Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27106 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27106 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:

LABATE Antonio Mario (LBT NNM 52L08 H224V), rappresentato e
difeso da se medesimo ai sensi dell’art. 86 cod. proc.
civ., elettivamente domiciliato in Roma, via Aurelia n.
385, presso lo studio dell’Avvocato Andrea Sitzia;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 04/12/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro
depositato in data 24 marzo 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 13 gennaio 2011

presso la Corte d’appello di Catanzaro, Antonio Mario
Labate ha chiesto la condanna del Ministero della giustizia
al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di
una procedura fallimentare, iniziata nel febbraio 1987 e
conclusasi nel settembre 2010;
che l’adita Corte d’appello riteneva che la procedura
fallimentare – iniziata per la parte di interesse con
deposito della istanza di ammissione al passivo in data 5
maggio 1988 e conclusasi il 15 settembre 2010, data del
pagamento corrisposto dall’assuntore del concordato
preventivo fosse caratterizzata da complessità
particolare, tale da giustificare una durata ragionevole di
dieci anni e quattro mesi, sicché la stessa aveva superato
la durata ragionevole di circa dodici anni, e, tenuto conto
della esiguità della posta in gioco nonché della
particolarità della procedura fallimentare nella quale il

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Stefano Petitti;

creditore, una volta ammesso al passivo, si trova in una
posizione di mera attesa del compimento delle operazioni di
liquidazione dell’attivo l’indennizzo di euro 2.400,00,
ritenendo congruo il criterio di computo ragguagliato a

compensava per metà le spese del giudizio;
che per la cassazione di questo decreto Antonio Mario
Labate ha proposto ricorso sulla base di due motivi;
che l’amministrazione intimata ha resistito con
controricorso.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2 della legge
n. 89 del 2001 e 6 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, nonché vizio di motivazione, dolendosi del fatto
che la Corte d’appello abbia ritenuto – peraltro senza
adeguata motivazione ragionevole per la procedura
fallimentare presupposta la durata di dieci anni e quattro
mesi e non quella di sette anni, riconosciuta dalla
giurisprudenza di legittimità come limite massimo di durata
delle procedure complesse;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce
violazione o falsa applicazione della legge n. 89 del 2001

200,00 euro per ciascuno degli anni di ritardo, e

e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, nonché vizio di motivazione, dolendosi del fatto
che la Corte d’appello si sia discostata dagli ordinari
criteri di liquidazione adducendo motivazioni inadeguate e

criterio di liquidazione, la consapevolezza della
impossibilità di ottenere soddisfazione dalla procedura,
atteso che un simile dato di conoscenza non poteva essere
maturato se non all’esito della procedura stessa;
che il primo motivo di ricorso è fondato, essendosi la
Corte d’appello di Catanzaro immotivatamente discostata dal
principio per cui «in tema di equa riparazione per la
violazione del termine di durata ragionevole del processo,
a norma dell’art. 2, comma secondo, della legge n. 89 del
2001, la durata delle procedure fallimentari, secondo lo
standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei
diritti dell’uomo, è di cinque anni nel caso di media
complessità e, in ogni caso, per quelle notevolmente
complesse a causa del numero dei creditori, la
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.),
la proliferazione di giudizi connessi o la pluralità di
procedure concorsuali interdipendenti – non può superare la
durata complessiva di sette anni» (Cass. n. 8468 del 2012);

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abbia attribuito rilievo, ai fini della riduzione del

che anche il secondo motivo è fondato in quanto, se è
vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio,
uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla
Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data

satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la
quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di
regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di
ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata
ragionevole, e non inferiore a euro 1.000,00 per quelli
successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice,
il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora,
avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie,
ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti
criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Cass.
18617 del 2010; Cass. 17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari i criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla esiguità della
posta in gioco;
che tuttavia lo scostamento operato dalla Corte
territoriale appare non ragionevole, essendo la stessa
pervenuta al riconoscimento di un indennizzo meramente
simbolico;

l’esigenza di garantire che la liquidazione sia

che in proposito, occorre rilevare che, con riferimento
ai giudizi amministrativi di durata irragionevole, questa
Corte, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (decisioni

Volta et autres c.

6 aprile 2010; Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10
febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914), è
solita liquidare un indennizzo che corrisponde a circa
500,00 euro per anno di irragionevole durata;
che dunque, in accoglimento del ricorso, il decreto
impugnato deve essere cessato, con rinvio alla Corte
d’appello di Catanzaro perché, in diversa composizione,
proceda a nuovo esame della domanda adeguandosi ai principi
prima individuati;
che al giudice di rinvio è demandata altresì la
regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso; cassa

il decreto

impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

Italia, del 16 marzo 2010 e Falco et autres c. Italia, del

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