Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27119 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 27119 Anno 2013
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI AMATO SERGIO

Data pubblicazione: 04/12/2013

la Corte di appello osservava che:
1) era inammissibile la querela di falso proposta
dall’attore per il preteso abusivo riempimento, da parte
della banca, sia della scheda informativa di propensione al
rischio sia della scheda relativa alle condizioni e norme
regolanti gli ordini su strumenti finanziari ed il deposito
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di titoli in amministrazione; l’attore, infatti, aveva
prodotto tali documenti e su di essi aveva fondato
l’affermazione della responsabilità della banca con
specifico riferimento alla quantificazione nella misura del
10% del rischio accettato di perdita del capitale, al

dovere della banca di astenersi da operazioni non adeguate,
all’obbligo della banca di una informazione tempestiva ed
al comportamento arbitrario della banca in violazione del
contratto quadro;
2) il rapporto intercorso tra la banca ed il Dadone era
da qualificare come mandato per il compimento di singole
operazioni

di

investimento

e

non

come

gestione

patrimoniale; in questo senso deponeva sia la modulistica
contrattuale adottata, sia il concreto atteggiarsi del
rapporto, comunque soggetto alle disposizioni dettate dagli
artt. 21, 23 e 24 del d. lgs. n. 58/1998 e dagli artt. 26,
28 e 29 del regolamento CONSOB n. 11522/1998;
3) la banca aveva rispettato nella fase genetica del
rapporto gli obblighi informativi e di redazione dei
contratti; nel contesto informativo, privo di una efficacia
negoziale vincolante, si inseriva il limite del 10%
riferito

alla

perdita

del

capitale,

atteso

che

all’investimento in strumenti finanziari derivati è
connaturata, in considerazione dell’effetto leva, una
imprevedibilità del rischio di perdita che può eccedere il
capitale investito;
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4) nella fase di esecuzione del rapporto la banca non
aveva assolto gli obblighi di diligenza e di trasparenza
nell’informazione e nella gestione delle operazioni,
risultando inadempiente per non avere agito sulla base di
ordini (né scritti, né orali o telefonici debitamente

registrati essendo anzi risultata la falsità della firma
apposta su alcuni ordini); tale inadempimento non poteva
ritenersi superato, come invece aveva deciso il Tribunale,
in virtù di una tacita approvazione da parte del Dadone, ai
sensi dell’art. 1712 c.c. (applicabile nella specie in
luogo dell’art. 1399 c.c., considerato che la banca non
aveva ecceduto i limiti dell’ampia procura rilasciatale, ma
i limiti del mandato), non essendo stata acquisita la prova
della effettiva informazione del cliente; in proposito, non
potevano trarsi elementi presuntivi sufficienti né dalla
deposizione dei testi, funzionari della banca, che avevano
deposto in generale sulla prassi informativa seguita e non
sulla specifica informazione del Dadone, né dai versamenti
effettuati da quest’ultimo, che non presupponevano
necessariamente la conoscenza della sua reale situazione
finanziaria a seguito delle operazioni finanziarie eseguite
senza ordine dalla banca;
5) nessuna altra voce di danno, oltre alla rivalutazione
con gli interessi sulle somme annualmente rivalutate poteva
riconoscersi al Dadone, in assenza di specifica
allegazione, prima ancora che di prova; ne conseguiva
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l’inammissibilità della richiesta di una consulenza tecnica
a fini esplorativi per la determinazione del danno.
Sella Holding Banca s.p.a. propone ricorso per
cassazione, deducendo quattro motivi. Giacomo Dadone
resiste con controricorso e propone ricorso incidentale

condizionato affidato a sette motivi. Non ha svolto
attività difensiva Reana Rossi, che era stata chiamata in
causa dalla banca nel giudizio di primo grado (per essere
tenuta indenne dall’eventuale condanna in quanto
responsabile della dipendenza presso la quale si era svolto
il rapporto con il Dadone), ma sulla cui posizione la Corte
di appello non si era pronunziata in assenza di conclusioni
della banca convenuta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo ed il secondo motivo, che possono essere
esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi,
la ricorrente Sella Holding Banca s.p.a. deduce il vizio di
motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto la
mancata conoscenza, da parte del Dadone, delle operazioni
in derivati effettuate per suo conto. In particolare, la
ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva omesso di
considerare fatti emergenti dall’istruttoria, del tutto
incompatibili con tale mancata conoscenza, essendosi
limitata ad affermare la non decisività dei versamenti
effettuati dal cliente sul conto corrente di operatività
degli investimenti e, con specifico riferimento alla
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posizione dell’attore, la non decisività delle prassi
informative seguite dalla banca. In tal modo la Corte di
appello aveva trascurato di considerare sia gli elementi di
prova diretta desumibili dalla ammissione, da parte del
Dadone in sede di interrogatorio formale, della ricezione

degli estratti conto che riportavano gli esiti negativi
delle operazioni in derivati e che consentivano di
verificare come i versamenti sul conto fossero determinati
dall’intento di mantenere un saldo attivo, sia gli altri
elementi presuntivi ricavabili dal fatto che il Dadone era
un imprenditore, dall’assetto negoziale tra questi e la
banca, dalla confessata ricezione degli estratti conto,
dalle modalità centralizzate con cui la banca informava i
clienti sulle operazioni in derivati e sulle eventuali
perdite e, infine, dalla durata del rapporto, dal giugno
2000 al settembre 2001, che rendeva inverosimile che un
imprenditore, soggetto professionalmente dedito ai propri
affari, non si fosse informato dell’andamento degli
investimenti finanziari pur avendo continuato a reiterali.
I motivi sono inammissibili per difetto di
autosufficienza. Invero, non solo non vengono riportate (se
non con riferimento al solo saldo al 31 dicembre 2000)
almeno le risultanze essenziali degli estratti conto, ma
neppure vengono indicati gli atti con i quali tali elementi
sarebbero stati portati all’attenzione della Corte di
appello. Significativa in proposito è la trascrizione in
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ricorso soltanto di alcune deduzioni contenute nella
comparsa conclusionale di primo grado. Lo stesso deve dirsi
per gli altri elementi presuntivi, peraltro privi di
decisività sul piano logico, per cui la loro deduzione
innanzi a questa Corte si traduce anche in una non

consentita censura di merito.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di
motivazione della sentenza impugnata laddove, pur avendo
tenuto esente l’attore dalle conseguenze delle operazioni
eseguite dalla banca, aveva condannato quest’ultima al
pagamento della somma di C 25.227,78=, che rappresentava il
ricavato della vendita di titoli acquisiti con tali
operazioni.
Il motivo, come riconosce lo stesso controricorrente, è
fondato. Invero, una volta esclusa l’imputabilità al
cliente delle operazioni finanziarie poste in essere dalla
banca, si deve anche escludere che allo stesso appartengano
i titoli acquistati in occasione di tali operazioni.
Cassata sul punto la sentenza impugnata, questa Corte,
decidendo nel merito, poichè non sono necessari ulteriori
accertamenti di fatto, deve rigettare la domanda di
restituzione delle somme ricavate dalla vendita coattiva
dei titoli acquistati con le operazioni per cui è causa.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 1227 c.c. ed il vizio di motivazione, lamentando
che la Corte di appello aveva statuito sul risarcimento del
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danno senza considerare il concorso di colpa del
rilevabile

danneggiato,

inspiegabilmente

inerte

d’ufficio,
e,

che

malgrado

era

rimasto

l’esito

degli

investimenti, aveva reiterato i suoi versamenti.
Il motivo è inammissibile in quanto introduce un thema
che non risulta essere stato sottoposto alla

Corte di appello e che, pur essendo rilevabile d’ufficio
plurimis

decidendum

(e

e da ultimo Cass. sez. u. 3 giugno 2013, n.

13902), non può essere sollevato per la prima volta in sede
di legittimità in quanto postula un accertamento di fatto
non consentito in tale sede

(e plurimis Cass. 15 luglio

2009, n. 16541). Al riguardo, come osservato nell’esame dei
primi due motivi, rileva il fatto che è mancato qualsiasi
accertamento in sede di gravame sulla ricezione degli
estratti conto da parte del Dadone e che il tema non
risulta essere stato riproposto al giudice del merito.
Dal rigetto del primo, del secondo e del quarto motivo
consegue l’assorbimento del ricorso incidentale
condizionato alla cassazione della sentenza impugnata nella
parte in cui condannava la ricorrente al risarcimento dei
danni.
Le spese dei giudizi di primo e secondo grado, liquidate
come in dispositivo, devono essere poste a carico della
soccombente.

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Soccorrono giusti motivi, in considerazione del parziale
accoglimento del ricorso, per compensare per intero le
spese del giudizio di cassazione.
P . Q . M .
rigetta il primo, il secondo ed il quarto motivo di

impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel
merito, rigetta la domanda di restituzione delle somme
ricavate dalla vendita dei titoli; condanna la ricorrente
al rimborso, in favore di Giacomo Dadone, delle spese di
entrambi i gradi di merito che liquida per il primo in C
12.764,21=, di cui 479,97 per esborsi e 3.784, 24 per
diritti e per il secondo in C 5.045,18=, di cui 371,68 per
esborsi e 1.244,00 per diritti” oltre / per entrambi i gradi,
spese generali, IVA e CP; compensa per intero le spese del
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30
ottobre 2013.

ricorso; accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza

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