Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27102 del 28/12/2016
Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 19/09/2016, dep.28/12/2016), n. 27102
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere –
Dott. SANDRINI Enrico – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18879-2011 proposto da:
V. SRL, in persona del Socio Amm.re Unico e legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO BOGGIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato GIOVANNI DIRINDELLI giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SIENA UFFICIO
TERRITORIALE DI POGGIBONSI, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –
avverso la sentenza n. 17/2011 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,
depositata il 07/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/09/2016 dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO;
udito per il ricorrente l’Avvocato BOGGIA che ha chiesto
l’accoglimento;
udito per il resistente l’Avvocato CAPOLUPO che ha chiesto il
rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La soc. Valarat ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Firenze, sent. n. 17/25/11 in data 21.1.2011 che aveva accolto, compensando le spese, l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Ufficio Poggibonsi avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Siena, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), IVA, IRPEG + IRAP. 2004.
La vicenda traeva origine da un accertamento di maggior reddito rilevato tramite l’utilizzo degli studi di settore, in base al quale l’ente contestava un maggior valore tra i ricavi dichiarati e quelli presunti di Euro 96.800.000,00.
La CTP aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente in quanto l’accertamento sarebbe stato il semplice risultato dell’applicazione dello studio di settore senza alcuna attività istruttoria di supporto e senza valutazione soggettiva della situazione del contribuente.
La CTR di Firenze accoglieva il ricorso presentato dall’Ufficio, valutando, da un lato, la corretta instaurazione del contraddittorio, dall’altro, evidenziando come il contribuente non abbia fornito alcun elemento concreto atto a contrastare l’accertamento, a parte un generico cattivo “trend” della società.
Il primo dei motivi dedotti in questa sede è rappresentato dalla violazione ovvero dalla falsa applicazione di norme di diritto e precisamente dell’art. 2729 c.c.; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d); L. n. 427 del 1993, art. 62 sexies, in uno con l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto rilevante in ordine al thema decidendum.
Il contribuente ritiene che la CTR abbia erroneamente impostato il proprio ragionamento giuridico in quanto avrebbe concluso che in questa materia sussisterebbe comunque l’inversione dell’onere della prova.
Secondo il ricorrente, infatti, gli studi di settore devono essere qualificati come presunzioni semplici e non come presunzioni legali, per cui essi devoto trovare fondamento su ragioni gravi, precise e concordanti.
Con l’accertamento effettuato, rileva il ricorrente, l’Ufficio si sarebbe limitato a inserire i dati nel software e a effettuare una mera operazione aritmetica, senza che l’instaurarsi del contraddittorio possa considerarsi una causa di esonero dall’onere probatorio, che incombeva ed incombe sull’Ufficio.
Correttamente, pertanto, la Commissione provinciale aveva accolto l’impugnazione della società, in quanto l’Ufficio avrebbe ricavato il reddito accertato solo sulla base dei risultati dell’applicazione dello studio di settore, senza alcuna attività istruttoria di supporto e senza la valutazione della posizione soggettiva del contribuente.
La decisione oggetto di ricorso, invece, nella prospettiva del ricorrente, non può essere condivisa, non avendo proceduto il giudice di secondo grado alla necessaria dimostrazione dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nel senso innanzi indicato.Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente eccepisce la nullità della sentenza di secondo grado per violazione dell’art. 112 c.p.c., relativamente al capo inerente la compensazione delle spese di lite anche per il primo capo di giudizio, con riferimento alla mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto l’appellante non aveva presentato alcuna richiesta specifica.
Con il terzo motivo di ricorso il contribuente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, per omessa o insufficiente motivazione circa il capo di sentenza relativo alle spese di lite., chiedendo, quindi, quindi una riforma della sentenza anche per le spese di lite e allega un prospetto di nota per Euro 5.877,46.
L’agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione, non essendosi costituita nei termini di legge mediante controricorso, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.p., comma 1, c.p.p., comma 1 c.p.c. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato, in quanto, da un lato, la motivazione posta a sostegno della decisione di secondo grado appare conforme al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità in materia; dall’altro, risulta fondato su motivi, che si traducono in vizi di merito, non consentiti in questa sede di legittimità.
Ed invero, come affermato dal costante orientamentò della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento” (cfr., ex plurimis; n. 3415 del 20.2.2015).
Quindi, da un lato, l’accertamento ha trovato il proprio fondamento nell’applicazione dei risultati derivanti dallo studio di settore, dall’altro sul contribuente incombeva l’onere della prova, che è rimasto inadempiuto, non avendo egli prodotto alcun elemento in grado di giustificare la produzione di un reddito inferiore a quello che sarebbe normale in base all’accertamento tributario standardizzato, utilizzato dall’ufficio, in applicazione di un modello standardizzato, la cui applicabilità al caso concreto il ricorrente nemmeno contesta.
Per quanto riguarda la doglianza relativa alle spese, se ne deve rilevare la manifesta infondatezza, in quanto la relativa decisione rappresenta il frutto di una scelta discrezionale, che non risulta arbitraria, avendo il giudice di secondo grado operato una valutazione complessiva della natura della lite, al fine di dichiarare la compensazione delle spese, senza tacere che l’epilogo decisorio del giudizio di appello avrebbe legittimato non la società ricorrente, ma l’Agenzia delle entrate, che ha visto riconosciuta la legittimità ab initio della sua pretesa, a ricorrere avverso la disposta compensazione delle spese.
Le spese del presente grado di giudizio vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna alle spese che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016