Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27104 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 19/09/2016, dep.28/12/2016),  n. 27104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –

Dott. SANDRINI Enrico – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13234-2012 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIROLAMO

VITELLI 10, presso lo studio dell’avvocato ADELE PEGNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO SIMEONE giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI CASERTA, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 401/2011 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 29/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/09/2016 dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO;

udito per il controricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il D.A. ha proposto ricorso alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli, n. 101/28/11, emessa in data 21.11.2011, che aveva accolto, compensando le spese, l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Caserta avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provincia di Caserta che, in primo grado, aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) IRPEF, IVA, IRAP, ADD. COMM E ADD REG. 2004, che rettificava il suo volume di affari da Euro 1.322.353,00 a Euro 1.388.982,00, quindi con un maggiore imponibile di Euro 66.629,00.

Più specificamente la posizione del contribuente, pur essendo in linea con gli indicatori di normalità economica, risultava discordante rispetto alla percentuale di ricarico desunta dagli studi di settore, superiore a quella dichiarata nella misura del 27%, che a parere dell’Ufficio non si giustificava sulla base di elementi oggettivi e documentali. L’accertamento effettuato ò nei confronti del ricorrente, esercente commercio di prodotti farmaceutici, era stato fondato sulla incongruenza dei ricavi, reiterata nel tempo, incongruenza rilevata attraverso gli appositi studi di settore; inoltre l’ufficio aveva anche invitato il contribuente al contradditorio teso ad attivare il procedimento di accertamento con adesione ed in quella sede il D. si rifiutò di aderire ad un accordo, per cui venne emesso l’impugnato avviso di accertamento.

Il D. aveva proposto gravame alla commissione Tributaria Provinciale di Caserta, eccependo l’illegittimità dell’avviso per la mancanza del presupposto delle gravi incongruenze, tra ricavi dichiarati e quelli accertabili sulla base degli studi di settore, a cui faceva da contrappeso la posizione di coerenza con gli indicatori di normalità economica e ritenendo che da soli gli stessi non potessero dar luogo a quelle presunzioni gravi precise e concordanti richieste ai fini della loro applicazione se non in concomitanza con ulteriori elementi.

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso ritenendo non rilevante la differenza tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalla particolare forma di accertamento e che la percentuale di ricavo elaborata dagli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993 non fosse idonea da sola ad integrare l’ipotesi presuntiva.

Nel giudizio di appello l’Ufficio aveva rilevato che non erano stati forniti i motivi della non congruità dei ricavi dichiarati, nè data alcuna motivazione del mancato adeguamento alle risultanze dello studio di settore e non era stata prodotta alcuna documentazione atta a quantificare i diversi ricavi dichiarati rispetto a quanto risultante dagli stessi studi di settore.

Quindi il giudice d’appello ha ritenuto non contestati i maggiori ricavi accertati, nè dimostrata l’inadeguatezza del percorso tecnico metodologico seguito per giungere alla stima, ritenendo, inoltre, non provata l’esistenza di cause particolari che avessero influito sul normale svolgimento dell’attività.

Il ricorrente deduce, in questa sede di legittimità, 1) violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, L. n. 331 del 2004, art. 409, comma 1, art. 2697 c.c.; 2) illogica e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5); 3) violazione del combinato disposto di cui al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 20 con illogica ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Nell’odierno giudizio si è costituita con proprio controricorso l’Agenzia delle Entrate, opponendosi all’accoglimento del ricorso, sia perchè inammissibile, sia perchè immune dalle censure denunciate dal contribuente.

Il ricorso è da rigettare, in quanto nel caso in esame l’accertato scostamento supporta l’applicazione dello studio di settore, alla luce di una valutazione rientrante nella competenza esclusiva del giudice, che non risulta affatto arbitraria od illogica.

Ed invero con il primo motivo addotto il ricorrente non ha indicato specificamente il contenuto degli atti richiamati (per cui, sotto questo profilo, il ricorso pecca di genericità), mentre è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che gli studi di settore possono considerarsi sufficienti a fondare l’accertamento, purchè l’attività istruttoria si sia completata nel rispetto del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di adire il giudice tributario. Ciò comporta un trasferimento dell’onere della prova in capo al contribuente, il quale dovrà fornire persuasive argomentazioni giustificative dello scostamento dagli studi di settore evidenziato dall’ufficio.

Orbene, nel caso di specie, il contribuente non ha fornito i motivi di non congruità dei ricavi dichiarati, cosi come ribadito più volte da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “i parametri o studi di settore” previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (cfr., ex plurimis; n. 3415 del 20.2.2015).

Sul contribuente, dunque, incombeva l’onere della prova, che è rimasto inadempiuto, non avendo il ricorrente prodotto alcun elemento in grado di giustificare la produzione di un reddito inferiore a quello che sarebbe normale in base all’accertamento tributario standardizzato utilizzato dall’ufficio.

Le spese vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese che liquida in Euro 5.200,00, oltre s.p.d.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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