Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27104 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27104 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA
sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
PAGANO Antonino (PGN

NNN

40T23 F158G), rappresentato e

difeso, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Fabrizio Mobilia, domiciliato in Roma, Piazza
Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di
cassazione;

ricorrente

contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
– resistente –

Data pubblicazione: 04/12/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Messina
depositato in data 15 marzo 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.

sentito l’Avvocato Fabrizio Mobilia;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto che, con ricorso in riassunzione depositato il

13 aprile 2011 presso la Corte d’appello di Messina, Pagano
Antonino ha chiesto la condanna del Ministero dell’economia
e delle finanze al pagamento dell’indennizzo per la
irragionevole durata di un giudizio amministrativo da lui
instaurato dinnanzi al TAR di Catania, con ricorso
depositato il 14 settembre 1999 e ancora pendente alla data
di proposizione della domanda di equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio
presupposto avesse superato la durata ragionevole di
diciotto anni e sette mesi, risultando il giudizio stesso
ancora pendente alla data di decisione, e, tenuto conto
della ritardata presentazione della istanza di prelievo,
liquidava in favore del ricorrente l’indennizzo di
4.331,00, ritenendo congruo il criterio di computo

Stefano Petitti;

ragguagliato a 500,00 euro per ciascuno degli anni di
ritardo;
che per la cassazione di questo decreto Antonino Pagano
ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo,

che l’amministrazione intimata non ha resistito con
controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai
fini della partecipazione all’udienza di discussione.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente
denuncia violazione dell’art. 2, commi 1 e 3, della legge
n. 89 del 2001, dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU e
degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., nonché vizio di
motivazione con riferimento alla liquidazione contenuta
dalla Corte d’appello in euro 500,00 per anno di ritardo,
immotivatamente discostandosi dagli ordinari criteri di
liquidazione del danno non patrimoniale da irragionevole
durata del processo;
che il ricorso è infondato;
che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la

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illustrato da memoria;

liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre

euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla esiguità della
posta in gioco e alla ritardata presentazione dell’istanza
di prelievo;
che trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla
quale le deduzioni del ricorrente, secondo cui la posta in
gioco non sarebbe stata poi così esigua tenuto conto del
momento della ammissione al passivo, si infrangono sul
rilievo che la valutazione della esiguità o no della posta
in gioco, alla luce delle circostanze soggettive e
oggettive del caso di specie, è accertamento di fatto non
sindacabile in sede di legittimità, se non con riferimento

anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a

ad eventuali vizi della motivazione, nella specie non
sussistenti; e ciò tanto più che gli elementi di fatto dai
quali il ricorrente pretende di far discendere il vizio
denunciato, anche sotto il profilo del vizio di

impugnato, sicché deve ritenersi che la Corte d’appello
abbia espresso la propria valutazione proprio alla luce di
quegli elementi soggettivi e oggettivi dei quali il
ricorrente lamenta la mancata considerazione;
che va poi ricordato che, in applicazione dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni

Volta et autres c. Italia,

Falco et autres c. Italia,

del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010) e recepiti

dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18 giugno
2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13
aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi
amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa
Corte è solita liquidare un indennizzo che rapportato su
base annua corrisponde a circa 500,00 euro per la durata
del giudizio;
e

che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere
di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo
dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte

motivazione, emergono chiaramente dal provvedimento

europea intende assicurare in relazione alla violazione del
termine di durata ragionevole del processo;
che tale conclusione trova conferma ove si consideri
che in tema di equa riparazione per violazione del termine

disconoscimento dell’an

debeatur non rileva la cosiddetta

posta in gioco, la cui modestia è idonea solo ad incidere
sull’ammontare dell’indennità da liquidare, ma non ad
escludere il diritto all’indennizzo, per il cui
accertamento, pertanto, si deve valutare la durata del
processo presupposto, applicando per la determinazione
della ragionevole durata i parametri elaborati dalla CEDU
(Cass. n. 17682 del 2009) e che il giudice, nel determinare
la quantificazione del danno non patrimoniale subito per
ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello
di “soglia minima” là dove, in considerazione del carattere
bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata
nel processo presupposto, parametrata anche sulla
condizione sociale e personale del richiedente,
l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il
e risarcimento del danno non patrimoniale del tutto
sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio
sofferto (Cass. n. 12937 del 2012);
che deve quindi concludersi che, nel caso di specie, la
Corte d’appello, nel liquidare l’indennizzo in 500,00 euro

di durata ragionevole del processo, ai fini del

per ciascuno degli anni di ritardo nella definizione del
giudizio presupposto, anche in considerazione della scarsa
rilevanza della posta in gioco, non sia incorsa nella
denunciata violazione di legge;

alla discussione, non vi è luogo a provvedere sulle spese
del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,
il 4 ottobre 2013.

che non avendo l’Amministrazione intimata partecipato

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