Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27114 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 21/09/2016, dep.28/12/2016),  n. 27114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestina – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9457-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BNP PARIBAS SA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE CLODIO 22, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO CASSIANO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO TRAVERSI giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 168/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

PESCARA, depositata il 26/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato CIMINO che insiste nei motivi di

ricorso e chiede l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PASQUINUZZI per delega

dell’Avvocato TRAVERSI che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

L’agenzia delle entrate propone tre motivi di ricorso avverso la sentenza n. 168 del 26 agosto 2011 con la quale la commissione tributaria regionale di L’Aquila, sezione staccata di Pescara, ha ritenuto illegittimo – in riforma della prima decisione il silenzio-rifiuto opposto dall’ufficio all’istanza di pagamento presentata dalla società francese Cetelem s.a. (poi incorporata in BNP Paribas s.a.) in relazione al credito di imposta maturato sui dividendi ad essa corrisposti in data 11 giugno 1997 dalla partecipata italiana Findomestic spa (come stabilito dall’art. 10, par. 4, lett. b della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia il 5 ottobre 1989, ratificata con L. n. 20 del 1992, con riferimento al credito d’imposta sui dividendi di cui agli art. 14, comma 1 e art. 92 T.U.I.R., vigenti ratione temporis).

In particolare, a fronte dell’eccezione di decadenza opposta dall’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale ha ritenuto tempestiva l’istanza di pagamento in oggetto, perchè presentata (30 novembre 1999) entro il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c.; ciò in ragione del fatto che il pagamento del credito d’imposta in questione dovrebbe ritenersi estraneo al sistema dei rimborsi tributari, con conseguente esclusione del termine decadenziale di 18 mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nella formulazione all’epoca vigente.

Resiste con controricorso BNP Paribas Personal Finance s.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 10, par. 4, lett. b) e dell’art. 14, par. b) lett. I) prot. alleg. della citata convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia il 5 ottobre 1989, ratificata con L. n. 20 del 1992; in riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 3.

Ciò, per non avere la commissione tributaria regionale rilevato che, pacificamente trattandosi di rapporto di natura tributaria, il rimborso non potrebbe spettare se non a seguito di un’istanza del contribuente, a sua volta necessariamente assoggettata ad un termine decadenziale di presentazione. Tale termine dovrebbe essere individuato in quello biennale dal verificarsi dei presupposti del rimborso, come previsto dalla norma generale di chiusura di cui all’art. 21, comma 3 cit..

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, alternativamente, la mancata applicazione, nella specie, del termine di 18 mesi (nella formulazione qui applicabile) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, costituente norma generale relativa a tutte le ipotesi di rimborso di imposte dirette non dovute e fatte oggetto di versamento diretto; vertendosi nella specie, in particolare, di doppia imposizione e, pertanto, di situazione assimilabile alla duplicazione d’imposta di cui al comma 1 della norma in esame.

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 25 della citata convenzione italo-francese, atteso che l’applicazione del termine di prescrizione decennale comporterebbe la violazione del principio convenzionale di reciprocità e del divieto di discriminazione; posto che la disciplina francese corrispondente prevede che le istanze di rimborso in questione debbano essere presentate, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di maturazione del diritto.

p. 2. I tre motivi di ricorso – suscettibili di essere trattati unitariamente per la loro intima connessione – sono infondati.

La domanda della società Cetelem s.a. è stata presentata ai sensi dell’art. 10, comma 4, lett. b) della menzionata Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Francia il 5 ottobre 1989, ratificata con L. n. 20 del 1992, secondo cui: “Una società residente della Francia, indicata al paragrafo 2-a) o soggetta alla legislazione francese applicabile alle società madri che riceve da una società residente dell’Italia dividendi che darebbero diritto a un credito d’imposta se fossero ricevuti da un residente dell’Italia, ha diritto ad un pagamento da parte del Tesoro italiano di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2”.

Al fine di individuare il regime di decadenza eventualmente applicabile alla materia in esame, va qui richiamato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale: “in tema d’imposta sui dividendi, il pagamento previsto dall’art. 10 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Francia il 5 ottobre 1989, ratificata e resa esecutiva dalla L. 7 gennaio 1992, n. 20 – secondo il quale la società residente in (OMISSIS) (o soggetta alla legislazione francese), che riceva da una società residente in Italia dividendi, la cui corresponsione a un residente in Italia comporterebbe un credito d’imposta, ha diritto al pagamento da parte del Tesoro Italiano di una somma pari alla metà di detto credito d’imposta, diminuito della ritenuta alla fonte prevista al paragrafo 2 – esula dal sistema dei rimborsi d’imposta; sicchè la relativa istanza non soggiace al termine decadenziale di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 ma deve essere avanzata nel termine generale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c.” (Cass. 16 gennaio 2015 n. 691; nello stesso senso: Cass. 19 dicembre 2014 n. 27079; 29 ottobre 2008, n. 25947; 2 febbraio 2005 n. 2116; 10 settembre 2004, n. 18274; 20 agosto 2004, n. 16451; 22 luglio 2004, n. 13678; 14 maggio 2003, n. 7455; 7 maggio 2003 n. 6913; 4 novembre 2002, n. 15373; 21 aprile 2001 n.5927).

I passaggi fondamentali di tale orientamento, non convincentemente invalidati dalle considerazioni mosse dalla agenzia delle entrate, possono così riassumersi: – la previsione convenzionale in oggetto si pone l’obiettivo di apprestare uno strumento pratico di eliminazione, ovvero attenuazione, della doppia imposizione in sede di coordinamento bilaterale delle legislazioni fiscali degli Stati aderenti, così da impedire che la stessa ricchezza venga colpita due volte da parte dei rispettivi Stati di residenza, e sulla base della legislazione fiscale ivi applicabile: la prima, sugli utili in capo alla società erogante, la seconda sui dividendi in capo alla società percipiente; tale strumento viene individuato nel riconoscimento a favore della società-madre (francese) percipiente di un credito d’imposta pari alla metà del credito che spetterebbe ad una percipiente italiana, al netto della ritenuta alla fonte prevista dalla stessa convenzione; – in tal maniera, alla società-madre francese viene attribuito un diritto (e di ciò vi è appropriato riflesso anche nel lessico utilizzato nella norma convenzionale in esame) che, pur concernendo anch’esso un rapporto giuridico pubblicistico di natura tributaria, non è di rimborso di una somma da essa precedentemente corrisposta, ma di pagamento ex novo di un predeterminato ammontare in funzione tendenzialmente neutralizzatrice della doppia imposizione economica che altrimenti si verificherebbe; – a differenza di quanto stabilito, con disposizione generale regolante i rimborsi, dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nella fattispecie in esame non sussiste nè il requisito fondante del diritto al rimborso costituito dal “versamento diretto”, posto che il credito (avoir fiscal) viene qui riconosciuto ad un soggetto (società madre francese) diverso da quello (società figlia italiana) che ha versato l’imposta sull’utile ripartito, così da evitare la c.d. doppia imposizione in senso economico; nè il presupposto legale della derivazione della corresponsione da “errore materiale, duplicazione e inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento”, atteso che l’imposta è stata da quest’ultima pagata non per errore, e nemmeno senza titolo, bensì in quanto effettivamente dovuta nell’adempimento dell’obbligo impositivo previsto nello Stato di residenza; nemmeno, si verte di ipotesi di ‘duplicazionè d’imposta: una cosa essendo il duplice pagamento della medesima imposta indebitamente effettuato dal medesimo contribuente, e tutt’altra la doppia imposizione della stessa ricchezza alla quale la convenzione bilaterale pone rimedio; istituto, quest’ultimo, che presuppone per definizione, nel rapporto madre-figlia, l’alterità tra soggetto che versa l’imposta sull’utile erogato e soggetto al quale viene attribuito, con scopo perequativo rispetto al regime di imposizione dei dividendi domestici, il credito; – considerazioni analoghe valgono per il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2; norma di chiusura ed armonizzazione destinata, pure questa, ad operare nella sola materia dei rimborsi di imposte versate ma non dovute nell’an o nel quantum (anche per causa sopravvenuta al pagamento), quale – per le indicate ragioni – il riconoscimento del credito di cui all’art. 10 Conv. cit. non è.

In definitiva, in assenza di una normativa nazionale che introduca e regoli un regime specifico di perenzione nella realizzazione del credito d’imposta così riconosciuto, il problema – difettando tutti i presupposti dell’analogia – non può trovare soluzione mediante applicazione alla fattispecie del regime di decadenza proprio della diversa materia dei rimborsi; sicchè l’unico limite temporale rinvenibile nell’ordinamento interno va in effetti individuato nella disciplina, non decadenziale, ma prescrizionale ordinaria del recupero di un credito di cui all’art. 2946 c.c..

La soluzione così accolta non si pone in contrasto con il principio di non discriminazione (art. 25 Conv.) secondo cui: “i nazionali di uno Stato, siano essi residenti o non di uno degli Stati, non sono assoggettati nell’altro Stato ad alcune imposizione od obbligo ad essa relativo, diversi o più onerosi di quelli cui sono o potranno essere assoggettati i nazionali di detto altro Stato che si trovino nella stessa situazione”; atteso che essa, comportando l’applicazione del regime ordinario della prescrizione in luogo di quello della decadenza entro un più breve arco temporale, non determina affatto un regime più oneroso, risultando inoltre applicabile, alla stessa maniera, tanto alla società madre che risieda in Italia quanto a quella che risieda in Francia. Al contrario, più onerosa e discriminante sarebbe una soluzione che applicasse nella specie il termine di decadenza di 18 mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in quanto regime più aspro di quello previsto dalla legge francese (31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui è maturato il diritto).

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.500,00 oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 21 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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