Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27127 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27127 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 15345-2008 proposto da:
DIONISI GIULIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato
PERSI FABRIZIO, che lo rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente 2013
2558

contro

ASSIMOCO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA,

a

PIAZZA CAMERINO 15, presso lo studio dell’avvocato
CIPRIANI ROMOLO GIUSEPPE, rappresentata e difesa

Data pubblicazione: 04/12/2013

dall’avvocato DEL FIACCO ANSELMO, giusta delega in
atti;
– controricorrente nonché contro
A.S.M. AQUILANA MULTJSERVIZI S.P.A. 0413740661;

sul ricorso 18271-2003 proposto da:
A.S.M.

AQUILANA

SOCIETA’

MULTISERVIZI

S.P.A.

0413740661, in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA

PAISIELLO 55 STUDIO SCOCA, presso lo studio
dell’avvocato COLAGRANDE ROBERTO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato RENCRICCA MAURIZIO;
– controri corrente e ricorrente incidentale contro
DIONISI GIULIO, ASSIMOCO ASSICURAZIONI S.P.A.;
– intimati avverso la sentenza n. 138/2008 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 14/03/2008 R.G.N.
1311/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato PERSI FABRIZIO;
udito l’Avvocato CCLAGRANDE ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

– intimata –

Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri,

assorbito ricorso incidentale.

t

R.G. n. 15345/08 – 18271/08
Ud. 17.9.2013

La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza in data 24
gennaio – 14 marzo 2008, ha confermato la decisione di primo
grado con la quale la società A.S.M. Aquiliana Società
Multiservizi S.p.A. (d’ora in poi A.S.M.) e la Assimoco Assicurazioni
S.p.A. erano state condannate al pagamento, in solido, a favore di
Dionisi Giulio della somma di 33.168,80, oltre interessi legali, a
titolo di risarcimento del danno biologico e morale conseguente ad
un infortunio sul lavoro, nonché la prima di dette società, per le
stesse causali, al pagamento della somma di £ 2.582,20, con gli
interessi legali.
Il lavoratore, nell’eseguire la sostituzione della lampada di
emergenza di un mezzo compattatore, avvalendosi di una scala
normale, non dotata di dispositivi antiscivolo ed inidonea
cadeva dall’altezza di circa 3,5 metri riportando gravi lesioni.
La Corte territoriale ha ritenuto che fosse responsabile
dell’infortunio la società A.S.M., alle cui dipendenze il Dionisi
lavorava, e che esso fosse stato determinato anche dal concorso di
colpa del lavoratore, il quale, pur essendo un operaio esperto, non
aveva fatto uso di altra scala più sicura presente nel magazzino.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il lavoratore.
La società datrice di lavoro ha resistito con controricorso,
proponendo altresì ricorso incidentale. Anche la società di
assicurazioni ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve innanzitutto disporsi, ex art. 335 cod. proc. civ., la
riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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2. Il ricorso principale è articolato in quattro motivi, cui fanno
seguito i relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.,
allora in vigore.
3. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa
applicazione degli artt. 2087 e 1227 cod. civ., 4 e segg. D.P.R. 27
insuffficiente e contraddittoria motivazione.
Deduce che la Corte di merito si è limitata ad aderire alle
argomentazioni del giudice di primo grado, senza prendere in
esame la copiosa produzione documentale ed in particolare il
verbale ispettivo redatto dai funzionari dell’ASL di L’Aquila, dal
quale risultava che la società datrice di lavoro aveva mantenuto in
esercizio una scala metallica a forbice – dalla quale era caduto il
Dionisi – priva dei necessari requisiti di idoneità per la sicurezza
del lavoro, ed in particolare del dispositivo antisdrucciolevole
all’estremità, ed aveva consentito che si effettuassero lavori di
manutenzione e riparazione di automezzi compattatori ad un
altezza di circa 3 – 4 metri senza che sui lati aperti verso il vuoto
fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di
protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone.
Inoltre la Corte di merito non ha tenuto conto che in forza del
D.P.R. n. 547/55, art. 4, il datore di lavoro avrebbe dovuto rendere
edotto il lavoratore sul rischio specifico cui era esposto
nell’eseguire quella pericolosa operazione, fornire al medesimo i
necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, controllare
le situazioni di pericolo e che venissero osservate dallo stesso
lavoratore le disposizioni in materia di sicurezza.
Nella situazione sopra descritta, non poteva ravvisarsi un
concorso di colpa del lavoratore nel verificarsi dell’infortunio,
essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il datore di
lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità
fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che
ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del

aprile 1955 n. 547, 4 D. Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 nonché

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danneggiato, avendo il dovere di proteggere l’incolumità di
quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza.
Il datore di lavoro è infatti interamente responsabile
dell’infortunio non solo quando ometta di adottare idonee misure
protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di

4. Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando violazione
e falsa applicazione degli artt. 2059, 2043, 2056, 1226 cod. civ.,
432 cod. proc. civ., nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione, lamenta che la Corte di merito ha liquidato il danno
morale

arbitrariamente, senza dare congrua ragione del

processo logico seguito e senza indicare i criteri assunti a base del
procedimento valutativo.
In particolare la sentenza impugnata non ha considerato che
all’epoca dell’infortunio il Dionisi aveva 46 anni e che, come
accertato dal consulente tecnico d’ufficio in altro giudizio promosso
dal medesimo nei confronti dell’INAIL, aveva riportato una inabilità
permanente pari al 42% ed era stato collocato anticipatamente a
riposo, percependo un trattamento pensionistico fortemente
ridotto.
Errata era poi la sentenza impugnata laddove il danno morale
era stato liquidato nella misura di un quarto del danno biologico,
quando gli altri danni erano stati ridotti proporzionalmente di un
terzo in virtù del ritenuto concorso di colpa dell’infortunato.
5. Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 1224 cod. civ. e 429 cod. proc. civ. nonché
insufficiente motivazione, il ricorrente deduce che la responsabilità
del datore di lavoro in relazione all’infortunio occorso al proprio
dipendente va qualificata come responsabilità contrattuale, ai
sensi dell’art. 2087 cod. civ.
Il debito scaturente da detto inadempimento ha quindi natura
di debito di valore e non di valuta, con conseguente applicazione
allo stesso della rivalutazione monetaria e degli interessi legali.

tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del dipendente.

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Da ciò discende che il Tribunale prima e la Corte d’appello
dopo avrebbero dovuto assumere a riferimento il credito iniziale,
calcolato al momento dell’infortunio, e su di esso applicare
rivalutazione ed interessi legali, anziché procedere alla sua
“attualizzazione”.
criterio utilizzato per giungere a tale risultato, avallando
l’operazione aritmetica effettuata dal Tribunale.
6. Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 1 e 4 L. 68/99 nonché
insufficiente motivazione, il ricorrente deduce che erroneamente la
Corte di merito ha confermato la statuizione del giudice di primo
grado, che aveva rigettato la domanda relativa al danno
patrimoniale, costituito dalla differenza tra le retribuzioni che
avrebbe dovuto percepire sino alla data dell’età pensionabile ed il
trattamento pensionistico corrispostogli in seguito al collocamento
a riposo anticipato per effetto della accertata inabilità lavorativa
conseguente all’infortunio.
Rileva che, essendo l’infortunio da ascrivere alla esclusiva
responsabilità del datore di lavoro, le conseguenze del
collocamento anticipato a riposo dovevano ricadere interamente,
sotto il profilo economico, a carico dello stesso datore di lavoro.
Quest’ultimo avrebbe dovuto reperire all’interno dell’azienda
un posto confacente alle sue condizioni di salute, fornendo
eventualmente la prova circa la impossibilità di un suo utile
collocamento nella struttura operativa dell’impresa.
Il mancato reperimento di una posizione lavorativa lo aveva
indotto, di fronte alla concreta prospettiva di rimanere
disoccupato, a dare il suo assenso al pensionamento anticipato.
7. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la società A.S.M.
deduce che la Assimoco Assicurazioni S.p.A., costituendosi nel
giudizio di primo grado, non aveva contestato l’operatività della
polizza assicurativa con la quale aveva assunto l’obbligo di

Inoltre la sentenza impugnata nulla ha argomentato circa il

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manlevare e tenere indenne da ogni conseguenza economica essa
ricorrente incidentale. Solo in un secondo momento, e perciò
tardivamente, aveva contestato detta operatività.
Questa eccezione era stata respinta dal giudice di primo
grado, perché tardiva, e non era stata oggetto di impugnazione.
forma del ricorso incidentale, che fosse dato atto del passaggio in
giudicato della statuizione in questione, ma sul punto la sentenza
impugnata nulla aveva statuito.
Chiede in conclusione la A.S.M. che questa Corte voglia
“anche d’ufficio rilevare il passaggio in giudicato” della statuizione
relativa alla operatività della polizza assicurativa suddetta.
8. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte le norme
dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad
impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a
tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua
disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia,
negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di
lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore,
sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia
quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto
effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi
alcun effetto esimente, per l’imprenditore che abbia provocato un
infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni,
all’eventuale concorso di colpa del lavoratore; con l’ulteriore
conseguenza che l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo
quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri
dell’abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed
eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (cfr.,

ex plurimis, Cass. 5493/06; Cass. 9689/09; Cass. 19494/09;
Cass. 4656/11).

Era stato pertanto chiesto al giudice di secondo grado, nella

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Analogamente è stato affermato che il datore di lavoro, in
caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del
lavoratore, è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia
conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato,
avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo

tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca
per configurarsi nell’eziologia dell’evento dannoso come una mera
modalità dell’iter produttivo del danno, tale condotta, proprio
perché “imposta” in ragione della situazione di subordinazione in
cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui
comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di
specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune
prudenza) e nell’ordine di eseguire incombenze lavorative
pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell’evento
dannoso (Cass. 8 aprile 2002 n. 5024, Cass. 3213/04; Cass.
1994/12).
Nella specie la Corte territoriale ha accertato che il lavoratore
è stato adibito ad una operazione pericolosa (sostituzione della
lampada di emergenza di un mezzo compattatore ad una altezza di
circa 3 – 4 metri), con una scala inidonea all’uso, senza che sui lati
aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto
al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la
caduta di persone e, per di più, senza che sull’esecuzione di tale
prestazione vi fosse alcuna vigilanza.
Ha inoltre escluso che il lavoratore abbia posto in essere una
condotta abnorme, atipica ed eccezionale.
E tuttavia, a fronte di tali accertamenti, la Corte di merito
non si è attenuto ai principi giurisprudenziali sopra indicati,
ritenendo che l’infortunio fosse stato determinato dal concorso di
colpa del lavoratore.

nonostante la sua imprudenza o negligenza; ne consegue che, in

7

La sentenza impugnata deve pertanto, sul punto, essere
cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale dovrà
uniformarsi al seguente principio di diritto :
“Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a
tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è esonerato da

presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza
rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne
consegue che, una volta esclusa tale condotta, l’imprenditore è
cons.
interamente responsabile dell’infortunio che ne sia
fungendo la violazione dell’obbligo di sicurezza quale unico fattore
causale dell’evento, e non può invocare il concorso di colpa del
danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di
quest’ultimo, nonostante la sua imprudenza e negligenza”.
9. L’accoglimento di questo motivo assorbe gli altri motivi del
ricorso principale, tutti aventi quale presupposto l’accertamento
della responsabilità in ordine all’infortunio in questione.
10.

Il ricorso incidentale proposto dalla A.S.M. è

inammissibile.
Ed infatti non viene formulato il quesito di diritto ex art. 366

bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis; non viene chiesta,
in violazione dell’art. 371, comma 3, in relazione all’art. 366 n. 4)
cod. proc. civ., la cassazione della sentenza impugnata né sono
indicate le norme di diritto su cui il ricorso è fondato.
11. In conclusione va accolto il primo motivo del ricorso
principale, con assorbimento degli altri motivi dello stesso ricorso,
mentre va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo
accolto, con rinvio ad altro giudice, indicato in dispositivo, il quale
dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio,
P. Q . M .
La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il primo motivo del ricorso
principale e dichiara assorbiti gli altri motivi dello stesso ricorso.

responsabilità solo quando il comportamento del dipendente

8

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese, alla Corte d’Appello di Roma.

Così deciso in Roma in data 17 settembre 2013.

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