Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2712 del 30/01/2019
Cassazione civile sez. II, 30/01/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 30/01/2019), n.2712
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11219/2017 R.G. proposto da:
C.A., rappresentata e difesa dall’avv. Marco D’Onofrio,
con domicilio eletto in Roma, alla Via Ugo Foscolo n. 24, presso lo
studio dell’avv. Antonella Ragonese.
– ricorrente –
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.;
– intimato –
avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 2708/2016,
depositato in data 5.12.2016.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23.10.2018
dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex L. n. 89 del 2001, depositato in data 1.12.2011, C.A. ha chiesto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo per equa riparazione, in relazione alla durata del procedimento civile instaurato nel 1988 dinanzi al tribunale di Latina, conclusosi in primo grado con sentenza depositata in data 9.2.2005 e definito in appello in data 18.11.2011, previa cancellazione della causa dal ruolo.
La Corte distrettuale ha stabilito che il processo presupposto aveva avuto una durata complessiva di 13 anni e 5 mesi, da cui ha detratto quella ragionevole pari ad anni 5, pervenendo a stabilire il ritardo in anni 8 e mesi cinque.
Ha liquidato Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, per un importo complessivo di Euro 4208,00, ed ha quantificato le spese processuali in Euro 405,00.
Per la cassazione di questa pronuncia C.A. ha proposto ricorso in due motivi.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 bis e art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che, al fine di determinare la durata complessiva del processo, occorreva considerare che il giudizio di primo grado era stato instaurato nel 1988 e non nel 1998, come invece ritenuto dalla Corte distrettuale. Di conseguenza il processo aveva avuto una durata complessiva di 23 anni e cinque mesi e non di 13 anni e cinque mesi.
Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sostenendo che la Corte, interpretando erroneamente le risultanze di causa, abbia omesso di considerare che la circostanza che il processo fosse stato proposto con citazione notificata nel 1988 non era stata oggetto di contestazione e doveva ritenersi pienamente provata.
I due motivi che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Il ricorrente, pur prospettando la violazione di legge o l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, assume che la Corte di merito sia incorsa in un errore di fatto riguardo ad una circostanza decisiva e dimostrata dagli atti, relativa alla data di instaurazione del giudizio.
La decisione non ha però violato i criteri di determinazione della durata del processo presupposto poichè ha esattamente stabilito che essa dovesse calcolarsi dalla data di notifica della citazione di primo grado (cfr. decreto pag. 2).
Parimenti, non si profila l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè il momento di instaurazione del giudizio è stato valutato sia pure incorrendo, a detta della ricorrente, nell’errata rilevazione della data di instaurazione del giudizio di primo grado, per come risultante dagli atti.
In realtà, l’erronea individuazione della data di notifica della citazione di primo grado sostanzia un mero errore di fatto, frutto di una svista materiale (e non di un’errata valutazione delle risultanze processuali), vertente su una circostanza decisiva non oggetto di contrasto tra le parti, non denunciabile neppure ai sensi dell’art. 115 c.p.c., ma, quale errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, cui poteva ovviarsi con l’esperimento della revocazione ordinaria e non con il ricorso in cassazione (Cass. 19293/2018; Cass. 9356/2017).
Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, non avendo il Ministero della giustizia svolto difese. Non sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto al pagamento dell’importo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il presente giudizio esente.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Si dà atto che non sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto al pagamento dell’importo di cui alD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019