Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27102 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 27/11/2020), n.27102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17099-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 66/2011 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 13/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. D’AURIA GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di processo verbale di constatazione effettuato dalla G. F. nei confronti della ditta individuale G.P., erano emessi vari avvisi di rettifica del reddito dichiarato per l’anno 2003, 2004 e 2005. Tali avvisi erano tutti impugnati dal contribuente con distinti ricorsi, e con sentenze n. 62/05/2009, 63/05/2009, 64/05/2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Imperia determinava, adeguandosi alle conclusione della ctu, per il 2003 il reddito di esercizio ad Euro 58686,00, mentre considerava sostanzialmente corretti i redditi dichiarati per gli anni di imposta 2004 e 2005.

Tutte e tre le sentenze erano impugnate dall’Agenzia delle Entrate, e la commissione regionale di Genova, riuniti gli appelli, confermava le distinte decisioni della commissione provinciale.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’avvocatura dello stato, limitatamente ai redditi del 2004 e del 2005, affidandosi a quattro motivi così sintetizzabili:

1) Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

2) Motivazione omessa od insufficienza su fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3) Motivazione omessa od insufficienza su fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (con riferimento ad altra circostanza di fatto).

4) Motivazione omessa od insufficiente su fatto della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Non si costituisce l’intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame, la ricorrente Agenzia assume che la sentenza impugnata non ha i requisiti di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. Il motivo è infondato.

Invero il ricorrente nell’illustrare il motivo, appunta le sue critiche sulla motivazione della sentenza impugnata, la quale non risponderebbe ai requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (peraltro analogo all’art. 132 c.p.c.) e sarebbe inidonea ad esprimere le ragioni della decisione: ciò, in ragione della sua brevità, della mera adesione alla consulenza tecnica d’ufficio, della mancanza di un compiuto ragionamento.

Nel caso di specie la motivazione non può dirsi mancante o meramente apparente, in quanto il giudice della sentenza impugnata ha rispettato in pieno il canone della sinteticità, unito a quello della chiarezza. In sintesi, il giudice del merito ha adempiuto correttamente al proprio obbligo motivazionale richiamando i risultati e le argomentazioni esposte dal consulente tecnico d’ufficio in materia di ricostruzione analitica del reddito, già fatte proprie dal giudice di primo grado.

Rientra nelle tecniche argomentative lecite l’ipotesi in cui il giudice faccia riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, posto che il giudice dell’impugnazione ben può aderire a quella, senza necessità, ove la condivida, di ripetere necessariamente tutti gli argomenti a sostegno della decisione o di rinvenirne altri. Nel caso il giudice del gravame ha valutato corretta la ctu svolta in primo grado (su cui poggia l’intero percorso argomentativo) evidenziando anche che alle operazioni peritali avessero partecipato anche i consulenti di parte, considerando anche le censure riproposte con l’appello, considerate generiche e basate su valutazioni probabilistiche. Sotto tale profilo è opportuno evidenziare che le Sezioni unite hanno statuito, con riguardo alla sentenza riproduttiva delle argomentazioni di un atto di parte, pur senza niente aggiungervi, che essa non è nulla, ove le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro (Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642), a maggior ragione tale principio va applicato al caso in esame in cui il giudice ha dato prevalenza alla ctu, disattendendo le censure di parte.

In altri termini, avendo la sentenza impugnata riportato le conclusioni della consulenza tecnica espletata, aderendo ad esse e richiamando altresì le argomentazione del primo giudice, ha assolto al proprio obbligo di motivare la sentenza pronunciata, a norma dell’art. 36 citato. Non a caso, nell’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e dell’economia processuale, in una con quello del giusto processo, si deve tendere ad una motivazione concisa sempre che, nel rispetto della completezza e chiarezza, sia tuttavia in grado di esprimere i concetti in modo sintetico, senza passaggi sovrabbondanti ed inutili.

Invero il motivo de quo, come si evince dalla illustrazione del motivo, maschera una richiesta di diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in sede di legittimità perchè la motivazione adottata dalla Corte di appello è logicamente accettabile e non è ripetibile in questa sede.

Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente assume che il giudice avrebbe pretermesso un fatto decisivo in particolare e cioè il giudice non avrebbe considerato che alcuni pagamenti effettuati dai clienti non erano supportati da scontrini fiscali, ed in alcuni casi riportati ad una stessa persona vari pagamenti elettronici, con erronea valutazione.

Anche tali motivi sono infondati in quanto il ctu, come indicato dallo stesso ricorrente, ha ritenuto che i pagamenti con carte di credito o con POS non erano importi in nero ma si riferissero a pagamenti rateali in relazione a scontrini già emessi (nel caso ciò appare plausibile trattandosi di orologi o oggetti preziosi di valore elevato), e esaminando alcune ricevute le aveva collegate ad uno stesso cliente. Invero le doglianze contenute in tale motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, tendano a richiedere una rivalutazione dei fatti storici già effettuata dal ctu, e fatta propria dal giudice del merito, e quindi appaiono inammissibili. Come si vede lungi dall’essere la questione non esaminata, sia pure tramite il ctu, il ricorrente si lamenta del risultato della valutazione non corrispondente ai “propria desiderata”, questione che esula dall’accertamento in questa sede.

Identico ragionamento va svolto per il quarto motivo in cui si deduce l’omessa e l’insufficienza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In particolare il contribuente aveva portato tra le perdite il mancato incasso di un credito. Ma anche tale fatto è stato esaminato dal ctu, e considerato dimostrata la perdita sulla base dell’incartamento fornito ed in particolare della relazione del difensore, a cui si era rivolto il contribuente per il recupero, che contenevano elementi specifici come si deduce dalla stessa illustrazione del motivo. In breve, la complessiva censura esorbita dal modello legale di denuncia di un omesso esame di un fatto decisivo vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè sostanzialmente propone una diversa ricostruzione e valutazione del merito.

In definitiva il ricorso va respinto.

Nulla per le spese stante la (N.d.r. testo originale non comprensibile) del contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

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