Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27102 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. II, 06/10/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 06/10/2021), n.27102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 20101/2016 proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., rappresentata e difesa dagli Avvocati Enrico

Giovanni Caramori, e Luca Colombo, con domicilio eletto nello studio

dell’Avvocato Cristiano Fanelli, in Roma, via Valsavaranche, n. 39;

– ricorrente –

contro

B.A., G.G., e G.P.,

rappresentati e difesi dall’Avvocato Ezio Perego;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano n.

2944/15 pubblicata il 7 luglio 2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La controversia è stata promossa, per ottenere la tutela demolitoria e quella risarcitoria per il mancato rispetto delle distanze legali, da G.A. e da B.A. – comproprietari di un immobile ad uso di abitazione sito in (OMISSIS), contraddistinto al foglio (OMISSIS), mapp. (OMISSIS) e costituito da villa di pregio posta su un piano fuori terra, con mansarda abitabile e piano seminterrato abitabile, terrazze, autorimesse, box e giardino a seguito della realizzazione, da parte della convenuta (OMISSIS) s.r.l., nell’area a mappale (OMISSIS) frontista e confinante con quella degli attori, di due nuovi fabbricati, detti Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” e di due villettine.

2. – Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 4258/2011 emessa il 15-30 marzo 2011, ha rigettato le domande proposte dagli attori in riassunzione ( B.A., G.P. e G.G.), dopo il decesso di G.A..

3. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 luglio 2015, in parziale accoglimento del gravame proposto da B.A., G.P. e G.G., ha così provveduto:

(1) ha accertato e dichiarato l’illegittimità delle Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” contraddistinte al N.C.E.U. del Comune di Cernusco sul Naviglio al foglio (OMISSIS) mappale (OMISSIS) (ex mappale (OMISSIS)), in quanto edificate, sul lato est, in violazione delle distanze legali dal muro di confine di proprietà degli appellanti;

(2) ha ordinato, per l’effetto, l’arretramento della Palazzina “(OMISSIS)” e della Palazzina “(OMISSIS)” a una distanza minima dal confine pari rispettivamente a m. 6,19 e a m. 6,14;

(3) ha condannato l'(OMISSIS) s.r.l. a versare alla B. e ai G., a titolo di risarcimento del danno per effetto dell’accertata illiceità delle opere edilizie, la somma di Euro 37,560, pari al deprezzamento dell’unità immobiliare di proprietà degli appellanti, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

(4) ha condannato l'(OMISSIS) s.r.l. a versare alla B. e ai G., a titolo di risarcimento del danno conseguente allo sconfinamento per la sottomurazione del muro di confine, esistente sul lato est, di proprietà degli attori, la somma di Euro 4.509, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;

(5) ha condannato l'(OMISSIS) s.r.l. a corrispondere alla B. e ai G. i 3/4 delle spese di lite relativamente al giudizio di primo grado;

(6) ha posto le spese di c.t.u. definitivamente a carico dell'(OMISSIS) s.r.l. nella misura dei 3/4;

(7) ha confermato nel resto l’impugnata pronuncia;

(8) ha condannato la società appellata a rifondere agli appellanti i 3/4 delle spese processuali del grado.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello l'(OMISSIS) ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 agosto 2016, sulla base di nove motivi.

Gli intimati B. e G. hanno resistito con controricorso.

5. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Con pec del 29 marzo 2021 i difensori della ricorrente hanno comunicato che il Tribunale di Milano, con sentenza n. 47/2020 pubblicata il 20 gennaio 2020, ha dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione.

In prossimità della Camera di consiglio, con pec dell’11 maggio 2021, la difesa dei controricorrenti ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il sopravvenuto fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, dichiarato dal Tribunale di Milano con sentenza in data 20 gennaio 2020 nella pendenza del giudizio di cassazione, non determina l’interruzione del processo, essendo il processo di cassazione dominato dall’impulso di ufficio (Cass., Sez. I, 12 febbraio 2021, n. 3630).

2. – Sempre in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità per tardività della memoria dei controricorrenti, essendo questa stata depositata l’11 maggio 2021, una volta trascorso il termine di dieci giorni prima dell’adunanza in Camera di consiglio (fissata per il 20 maggio 2021), prescritto dall’art. 380-bis.1 c.p.c..

3. – Con il primo motivo (violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E; carenza assoluta di giurisdizione in parte qua) la società ricorrente censura che la Corte d’appello abbia, nel primo capo del dispositivo, dichiarato l’illegittimità delle Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, sostenendo che la decisione circa la legittimità del manufatto edilizio e, necessariamente, del titolo edificatorio che lo sorregge, esulerebbe dalla competenza del giudice ordinario e sarebbe prerogativa del giudice amministrativo. La Corte d’appello avrebbe dichiarato illegittimo il manufatto edilizio, con ciò superando il confine di giurisdizione stabilito dall’ordinamento.

3.1. – La doglianza è priva di fondamento.

La Corte d’appello – decidendo in grado di appello una controversia tra privati, proprietari di fondi confinanti, nella quale gli attori B. e G. hanno domandato la tutela demolitoria e quella risarcitoria a seguito della realizzazione di opere edilizie da parte della convenuta frontista e confinante, la (OMISSIS) s.r.l. – ha accertato e dichiarato l’illegittimità delle Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, in quanto edificate, sul lato est, in violazione delle distanze legali dal muro di confine di proprietà degli appellanti e ha ordinato, per l’effetto, l’arretramento della Palazzina “(OMISSIS)” e della Palazzina “(OMISSIS)” a una distanza minima dal confine pari rispettivamente a m. 6,19 e a m. 6,14.

Il giudice d’appello ha individuato il profilo di illegittimità nella violazione delle distanze, di cui agli artt. 3.16 e 15.4 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e ha ritenuto che dalla accertata violazione dei limiti legali della proprietà nei rapporti di vicinato, derivante dalla maggiore altezza delle due palazzine e dal relativo maggior sfruttamento volumetrico, discende il diritto del vicino, danneggiato dalla nuova costruzione, a chiedere la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 872 c.c..

In tale contesto, non sono configurabili né il denunciato difetto relativo di giurisdizione a favore del giudice amministrativo, né l’ipotizzata carenza assoluta di potere giurisdizionale per invasione della sfera della P.A., posto che oggetto della domanda giudiziale, e della conseguente pronuncia del giudice, non è l’annullamento del titolo edilizio concessione edilizia, permesso di costruire o dichiarazione di inizio di attività – ma l’illegittimità della costruzione per violazione delle norme in materia di distanze stabilite dal codice civile e dalla disciplina urbanistica locale di carattere integrativo.

Infatti, per costante giurisprudenza, le controversie tra proprietari, relative alla violazione delle distanze legali tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di cause tra privati, anche quando la violazione denunciata riguardi una costruzione realizzata in conformità ad una concessione edilizia (eventualmente) illegittima, potendo il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione vertendosi in tema di violazione di diritti soggettivi, accertare incidentalmente tale illegittimità e disapplicare l’atto (Cass., Sez. Un., 4 ottobre 1996, n. 8688; Cass., Sez. Un., 11 giugno 2001, n. 7871; Cass., Sez. Un., 1 luglio 2002, n. 9555; Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2011, n. 21578).

4. – Il secondo mezzo lamenta violazione dell’art. 880 c.c. e art. 345 c.p.c.. La società ricorrente sostiene che la presunzione di comproprietà del muro non sarebbe superata e lo stesso dovrebbe ritenersi comune alle due proprietà. La sentenza impugnata avrebbe considerato le planimetrie di progetto o degli atti di compravendita satisfattivi dell’onere probatorio richiesto dall’art. 880 c.c., senza invece richiedere che gli appellanti esibissero il titolo di acquisto della proprietà della totalità del muro. Sarebbe viziata la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha affermato il mancato rispetto della distanza dal muro di confine, erroneamente qualificato come muro di contenimento. Al più si tratterebbe di manufatto interrato, il quale non rileva ai fini delle distanze legali. Ne deriverebbe, ad avviso della ricorrente, l’inapplicabilità degli artt. 873 c.c. e segg. e del loro richiamo alla normativa locale per la distanza tra la Palazzina “(OMISSIS)” e l’asserito muro di contenimento. La sentenza sarebbe viziata anche per l’inammissibilità e tardività delle relazioni tecniche prodotte dagli appellanti con l’atto di citazione in appello; in ogni caso si tratterebbe di relazioni prive di valore probatorio, in quanto atti di parte. In merito alla natura del muro a confine, alla sua rilevanza in materia di distanze legali e alla presenza del rispetto di una qualunque distanza di detto muro dal confine e da altre costruzioni, sarebbe configurabile, ad avviso della ricorrente, la violazione dell’art. 345 c.p.c., sotto il profilo del divieto di domande nuove in appello.

4.1. – La censura è priva di fondamento.

4.1.1. – Superando la conclusione cui era giunto sul punto il Tribunale – il quale aveva ritenuto che, in assenza di sufficienti elementi di prova in contrario, il muro di confine dovesse considerarsi, nei limiti incidentali della decisione, di proprietà comune sia ai G. che alla Immobiliare – la Corte d’appello è pervenuta a ritenere, sulla diversa premessa della proprietà esclusiva del muro di confine in capo agli attori, la correttezza delle misurazioni collegialmente effettuate a partire dal filo esterno del muro rispetto alla proprietà degli attori (“con coerente riferimento a quanto indicato su tutte le tavole di progetto della (OMISSIS)”).

A tale esito decisorio la Corte territoriale è giunta:

sulla base delle planimetrie generali con distanze dai confini a firma dell'(OMISSIS), ove risulta espressamente riconosciuto il confine delle due Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” nella linea di recinzione interna, mentre sul lato opposto la dicitura è “confine recinzione esterno”;

ancora, sulla base degli atti di compravendita, debitamente trascritti, nei quali la società appellata dichiara espressamente che “la recinzione verso il confine di est è di proprietà del confinante”;

– rilevando che nel corso delle operazioni peritali la proprietà esclusiva del muro di confine in capo agli attori non è mai stata messa in dubbio da alcuno, e nemmeno dal consulente tecnico di parte della convenuta (OMISSIS) in occasione delle misurazioni effettuate collegialmente.

La conclusione alla quale è pervenuta la Corte ambrosiana si sottrae alle doglianze articolate con il motivo.

La presunzione iuris tantum di comunione del muro divisorio fra edifici sancita dall’art. 880 c.c., invero, può essere vinta dalla prova della proprietà esclusiva del muro, facendo riferimento ad uno dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario o derivativo (Cass., Sez. II, 28 gennaio 1999, n. 756).

Nella specie la Corte di Milano ha ritenuto raggiunta la prova della proprietà esclusiva in capo agli attori B. e G. del muro di confine in questione sulla base di un insieme convergente di elementi, dagli atti di compravendita, debitamente trascritti, alle planimetrie, fino al comportamento tenuto nel corso delle operazioni peritali dal consulente tecnico di parte convenuta.

Sebbene deduca formalmente la violazione e la falsa applicazione dell’art. 880 c.c., in realtà il motivo finisce con il denunciare l’esito della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice del merito, sostanzialmente richiedendo a questa Corte un’autonoma valutazione di quelle risultanze, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del giudizio di merito.

4.1.2. – Il motivo, inoltre, non coglie la ratio decidendi, e non è pertinente con la denunciata violazione dell’art. 880 c.c. e art. 345 c.p.c., là dove addebita alla Corte d’appello di avere, con riguardo al mancato rispetto della distanza dal muro di confine, qualificato il muro come di contenimento, e dunque costruzione. La sentenza impugnata, infatti, si è limitata a ritenere il muro di proprietà degli attori (così a pagina 9), e quindi a farne discendere la correttezza delle misurazioni collegialmente effettuate a partire dal filo esterno dello stesso, ma non ha fondato la propria statuizione, in ordine al termine della distanza che la convenuta doveva rispettare, sulla qualificazione del muro come di contenimento.

Sono pertanto inammissibili le doglianze con cui la ricorrente: (a) afferma che il muro in realtà non è muro di contenimento; (b) sostiene che si sarebbe in presenza di un manufatto interrato, tra l’altro richiamando genericamente, senza adeguata localizzazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6), il “verbale di sopralluogo comunale del 7 novembre 2003, prodotto in atti di primo grado”.

4.1.3. – E’ infondata la censura con cui si denuncia che la Corte d’appello avrebbe pronunciato su una domanda nuova.

Risulta infatti dalla stessa sentenza impugnata: (a) che sin dalla domanda azionata in primo grado gli attori hanno chiesto il rispetto delle distanze legali dettate dagli artt. 872,873 c.c. e segg., nonché dalle norme integrative del codice civile e, quindi, l’arretramento delle nuove Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” realizzate a distanza illegittima in relazione al muro di confine della loro proprietà, in primis perché inferiore ai m. 5 stabiliti dall’art. 15 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale (vedi pagina 2 della sentenza, dove sono riportate le richieste avanzate dagli attori in primo grado); (b) che, rigettata la domanda dal Tribunale – sul rilievo che il muro di confine doveva ritenersi di proprietà comune, sicché la distanza da rispettare andava collocata non dal suo filo esterno ma dalla sua linea mediana – gli appellanti hanno proposto uno specifico motivo di appello, censurando l’intervenuta applicazione della presunzione iuris tantum prevista dall’art. 880 c.c..

Inoltre, la doglianza della società ricorrente è sollevata in modo generico, facendosi riferimento, del tutto aspecifico, alle “prospettazioni avversarie che hanno costituito il fondamento della sentenza impugnata… in merito alla natura del muro a confine, alla sua rilevanza in materia di distanze legali e alla pretesa del rispetto di una qualsivoglia distanza di detto muro dal confine o da altre costruzioni”, senza circostanziare precisamente, attraverso il confronto delle richieste avanzate in appello con la domanda introduttiva in primo grado, l’ambito della lamentata novità.

Ne deriva che nessuna domanda nuova è stata accolta in appello.

Del pari generico è il motivo là dove si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata dalla inammissibilità e tardività delle relazioni tecniche prodotte con l’atto di citazione in appello. La censura non spiega infatti in quali termini tali relazioni tecniche abbiano influito sulla decisione assunta dalla Corte d’appello. A ciò deve aggiungersi il rilievo, assorbente, che la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello (Cass., Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13902; Cass., Sez. II, 24 agosto 2017, n. 20347).

5. – Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3.13, 3.16 e 15.4 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Cernusco sul Naviglio. In primo luogo perché il balcone “(OMISSIS)” non è superiore a n. 1,50 “e pertanto l’eventuale arretramento della palazzina “(OMISSIS)” non può disporre il rispetto anche di tale distanza”. Quanto al balcone “(OMISSIS)”, si osserva che esso è stato edificato per un errore di messa in opera della misura di m. 1,54 anziché di m. 1,50. In relazione alle altezze, la difesa della ricorrente censura che la sentenza impugnata abbia attribuito al piano sottotetto una attitudine abitativa che non troverebbe conferma nelle tavole progettuali. Si sottolinea al riguardo che al fine dell’abitabilità dei sottotetti sarebbe necessario, oltre all’acquisizione di determinate concessioni comunali, il rispetto di specifiche caratteristiche tecniche, di cui i sottotetti in esame sarebbero privi. Non rileverebbe il preteso mero utilizzo di fatto degli stessi ad opera di soggetti terzi, perché l’attitudine abitativa non sarebbe un “requisito opinabile”, essendo invece “riferito a circostanze oggettivamente verificabili al momento della edificazione”. Non rinvenendosi le condizioni di abitabilità, le altezze dei piani sottotetto delle palazzine residenziali “non potrebbero rilevare ai fini né dell’altezza dell’edificio né della relativa distanza dal confine”.

5.1. – La complessiva doglianza è infondata.

5.2. – In ordine ai balconi, la Corte d’appello ha richiamato il principio secondo cui la distanza di un edificio dal confine, ove esso presenti sporgenze non meramente decorative e stabilmente incorporate nell’immobile del quale formano parte integrante, deve essere misurata tenendo conto di dette sporgenze; e, fatto riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio, in particolare all’allegato 14, ha statuito che il disposto arretramento deve tenere conto, ai fini del rispetto delle distanze, dei due balconi della Palazzina “(OMISSIS)” che risultano avere un aggetto di m. 1,54, “trattandosi, nel caso concreto, di incombenti aggetti implicanti un ampliamento dell’edificio in superficie e volume”.

La società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3.13 delle norme tecniche di attuazione, il quale prevede che “eventuali aggetti superiori a m. 1,50 concorrono completamente per tutta la lunghezza dell’aggetto, alla distanza del fabbricato dai confini”; ma il motivo non considera che la Corte d’appello ha disposto la riduzione in pristino non dei balconi con sporgenza pari o inferiore a m. 1,50, ma soltanto dei due balconi della Palazzina “(OMISSIS)” che, in base alla c.t.u., risultano avere un aggetto di m. 1,54.

Quanto poi al rilievo della società ricorrente secondo cui “entrambi i balconi saranno di m. 1,50 e non rileveranno nel computo delle distanze dal confine”, si tratta di una deduzione in fatto e rivolta al futuro, che non incide sull’accertamento, svolto motivatamente dalla Corte territoriale sulla base della consulenza d’ufficio, della presenza di due balconi con una sporgenza superiore a quella consentita.

5.3. – In relazione alle altezze, la Corte d’appello ha fatto applicazione dell’art. 3.16 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Cernusco sul Naviglio, ai cui sensi “nel caso di mansarde che presentino caratteristiche di abitabilità al momento della costruzione si considera l’altezza media della copertura, misurata all’intradosso”. Dopo avere accertato, alla luce dei verbali d’ispezione e delle relazioni di servizio redatti dalla polizia municipale, che, nel caso di specie, i sottotetti alienati dall'(OMISSIS) quali vani abitabili presentano tutti caratteristiche di abitabilità, essendo dotati di finiture e impianti (citofono, riscaldamento elettrico, impianto idrico) finalizzati alla permanenza di persone, con presenza di bagni, camere da letto, soggiorni, lavanderie, la Corte territoriale è giunta alla conclusione che la realizzazione di unità abitative formalmente assentite come sottotetti, ma in realtà strutturate concretamente come mansarde aventi caratteristiche di permanente abitabilità e suscettibili di destinazione abitativa, è circostanza rilevante nella individuazione dell’altezza effettiva delle Palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” e comporta pertanto la considerazione di tali unità ai fini della corretta individuazione dell’intradossso dell’ultimo piano abitabile e del conseguente calcolo circa il superamento o meno delle distanze legali.

Si tratta di conclusione che non incorre nella violazione delle norme tecniche di attuazione, essendosi la Corte d’appello uniformata ai precedenti di questa Corte.

Si è infatti statuito che, in tema di limiti legali della proprietà, qualora la concreta determinazione della distanza tra costruzioni sia riferita all’altezza dei fabbricati, il relativo computo concerne l’intera estensione, in elevazione, della costruzione, sì da ricomprendere ogni parte che concorra a realizzare un maggior volume concretamente abitabile ed una conseguente compressione di quei beni (luminosità, salubrità, igiene) che le norme dei regolamenti edilizi intendono tutelare, restando sottratte all’osservanza di tale distanza le sole parti aventi natura ornamentale ovvero meramente funzionale rispetto alla struttura dell’immobile (Cass., Sez. II, 31 maggio 2006, n. 12964; Cass., Sez. II, 25 maggio 2016, n. 10872).

Va al riguardo affermato che l’abitabilità dei sottotetti deve essere verificata in concreto, in relazione alle loro caratteristiche oggettive, e non anche rimettendosi a quanto stabilito, sul punto, dall’autorità amministrativa in sede di rilascio della concessione o del permesso di costruire.

Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante che l’eventuale destinazione abitativa utile ai fini del calcolo dell’altezza sia una destinazione abusiva o comunque non consentita dalla disciplina urbanistica.

Non hanno quindi fondamento le doglianze della ricorrente, la quale sostiene che, per verificare il rispetto della normativa comunale in merito alla distanza minima prescritta rispetto al confine, da calcolarsi rispetto all’altezza dei fabbricati, occorrerebbe avere riguardo alla natura abitabile o meno come risultante dai titoli abilitativi provenienti dalla stessa amministrazione comunale.

Invero, le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, allorché fanno riferimento alla misura dell’altezza dei fabbricati per stabilire la distanza dai fabbricati vicini, sono evidentemente ispirati alla ratio di rapportare quest’ultima alla quota effettiva dei fabbricati stessi, in modo da computare in essa anche la parte immediatamente sottostante il solaio di copertura dell’edificio che, essendo concretamente strutturata come mansarde aventi caratteristiche di permanente abitabilità, concorra ad accrescere la proiezione in elevazione dell’edificio.

6. – Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3.13, 3.16 e 15.4 delle norme tecniche di attuazione del Comune di Cernusco sul Naviglio, rilevando che, per tutte le ragioni illustrate nel terzo motivo, l’ordine di arretramento a m. 6,19 e a m. 6,14, oltre alla distanza di aggetto dei balconi, contenuto nel secondo capo del dispositivo, sarebbe illegittimo per violazione della normativa indicata in epigrafe.

6.1. – Il mezzo è infondato, per le ragioni espresse nello scrutinio del terzo motivo di censura.

7. – Con il quinto motivo la (OMISSIS) lamenta violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 905c.c., nonché dell’art. 345 c.p.c., deducendo che da tutti gli assunti svolti con le precedenti censure deriverebbe l’insussistenza del diritto degli attori ad ottenere un qualsivoglia risarcimento del danno. In particolare, sostiene la difesa della ricorrente che l’asserito danno sarebbe privo di fondamento, essendo le palazzine “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)” state edificate a norma della destinazione edilizia prevista dal piano regolatore; che le distanze delle vedute dirette nel caso di specie sarebbero di gran lunga superiori ai m. 1,50 richiesti dall’art. 905 c.c.; che, secondo la c.t.u., il preteso danno per soleggiamento e illuminazione risulterebbe ininfluente. Avrebbe inoltre errato la sentenza impugnata a non considerare che la relazione tecnica di parte degli eredi G. sarebbe priva di valore probatorio, essendo stata depositata solo con l’atto di appello, in violazione del divieto dei nova in tale grado. Nessuna illegittima servitù di veduta sarebbe stata posta in essere dalla ricorrente.

7.1. – Il motivo e’, anche per la parte in cui non costituisce reiterazione di censure già scrutinate, infondato.

La Corte d’appello ha ritenuto sussistente il danno derivante dalla realizzazione dell’opera edilizia in violazione delle norme regolamentari locali; e lo ha liquidato in via equitativa, tenendo conto dei parametri di valutazione contenuti nella c.t.u., che ha stimato un deprezzamento pari al 2% del valore dell’unità immobiliare di proprietà degli attori. La Corte territoriale ha ravvisato il danno non solo nel deprezzamento commerciale del bene o nella totale perdita di godimento di esso (aspetti che vengono superati dalla tutela ripristinatoria), ma anche nella indebita limitazione del pieno godimento del fondo in termini di diminuzione di amenità, comodità e tranquillità, trattandosi di effetti pregiudizievoli egualmente suscettibili di valutazione patrimoniale.

La decisione della Corte d’appello si sottrae alle censure della società ricorrente.

Va infatti ribadito che in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima, deve ritenersi in re ipsa (Cass., Sez. II, 16 dicembre 2010, n. 25475).

D’altra parte, la censura di violazione del divieto dei nova in secondo grado non si confronta adeguatamente con la ratio decidendi, posto che la Corte d’appello ha ancorato la valutazione equitativa del danno (su un valore dell’unità immobiliare di proprietà degli attori, calcolato complessivamente in Euro 1.878.000) al deprezzamento stimato dal c.t.u. sin dal primo grado di giudizio.

Deve in ogni caso essere richiamato il principio secondo cui la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello.

Generico è infine il rilievo della ricorrente secondo cui nel caso di specie la distanza delle vedute sarebbe superiore a m. 1,50.

8. – Con il sesto motivo la (OMISSIS) lamenta violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 880c.c., nonché dell’art. 345 c.p.c., deducendo che il capo quarto del dispositivo, relativo alla condanna a titolo di risarcimento del danno conseguente allo sconfinamento, si sarebbe formato sulla scorta di contenuti giuridici forniti da una relazione peritale di parte depositata nel corso del giudizio di appello, e come tale inammissibile. In ogni caso il muro divisorio sarebbe comune alle parti; per tale ragione i lavori di sottomurazione non avrebbero generato alcuno sconfinamento, e semmai uno sconfinamento sotterraneo di pochi centimetri.

8.1. – Il motivo è infondato.

Lo e’, innanzitutto, là dove rimanda, sulla comunione del muro divisorio, alle censure già espresse con il secondo motivo, non accolto da questa Corte.

La censura deve essere del pari disattesa nella parte in cui prospetta che la sentenza di appello si sarebbe formata sulla scorta di una relazione tecnica di parte depositata inammissibilmente in grado di appello. Infatti il danno da sottomurazione è stato riconosciuto sulla base della c.t.u.; la Corte d’appello ha escluso di poter rideterminare il deprezzamento come richiesto dagli appellanti in base alla relazione tecnica a firma dell’arch. R., allegata all’atto di citazione d’appello. A ciò deve aggiungersi il richiamo del principio per cui la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio, la cui produzione, regolata dalle norme che disciplinano tali atti e perciò sottratta al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., deve ritenersi consentita anche in appello.

9. – Il settimo motivo, con il quale si impugna il quinto capo, denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla errata attribuzione della qualità di soccombente con riferimento alla condanna al pagamento delle spese di lite di primo grado.

L’ottavo motivo, con il quale si impugna il sesto capo, denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla errata attribuzione della qualità di soccombente con riferimento alla condanna al pagamento delle spese della c.t.u..

Il nono motivo, con il quale si impugna il settimo capo, denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla errata attribuzione della qualità di soccombente con riferimento alla condanna al pagamento delle spese processuali di secondo grado.

9.1. – Tutti e tre i motivi sono inammissibili. Con essi infatti le statuizioni sulle spese, processuali e di c.t.u., vengono censurate non per ragioni autonome, ma come effetto di ricaduta di un superamento della soccombenza, affidato, ma infondatamente, agli altri motivi di ricorso.

10. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

11. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 6.700, di cui Euro 6.500 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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