procedeva alla liquidazione dell’Irap esposta, ma non versata, nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2001 presentata d C.G., esercente la professione di avvocato. Seguiva l’emissione della cartella di pagamento, comprensiva di imposta e sanzioni.
Il contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Ferrara che lo rigettava con sentenza del 17.4.2007.
Il contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria regionale di Bologna che lo rigettava con sentenza del 10.9.2009.
Il contribuente propone ricorso per cassazione formulando tre motivi di impugnazione.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha attribuito al contribuente l’onere di fornire la prova di essere esente dal pagamento dell’Irap.
Il motivo è infondato. E’ pacifico che il ricorrente ha presentato la dichiarazione dei redditi affermando di essere soggetto all’Irap di cui esponeva l’ammontare, salvo poi ometterne il versamento. In tale situazione l’Agenzia delle Entrate è legittimata ad emettere la cartella di pagamento a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, poichè la sussistenza della autonoma organizzazione, quale presupposto applicativo dell’imposta, è stata dichiarata dallo stesso contribuente. Vero che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale ma una dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente (da ultimo Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016, Rv. 640206; Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015, Rv. 637018). Ma in tal caso, in applicazione delle regole generali sulla distribuzione dell’onere probatorio stabilite dall’art. 2697 c.c., spetta al contribuente che “ritratta” la propria dichiarazione fornire la prova del fatto impedivo della obbligazione tributaria (asserita mancanza della autonoma organizzazione). Se così non fosse, si determinerebbe un irrazionale disparità di trattamento a sfavore di coloro che chiedono il rimborso di un imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, rispetto a coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averla indicata nella dichiarazione, ne omettono il versamento.
2. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, nella parte in cui il giudice di appello non ha disapplicato le sanzioni per obiettive condizioni di incertezza nella applicazione della normativa.
3. Omessa o insufficiente motivazione in ordine al ragionamento seguito dal giudicante per nongue la ce la cetto sefdisapplicare le sanzioni.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Non sussiste il vizio di violazione di legge, atteso che il giudice di merito ha propriamente esercitato la facoltà, riconosciutagli dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, di disapplicare, o confermare, le sanzioni amministrative. Non sussiste il dedotto vizio di motivazione poichè, nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale ha ritenutota una situazione giuridica di debenza dell’imposta, non avendo il contribuente fornito alcun elemento indicativo della mancanza della autonoma organizzazione; sul piano soggettivo, rilevante ai fini della irrogazione delle sanzioni, il giudice di appello ha stigmatizzato il comportamento del contribuente che, anzichè eventualmente avvalersi della possibilità di ripetere un tributo che riteneva versato indebitamente, ha scelto di non pagare l’imposta che pure aveva autoliquidato in dichiarazione.
Al rigetto segue la condanna alle spese come da dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro milleseicento, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016