Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27124 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 16/12/2011), n.27124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18632/2010 proposto da:

SAN SEBASTIANO SAS DI PEGORARO NERINA & C. (OMISSIS) in persona

del legale rappresentante socia accomandataria, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BANCO DI SANTO SPIRITO 48, presso lo studio

dell’avvocato MARIO D’OTTAVI, rappresentata e difesa dall’avvocato

GRISI Luciano giusto mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P.S. (OMISSIS), domiciliato in Roma,

PIAZZA CAVOUR presso la Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato TERNULLO Francesco giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 455/2010 del TRIBUNALE di VERONA

dell’08/01/2010, depositata il 17/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato Grisi Luciano difensore del ricorrente che si

riporta ai motivi del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1.- La s.a.s S. Sebastiano di Nerina Pegoraro & C. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo 16 ottobre 1998, recante condanna al pagamento di L. 3.619.648, somma richiesta da M.P. S. quale corrispettivo di attività professionale.

A fondamento dell’opposizione la società ha dedotto che il diritto al compenso era subordinato alla condizione che l’attività del professionista le facesse conseguire le autorizzazioni comunali all’esercizio dell’attività di deposito di oli minerali, autorizzazioni che non erano state conseguite se non in parte.

Il Giudice di Pace di Verona ha respinto l’opposizione, sul rilievo che il contratto avente ad oggetto la prestazione di attività professionali da luogo ad obbligazioni di mezzi e non di risultato, ed il Tribunale di Verona ha confermato la sentenza di primo grado.

Su ricorso della San Sebastiano la Corte di cassazione, con sentenza 25 febbraio 2008 n. 4795, ha annullato la sentenza, con rinvio della causa al tribunale di Verona, enunciando il principio per cui – pur se le suddette prestazioni danno normalmente luogo ad obbligazioni di mezzi – in determinate situazioni le parti possono conferire alla prestazione del professionista le caratteristiche dell’obbligazione di risultato, subordinando il diritto al compenso al risultato medesimo.

La Corte ha ritenuto assorbito il secondo motivo di ricorso, relativo all’eccezione di inadempimento del professionista, sollevata in subordine dalla San Sebastiano Riassunto il giudizio, con la sentenza impugnata in questa sede il Tribunale di Verona ha nuovamente respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo, sul rilievo che l’opponente non ha fornito la prova che il diritto al compenso era stato subordinato al conseguimento delle autorizzazioni, poichè l’unico teste escusso in proposito ha espresso mere valutazioni.

La San Sebastiano propone tre motivi di ricorso per cassazione.

Resiste l’intimato con controricorso.

2.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta insufficiente motivazione, per il fatto che la Corte di appello ha qualificato come valutazione l’affermazione del testimone “Per me sì”, in risposta al capitolo.

Il motivo è inammissibile poichè il ricorrente non ha riprodotto nel ricorso il capitolo di prova a cui si riferisce la risposta, sì da consentire di valutare la congruenza della motivazione della sentenza impugnata.

3.- Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poichè la Corte di appello non ha preso in esame la domanda proposta dalla ricorrente in via subordinata di accertare l’inadempimento dell’architetto alle sue prestazioni, anche a prescindere dal mancato conseguimento del risultato.

Il motivo è inammissibile, poichè la domanda non risulta specificamente proposta nelle conclusioni precisate dal ricorrente in sede di rinvio, quali sono riportate nella sentenza impugnata; nè il ricorrente ha specificato nel ricorso in quali atti avrebbe formulato la domanda, anche nel giudizio di primo grado; su quali inadempimenti essa fosse fondata; se e come gli asseriti inadempimenti siano stati dimostrati: premesse indispensabili per valutare la rilevanza delle censure.

Le frasi riprodotte nel ricorso – che peraltro non risulta in quali atti dei giudizi di merito siano state inserite contengono mere argomentazioni difensive, inidonee a giustificare una specifica pronuncia del giudice di appello, che peraltro ha fondato la sua decisione di rigetto della domanda anche sul rilievo che l’opponente non ha contestato il fatto che il M. ebbe effettivamente a rendere le sue prestazioni.

4.- Il terzo motivo, con cui il ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., poichè il giudice di appello – nel liquidare le spese del giudizio di cassazione – ha posto a carico della società anche i diritti di procuratore, è inammissibile, poichè la norma di cui si denuncia la violazione non è congruente con la natura delle censure proposte.

L’art. 91 detta i criteri in base ai quali vanno ripartite fra le parti le spese di lite, ma nulla dispone in ordine al rimborso dei diritti di procuratore nel giudizio di cassazione: questione che va affrontata e risolta sulla base di principi diversi, che il ricorrente non richiama in alcun modo.

La formulazione del motivo non risponde, pertanto, ai requisiti di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

5.- Propongo che il ricorso sia rigettato con provvedimento in Camera di consiglio”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

-Il P.M. non ha depositato conclusioni scritte.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso e della memoria illustrativa rileva quanto segue.

Va condiviso il giudizio di inammissibilità del primo motivo, di cui alla relazione.

Vero è che il capitolo di prova che il ricorrente lamenta essere stato disatteso è riportato nell’esposizione dei fatti e dei precedenti processuali, ma il relativo contenuto non è posto in relazione alle censure formulate nel motivo, al fine di dimostrare l’omessa od insufficiente motivazione: unico profilo in relazione al quale la valutazione delle prove da parte del giudice di merito è suscettibile di riesame in sede di legittimità. Le censure manifestano solo – in termini generici e apodittici – il dissenso dal merito della decisione, dissenso che è in questa sede irrilevante, e risultano inammissibilmente generiche.

Quanto al secondo motivo, va ribadito che, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio d’omessa pronunzia, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile; dall’altro lato che tali domande od eccezioni siano riportate puntualmente nei loro esatti termini, non genericamente o per riassunto, nel ricorso per Cassazione, con l’indicazione specifica dell’atto difensivo e/o del verbale d’udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificare la ritualità, la tempestività e la decisività delle questioni prospettate; ove, infatti, si deduca la violazione dell’art. 112 c.p.c. – che configura un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale questa Corte è giudice anche dell1″atto processuale” – detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica. Ciò nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che non consente il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito (cfr., fra le tante, Cass. civ. 24 novembre 2003 n. 17859;

Cass. civ. 14 marzo 2011 n. 5970).

Nel motivo in esame vi sono solo generiche argomentazioni sul tema dell’asserito inadempimento, ma nessun puntuale riferimento ai termini della loro deduzione con l’atto d’appello.

Deve essere quindi confermata l’inammissibilità del secondo motivo.

Deve essere invece accolto il terzo motivo.

Pur se il ricorrente non ha espressamente richiamato le norme di legge di cui denuncia la violazione, è indubbio che egli abbia voluto richiamare le disposizioni del D.M. di approvazione delle tariffe forensi, emesso ai sensi della L. 7 novembre 1957, n. 1051, secondo le modalità previste dalla L. 3 agosto 1949, n. 536, art. 1, e nel rispetto dei principi di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794.

Dette disposizioni non prevedono l’attribuzione di diritti in relazione al processo davanti alla Corte di cassazione.

In accoglimento del terzo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, nella parte in cui ha condannato la ricorrente a pagare Euro 1.500,00 in rimborso dei diritti di procuratore, relativamente a tale grado di giudizio.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito.

A modifica della sentenza impugnata, le spese processuali attinenti al giudizio davanti alla Corte di cassazione vanno liquidate in Euro 1.900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 1.800,00 per onorari, ferma restando ogni altra statuizione, ivi inclusa quella relativa agli accessori di legge sulla somma indicata.

Considerato il fatto che il ricorso è stato accolto solo in minima parte, le spese del presente giudizio si compensano per la metà e vanno poste a carico del resistente per la rimanente metà, che si liquida come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta i primi due motivi di ricorso ed accoglie il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la s.a.s. S. Sebastiano di Nerina Pegoraro & C. a pagare a M.P. S., in rimborso delle spese del primo giudizio di Cassazione, la somma di Euro 1.900,00, con gli accessori di cui alla sentenza impugnata, che conferma in ogni altra parte.

Compensa la metà delle spese del giudizio di cassazione e pone a carico del resistente la rimanente metà, che si quantifica in Euro 600,00 (Euro 1.200,00 per l’intero), di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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