Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27122 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. III, 06/10/2021, (ud. 22/01/2021, dep. 06/10/2021), n.27122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 771-2019 proposto da:

P.G.H., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO MENICHINO;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIULIO

ARTISTIDE SARTURIO 57, presso lo studio dell’avvocato TITO FESTA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO

GERMINETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4179/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/1/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25/10/2018 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. M.L. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Busto Arsizio 27/9/2017, ha – per quanto ancora d’interesse in questa sede – rigettato la domanda in origine nei suoi confronti proposta dalla sig. P.G.H. di cessazione dello stipulato contratto di comodato avente ad oggetto la pertinenza (costituita da box e locale adiacente) dell’immobile di residenza della medesima, e di conseguente relativa restituzione, a cagione del lamentato comportamento dal comodatario mantenuto deponente per il venir meno dell'”affectio” e del “rispetto di una convivenza civile “, costituenti pacificamente “il presupposto fondamentale e la condizione inespressa alla base del contratto”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la P. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1804,1176,1375 c.c., art. 244 c.p.c., artt. 2,24 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che “in relazione agli inadempimenti del sig. M. oggetto dei capitoli di prova riprodotti alle pag 5 e 6… la Corte d’Appello non ha fatto buon governo delle norme che regolano la restituzione anticipata del comodato a termine, ed ha impedito alla Sig.ra P. di fornire la prova a lei richiesta, ritenuta immotivatamente ininfluente e generica… nel desumere la possibilità di una netta scissione tra il vincolo fiduciario tra le parti e la fiducia riposta sul corretto adempimento anche quando i comportamenti addebitati non solo sono adottati in esecuzione del contratto ma il bene concesso in godimento è strettamente strumentale all’esecuzione degli stessi, ossia è eziologicamente determinante per l’adozione di quei comportamenti, non attuabili da terzi non contraenti”.

Si duole essersi dalla corte di merito erroneamente affermato che “le condotte emulative incidenti sulla fiducia delle parti non rileverebbero ai fini del recesso… in quanto l’ampia discrezionalità pure concessa dal testo contrattuale non può mai legittimare un esercizio del diritto sistematicamente contrario ai principi di cui all’art. 1176 e 1375 c.c. e art. 2 Cost., che costituiscono clausole generali ad integrazione del testo contrattuale”.

Lamenta che “i capitoli dedotti nel ricorso introduttivo e qui riprodotti alle pagg. 5 e 6… non solo contenevano gli avvenimenti storici da provare, sufficientemente localizzati nel tempo, nel luogo e nel loro svolgimento, ma proprio per la loro specifica formulazione permettevano alla controparte… di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso”, sicché erroneamente sono stati ravvisati “ininfluenti e generici”.

Si duole che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine alla dedotta venuta meno del “presupposto fondamentale alla base della concessione del diritto di godimento, vale a dire l’affectio ed il rispetto della comune e pacifica convivenza in un contesto di indivisibilità degli spazi”, circostanza invero non contestata da controparte, a causa dei comportamenti da quest’ultimo mantenuti, oggetto di prova testimoniale non ammessa dai giudici di merito nell’erroneamente ravvisarli essere ininfluenti circa le sorti del contratto in argomento.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

Come questa Corte – anche a Sezioni Unite – ha già avuto modo di affermare, non attenendo né all’oggetto né alla causa né ai motivi la presupposizione consiste in una circostanza “esterna” del contratto che, pur se non specificamente dedotta come condizione, ne costituisce specifico ed oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti, o anche per una sola di esse – ma con riconoscimento da parte dell’altra -, valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il relativo mancato verificarsi legittimando l’esercizio del recesso (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., Sez. Un., 20/4/2018, n. 9909).

Nel sottolinearsi che la presupposizione non è invero prevista da alcuna norma di legge, costituendo un principio dogmatico (di matrice tedesca) contestato da gran parte della dottrina (che vi ravvisa una condizione non sviluppata del negozio o un motivo non assurto a clausola condizionale) ma da tempo accolto in giurisprudenza anche di legittimità, ove è stata peraltro a lungo costantemente definita come obiettiva situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) tenuta in considerazione – pur in mancanza di un espresso riferimento nelle clausole contrattuali – dai contraenti nella formazione del loro consenso come presupposto condizionante la validità e l’efficacia del negozio (c.d. condizione non sviluppata o inespressa), il cui venir meno o verificarsi è del tutto indipendente dall’attività e volontà dei contraenti, e non corrisponde – integrandolo – all’oggetto di una specifica obbligazione dell’uno o dell’altro (v. Cass., 23/9/2004, n. 19144; Cass., 4/3/2002, n. 3052; Cass., 21/11/2001, n. 14629; Cass., 8/8/1995, n. 8689), questa Corte ha precisato che la presupposizione in realtà costituisce – come posto in rilievo anche da una parte della dottrina – un fenomeno articolato cui vengono ricondotti fatti e circostanze sia di carattere obiettivo che valorizzati dalla volontà delle parti assurgenti ad autonomo e specifico rilievo diverso e distinto da quello proprio degli elementi essenziali e accidentali del contratto.

Ha pertanto escluso (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235) che possano ad essa ricondursi fatti e circostanze ascrivibili alla causa, nel senso cioè di condizionarne la realizzazione nel suo proprio significato di causa concreta, quale ragione pratica o interesse che, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.), l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare (cfr. Cass., 10/6/2020, n. 11092; Cass.,6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701. E già Cass., 27/7/2006, n. 17145; Cass., 24/7/2006, n. 16315; Cass., 8/5/2006, n. 10490).

I c.d. presupposti causali assumono infatti rilievo già sul piano dell’interesse che giustifica l’impegno contrattuale, e pertanto appunto la causa dello stesso, sicché il relativo difetto rileva in termini di invalidità del contratto (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235, ove si è posto in rilievo che su tale piano, diversamente che in precedenza, da autorevole dottrina il classico esempio del balcone affittato per assistere alla sfilata del corteo è stato propriamente ricondotto all’interesse che nello specifico caso le parti hanno concretamente inteso realizzare con la stipulazione del contratto e pertanto alla causa concreta del medesimo, sicché il mancato svolgimento della medesima si riflette in termini di venuta meno di tale elemento essenziale del contratto deponente per la conseguente invalidità del medesimo).

Si è altresì escluso che alla presupposizione possano essere propriamente ricondotti i c.d. risultati dovuti, ed in particolare la qualità del bene, rientrando essi nel contenuto del contratto, il relativo difetto conseguentemente ridondando sul (diverso) piano dell’inadempimento (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235).

La circostanza che il bene sia idoneo all’uso previsto dall’acquirente costituisce infatti una qualità giuridica dell’oggetto, la cui mancanza se del caso (in quanto cioè trattisi di qualità dovuta) rileva sul piano dell’inesattezza della prestazione, e pertanto in termini di inadempimento (cfr., con riferimento alla perdita della qualità di edificabilità del terreno promesso in vendita per atto della P.A., con conseguente impossibilità della prestazione legittimante la risoluzione del contratto, Cass., 19/3/1981, n. 1635).

Si è posto ulteriormente in rilievo doversi tenere del pari distinta l’ipotesi in cui i fatti e le circostanze presi in considerazione dalle parti vengano specificamente dedotti in contratto come condizione di efficacia, giacché a parte il rilievo che non vi sarebbe altrimenti ragione di enucleare un’autonoma e differente figura, la presupposizione costituisce fenomeno oggettivamente diverso, trattandosi di ipotesi in cui i fatti e le circostanze giustappunto non vengono dalle parti specificamente dedotti in una clausola condizionale. E che estranei alla presupposizione vanno a fortiori tenuti i motivi, quali meri impulsi psichici alla stipulazione concernenti interessi che, rimasti nella sfera volitiva interna della parte, esulano dal contenuto del contratto, laddove se obiettivati divengono viceversa interessi che il contratto è funzionalizzato a realizzare, concorrendo pertanto ad integrarne la causa concreta. Mentre se comuni ad entrambe le parti non viene comunque al riguardo in rilievo l’istituto della presupposizione, giacché l’interesse comune integra appunto la causa concreta del contratto (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235).

Questa Corte è quindi pervenuta a concludere che, come osservato dalla migliore dottrina, alla presupposizione può allora riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato nei termini e limiti in cui, nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto, ad essa si riconducano presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumano (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235).

Circostanze che, pur senza essere – come detto – dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso “esterne”, ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale (es. l’ottenimento dello sperato finanziamento), il relativo difetto legittimando le parti a far valere non già l’invalidità o l’inefficacia del contratto, né a chiederne la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1256 c.c., art. 1463 c.c. e ss.) della prestazione (contra v. peraltro la risalente Cass., 22/9/1981, n. 5168), bensì ad esercitare (anche qualora il presupposto obiettivo del contratto sia già in origine inesistente o impossibile a verificarsi) il potere di recesso e a domandarne il giudiziale accertamento (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235).

Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha invero disatteso il suindicato principio.

Del contratto di comodato immobiliare in argomento l’odierna ricorrente ha domandato la cessazione per essere venuti meno, in ragione della dedotta condotta emulativa mantenuta dall’odierno controricorrente, sia l’affectio che il rispetto di una convivenza civile asseritamente costituenti il presupposto fondamentale e la condizione inespressa dalle parti posta a base della stipulazione.

Qualificato il contratto come “comodato a termine”, e sottolineato che conseguentemente “il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal contrato soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 1804 c.c., comma 3, artt. 1809 e 1811 c.c., e non liberamente, come avviene nel comodato precario”, la corte di merito ha disatteso in particolare i suindicati principi là dove ha affermato che “la violazione di vincoli di utilizzo del bene, con invasione degli spazi altrui (posteggio auto), eccedendo i limiti del comodato; i vari atteggiamenti intimidatori e il cattivo temperamento del sig. M.; in generale l’elevata conflittualità, il mancato rispetto al (rectius, del) basilare (l’)obbligo di cooperazione, consultazione e condivisione con il proprietario insito nel vincolo fiduciario che aveva dato luogo al godimento gratuito dell’immobile concesso in comodato, i comportamenti illeciti e ingiuriosi denunciati” non emergono invero “dal testo contrattuale”, non risultando ivi previsto “alcun divieto di innovazione…” e d’altro canto “gli atti emulativi denunciati in questa sede e in sede penale sono certamente indicativi di contrasti tra le parti, che però non incidono sul contenuto del comodato, perché anche la lesione della fiducia, cui attribuisce rilevanza la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 6203/14, è comunque ricollegata all’abuso che si fa nell’utilizzo della cosa con riferimento al contenuto del contratto, mentre gli atti di disturbo allegati incidono sulla fiducia tra le parti ma non sul contenuto del contratto il cui testo evidenzia l’ampia discrezionalità e le ampie facoltà concesse al comodatario nell’utilizzo del bene”.

A tale stregua, la corte di merito non ha invero considerato il rilievo che – ove dall’odierna ricorrente – giusta i mezzi di prova in sede di merito richiesti – in effetti provati, i suindicati atti emulativi e di disturbo, pur non espressamente contemplati nel contenuto del contratto, incidendo sulla “fiducia tra le parti” e comportando l’asserita venuta meno dell’affectio e del “rispetto della comune e pacifica convivenza in un contesto di indivisibilità degli spazi” nella specie possano assumere sotto il profilo della presupposizione, e, conseguentemente, in ordine alla persistenza del vincolo contrattuale de quo nei più sopra richiamati termini delineati dalla giurisprudenza di legittimità.

Non può d’altro canto nemmeno trascurarsi il rilevo che ai medesimi possa nella specie se del caso assegnarsi pure sotto il profilo della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di osservare, al rispetto di tale obbligo il debitore è nell’adempimento del contratto invero sempre e comunque tenuto ad improntare la propria condotta, a prescindere dal tenore delle clausole contrattuali.

Oltre che regola (art. 1366 c.c.) di interpretazione del contratto (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295, e da ultimo, Cass., 10/3/2021, n. 6579), la buona fede o correttezza oggettiva è regola (artt. 1337,1358,1375 e 1460 c.c.) di comportamento (quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. (v. Cass., 10/11/2010, n. 22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008,n. 28056) che trova applicazione anche a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità: v. Cass., 6/5/2020, n. 8494; Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511; Cass., 20/4/1994, n. 3775).

La buona fede oggettiva o correttezza costituisce invero criterio di determinazione della prestazione contrattuale, quale fonte -altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. (in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. (in relazione alla quale cfr. Cass., 10/7/2008, n. 18868; Cass., 26/1/2006, n. 1689; Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264) – di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (v. Cass., 30/3/2005, n. 6735; Cass., 9/2/2004, n. 2422)).

L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), dovendo valutarsi alla stregua della causa concreta del contratto (cfr. Cass., 6/5/2020, n. 8494; Cass., 29/1/2013, n. 2071).

A tale stregua, il principio di correttezza o buona fede oggettiva (il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”) deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enunzia un dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (v., da ultimo, Cass., 2/4/2021, n. 9200; Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 19/12/2007, n. 26724, e, conformemente, da ultimo, Cass., 31/5/2021, n. 15099).

Dell’impugnata sentenza, assorbita ogni altra e diversa questione nonché il 3 motivo (con il quale il ricorrente denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dolendosi che la corte di merito abbia ritenuto sussistente il “danno da chiusura dell’attività” in difetto di domanda, avendo controparte domandato solamente il risarcimento del danno derivante “dall’impossibilità di utilizzare i locali”), s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione, unitamente al principio in base al quale la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo (cfr. da ultimo, con riferimento alla prova testimoniale, Cass., 25/6/2021, n. 18285).

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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