Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2711 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 04/02/2011), n.2711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15462-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

L.F., B.S., elettivamente domiciliati

in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA

VALVA FRANCESCO, che li rappresenta e difende con procura speciale

notarile del Not. Dr. BONINI FRANCESCO in RONCO SCRIVIA, rep. n.

47614 del 15/06/2006;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 28/2005 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 21/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito del dissesto dell’intermediario finanziario abusivo M. C. di (OMISSIS), sfociato nel fallimento del medesimo e nella apertura di un procedimento penale nei suoi confronti, la Guardia di Finanza esaminando la documentazione fornita dallo stesso M., rilevava che B.S., al pari di molti altri soggetti, aveva versato al predetto rilevanti somme di denaro, ed altresì che nel 1995 erano state accreditate dall’intermediario L. 171.681.000 quale remunerazione del capitale investito. Risultava inoltre che il B. aveva fatto insinuazione nel fallimento del M. per ottenere la restituzione del capitale versato e degli interessi accreditati.

Con atto di accertamento in data 5-12-2001, l’Agenzia delle Entrate di Genova recuperava a tassazione a fini IRPEF ed ILOR nei confronti del B. e della sua consorte, L.F., quale codichiarante, gli importi accreditati come rendimento del capitale investito.

Avverso l’avviso proponevano ricorso i contribuenti, sostenendo che i tabulati e la documentazione rinvenuti presso il M. erano inattendibili, ed in ogni caso le somme indicate come interessi non erano mai state percepite, e pertanto non potevano essere sottoposte a tassazione.

La Commissione con sentenza in data 12/14/03 accoglieva il ricorso.

Appellava la Agenzia, e la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con sentenza n. 28 del 7-3-2005, depositata in data 21 marzo 2005, respingeva il gravame, confermando la impugnata decisione.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate, con un motivo.

Resistono i contribuenti con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero della Economia e della Finanze: nel caso di specie al giudizio innanzi la Commissione Regionale ha partecipato l’ufficio periferico di Genova della Agenzia delle Entrate, successore a titolo particolare del Ministero, ed il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del Ministero, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis v. Cass. n. 3557/2005) estromesso implicitamente giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre ricorso per cassazione sussisteva unicamente in capo alla Agenzia. Le spese relative a detto ricorso devono essere compensate tra le parti, per la obbiettiva incertezza esistente all’epoca della successione tra i citati enti.

Con l’unico, complesso motivo la Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; artt. 1427, 1439, 1823, 1825 c.c.; art. 640 c.p.; D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 41 e 42;

D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 27, 28 e 64 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè omessa ed insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Premette che la CTR aveva negato la assoggettabilità a tassazione della somma indicate nei tabulati del M. come frutto del capitale investito dei contribuenti in questione, in quanto pur riconoscendo che gli interessi sulle somme investite sono redditi di capitale tassabili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 41 (TUIR), e che la percezione degli stessi da parte del contribuente può avvenire anche prescindendo dalla materiale consegna dei relativi importi, in caso di capitalizzazione degli interessi medesimi, aveva rilevato che il presupposto di imposta era in ogni caso costituito dalla esistenza degli interessi in questione. Fatto insussistente nella fattispecie, in cui era provato che il M. perseguiva un disegno truffaldino teso alla appropriazione del denaro a lui consegnato dagli aspiranti investitori, per cui “… non si è di fronte ad un capitale investito, ma ad una somma di denaro sottratta mediante truffa, a perpetrare la quale erano funzionali anche le citate scritture, le quali perciò non possono assurgere a prova della produzione di redditi in capo ai soggetti truffati”. Ad avviso dell’Ufficio, il rapporto instaurato tra il M. ed i contribuenti era un rapporto di conto corrente, documentato da una scheda in cui erano riportati i rendimenti via via maturati dalle somme investite. La mancata riscossione degli interessi che invece erano capitalizzati dipendeva da scelta del cliente, che solo nel 1997 chiese il rimborso delle somme a credito.

Pertanto trovava applicazione alla fattispecie l’art. 42, comma 3, cit. TUIR, secondo cui “per i contratti di conto corrente si considerano percepiti anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto”. Ne consegue che il credito del correntista sorge sulla base della annotazione contabile, per cui i proventi annotati come dovuti all’investitore devono ritenersi percepiti e quindi assoggettati a tassazione come redditi di capitale.

Sostiene che la insolvenza del M. era irrilevante sotto questo profilo, esplicando effetto solo sotto quello civilistico (per cui i contribuenti ai erano insinuati al passivo del fallimento) e che anche ove fosse sussistente il reato di truffa, questo non inciderebbe sulla validità del contratto, il quale sarebbe annullabile, e pertanto efficace fino all’esperimento della azione costitutiva. Infine, censura la sentenza sul piano della motivazione, sostenendo che la asserzione della CTR sulla fittizietà delle scritture non era giustificata, in quanto i versamenti di capitale annotati erano incontestati e le scritturazioni erano state ritenute attendibili in sede fallimentare, in quanto i contribuenti erano stati ammessi al passivo sia per le scritturazioni che per gli interessi.

I contribuenti in controricorso sostengono la infondatezza delle argomentazioni dell’Ufficio.

Il motivo deve essere disatteso.

In primo luogo, non sussiste contrasto in linea di diritto tra l’assunto dell’Ufficio e quello della CTR sul punto della assoggettabilità a tassazione dei frutti, o interessi che dir si voglia, sul capitale investito, in quanto redditi da capitale, ai sensi degli artt. 41 e 42, cit. TUIR; e non assume valore decisivo, nella fattispecie, la individuazione della fattispecie contrattuale tipica in cui inserire il rapporto purchè ciò porti alla insorgenza di interessi (individuata dall’Ufficio in un rapporto di conto corrente, ai sensi dell’art. 1823 e segg., ipotesi non ravvisabile nel caso in questione, in cui non vi erano reciproche rimesse od interessi da compensare – fatto cui fa riferimento l’art. 42, comma 3, cit. TUIR, – laddove la fattispecie deve essere inquadrata nell’ambito un mandato ad investire, il cui contenuto specifico è ignoto ma che sulla base degli elementi incontroversi in causa deve presumersi comportasse la discrezionalità del mandatario nella scelta degli investimenti, con la realizzazione di una “gestione patrimoniale” analoga a quella prevista dal D.Lgs. n. 415 del 1996).

E’ condivisibile anche l’assunto dell’Ufficio secondo cui il reato di truffa non comporta di per sè la invalidità del contratto; come è noto, i comportamenti penalmente rilevanti che uno dei contraenti abbia perpetrato in danno dell’altro ai fini della stipulazione di un contratto o nell’ambito del suo svolgimento, risolvendosi in una causa di annullamento o di risoluzione per inadempimento, non vanificano infatti di per se stessi il sinallagma contrattuale, il quale rimane in vita fino al compimento delle correlative azioni costitutive (v, Cass. n. 4612 del 2008, in fattispecie analoga alla presente).

Il punto decisivo, invero, risulta essere una questione di fatto e non di diritto, ovvero la sussistenza o meno di prova della esistenza degli interessi, nel senso di una materiale consegna degli stessi agli investitori ovvero della effettività del riporto degli stessi a capitale il che implica una fondata valutazione di attendibilità delle scritture che costituiscono il M. debitore delle somme registrate a tale titolo in contabilità.

La “ratio decidendi” della impugnata sentenza, infatti, non si fonda su una invalidità del contratto in dipendenza della ritenuta sussistenza di un disegno truffaldino posto in essere dal M. per appropriarsi del denaro a lui consegnato per investimento, ma sulla ritenuta totale inattendibilità delle scritture da lui poste in essere.

La valutazione negativa formulata al riguardo dalla sentenza impugnata è motivata e quindi insindacabile in questa sede, posto che l’amministrazione finanziaria non ha messo in lice contraddizioni o lacune logiche.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Attesa la peculiarità della fattispecie, si ritiene di compensare le spese di questa fase di legittimità tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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