Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2710 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. III, 04/02/2021, (ud. 16/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30796-2018 proposto da:

AUDITORIUM SERVICE SAS DI M.D. & C SAS,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 158,

presso lo studio dell’avvocato DE TILLA, rappresentata e difesa

dagli avvocati MARIA ANDRETTA, GIAMPIERO SANTONI, LEONARDO PENNA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA ITALIANA DELLA CONGREGAZIONE DELLE PIE DISCEPOLE DEL DIVIN

MAESTRO ROMA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI 2,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PATRIZIA TOVAZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20796/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 20/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/11/2020 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Auditorium Service s.a.s. di M.D. & C. ha impugnato per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza della Corte di cassazione Sezione 3 civile, pubblicata in data 20.8.2018 n. 20796, non notificata, con la quale era stato rigettato il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., proposto dalla medesima società, avverso la sentenza, in data 31.10.2016 n. 1722, della Corte d’appello di Firenze che, confermando la decisione di prime cure, aveva dichiarato risolto per inadempimento della predetta società conduttrice il contratto di locazione ad uso attività alberghiera stipulato con la locatrice Provincia Italiana della Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro, ed aveva condannato la prima al pagamento dei canoni rimasti insoluti.

Deduce la ricorrente, con l’unico motivo di ricorso, che la Corte di legittimità sarebbe incorsa in errore di percezione avendo supposta la idoneità dell’immobile all’uso locatizio mentre “dagli atti di causa e dalle risultanze documentali” emergeva “un degrado strutturale dello stesso che ne impediva qualsivoglia utilizzazione”, come riscontrabile dalla ordinanza del Comune di Firenze, in data 9.11.2016, già depositata nel giudizio di legittimità, con la quale veniva ordinato alla società di eseguire tutti gli interventi necessari alla messa in sicurezza dell’immobile.

Ha resistito con controricorso Provincia Italiana della Congregazione delle Pie Discepole del Divin Maestro.

La società ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Per consolidato orientamento giurisprudenziale l'”errore di fatto”, che può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato dall’art. 391 bis c.p.c., consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato. Tale genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 561 del 10/08/2000; id. Sez. 1, Sentenza n. 9505 del 28/06/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 12283 del 05/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 4295 del 01/03/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 8295 del 20/04/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 21830 del 10/11/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 2430 del 03/02/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 2425 del 03/02/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 25376 del 29/11/2006). Non integra, pertanto, errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4) la valutazione, ancorchè errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata, trattandosi di vizio costituente errore di giudizio e non di percezione di un fatto (cfr. Corte cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 8615 del 03/04/2017 -con riferimento alla “errata valutazione” dei motivi di ricorso-; id. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 10184 del 27/04/2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3760 del 15/02/2018).

L’errore revocatorio, pertanto, non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche e deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche, dovendo precisarsi che l’errore percettivo in cui incorre il Giudice di legittimità attiene in via esclusiva agli atti e documenti “interni” al solo giudizio di legittimità, dovendo in conseguenza riverberare l’errore – rilevante e decisivo – esclusivamente sull’oggetto della decisione della Corte di legittimità e non su atti e documenti relativi depositati nei precedenti gradi di giudizio e che sono stati oggetto di esame, o avrebbero dovuto esserlo, da parte dei Giudici di merito. In tal senso, è stato puntualmente evidenziato come gli atti e documenti rilevanti ai fini dell’errore percettivo nel giudizio di legittimità sono soltanto quelli “conseguenti alla proposizione del ricorso (ad esempio, il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 1 ed il controricorso con eventuale ricorso incidentale), tutti gli atti che vanno depositati insieme al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, nonchè il fascicolo d’ufficio, ma esclusivamente nei casi in cui la Corte debba esaminarli direttamente con propria autonoma indagine di fatto, senza cioè la mediazione della sentenza impugnata, in quanto siano stati dedotti “errores in procedendo”, ovvero perchè siano emerse questioni processuali rilevabili d’ufficio” (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 3190 del 14/02/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 24856 del 22/11/2006; id. Sez. L, Sentenza n. 3820 del 18/02/2014; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4456 del 05/03/2015; id. Sez. 1 -, Ordinanza n. 26643 del 22/10/2018).

Tanto premesso la ricorrente assume che oggetto del fatto la cui esistenza è stata disconosciuta – e che emergerebbe inequivocamente dai documenti allegati al giudizio di legittimità – sarebbero le condizioni di gravissimo dissesto strutturale in cui versava l’immobile locato, e che ne impedivano, fin dall’inizio, qualsiasi utilizzazione.

L’errore “sul” fatto viene individuato, dalla ricorrente, in un passaggio della motivazione della sentenza di legittimità impugnata per revocazione, concernente l’esame del secondo motivo del ricorso per cassazione (con il quale si censurava errore di diritto per violazione degli artt. 1325,1326 ss., 1350,1362-1363 ss. 1372,1418,1571,1575-1576 ss., 1460 ss. c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c.), avendo la Corte di cassazione ritenuto infondata tale censura, in considerazione degli accertamenti in fatto svolti dalla Corte d’appello, in ordine: 1- alla assenza di divieti legali che impedissero la destinazione alberghiera dell’immobile; 2- alla insussistenza “secondo quanto ritenuto dalla corte d’appello (sulla base degli elementi istruttori analizzati)” di vizi occulti tali da rendere inidoneo l’immobile all’uso pattuito, avendo il Giudice territoriale posto in risalto come le stesse parti contraenti avessero ripartito gli oneri inerenti gli interventi di ristrutturazione e manutenzione, accollati al conduttore, e quelli inerenti invece la “stabilità” del fabbricato; 3- alla verifica in fatto della mancanza di condizioni di degrado tali da imporre alla locatrice la esecuzione di opere concernenti la messa in sicurezza dell’edificio.

Secondo la ricorrente tale “fatto” (ossia l’assenza di condizioni di degrado tali da rendere insicura la stabilità dell’edificio) risultava, invece, smentito in modo inequivoco dalle risultanze della c.t.u. svolta nel giudizio di merito, e dalla documentazione fotografica alla stessa allegata, che aveva rilevato gravi difetti strutturali del fabbricato, come emergeva anche dalla ordinanza sindacale, emessa in data 9.11.2016, successivamente alla pubblicazione della sentenza di appello, che era stata allegata al ricorso ordinario per cassazione, con la quale il Comune di Firenze aveva ingiunto alla società conduttrice, a tutela della pubblica incolumità, la esecuzione immediata di lavori di consolidamento dell’edificio locato.

Orbene il motivo di ricorso si palesa inammissibile per le seguenti ragioni:

A-) la ricorrente non si avvede che la “questione” concernente la stabilità dell’edificio e la insussistenza della insorgenza della obbligazione assunta dalla Congregazione locatrice di provvedere alla esecuzione delle opere volte a garantire la sicurezza del fabbricato, è stata oggetto di discussione tra le parti, in quanto introdotta specificamente, dalla stessa società, con il secondo motivo di ricorso ordinario per cassazione, e su di essa si è pronunciata – nei limiti della verifica di legittimità cui era chiamata – la Corte di cassazione, difettando in conseguenza il presupposto di ammissibilità della impugnazione in revocazione, prescritto dall’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, e cioè che il “fatto” non deve avere costituito un punto controverso sul quale si è pronunciata la sentenza; B-) la censura si rivolge ad un errore “sul” fatto che sarebbe stato commesso dalla Corte territoriale e non dalla Corte di cassazione. La ricorrente, infatti, cade in equivoco quando intende riferire al Giudice di legittimità l’errore sul presupposto fattuale del quadro di grave degrado dell’edificio, atteso che – come al contrario emerge evidente dalla lettura del passo della motivazione sopra richiamato – la Corte di legittimità, ferma la premessa in diritto per cui il conduttore è legittimato ad agire in risoluzione o riduzione del canone qualora la cosa locata sia affetta da vizi che ne diminuiscano in modo apprezzabile l’uso, salvo che i vizi fossero apparenti o da lui conosciuti, non ha svolto alcun accertamento in fatto ma si è limitata a controllare se il Giudice di appello avesse compiutamente indagato il materiale probatorio acquisito in quel giudizio, in funzione del riscontro degli elementi costitutivi della fattispecie normativa astratta (e dato il tipo di vizio di legittimità denunciato, inerente ad “error juris”, non avrebbe potuto fare altrimenti: ed infatti il rigetto della censura, come è dato chiaramente evincere nel paragr. 16 della motivazione, viene ancorato alla accertata conformità della pronuncia del Giudice di appello “ai principi di diritto concernenti la disciplina del contratto di locazione ad uso non abitativo”), concludendo per l’affermativa, in quanto, dalla sentenza di appello risultava che la Corte territoriale aveva appunto accertato con insindacabile valutazione di merito: che le parti avevano previamente apprezzato le condizioni dell’immobile, ripartendo tra loro i diversi interventi di ristrutturazione e manutenzione dell’immobile, ivi compresi quelli necessari a garantirne la stabilità; che non erano stati allegati, nella specie, ulteriori vizi occulti, non preventivamente considerati; che la parte locatrice non poteva considerarsi inadempiente, in quanto non aveva assunto alcun obbligo di realizzare le opere di modifica strutturale necessarie a consentire il rilascio dei titoli amministrativi richiesti per lo specifico utilizzo commerciale dell’immobile, “al di fuori di quelli concernenti la stabilità del fabbricato: ipotesi, quest’ultima, espressamente esclusa dalla corte territoriale sulla base della considerazione e dell’apprezzamento discrezionale degli elementi di prova complessivamente acquisiti” (in motivazione, paragr. 15, pag. 8). Se, dunque, errore “sul” fatto concernente le effettive condizioni statiche dell’immobile, in ipotesi dovesse essere ravvisato, questo sarebbe da imputarsi, non ad un errore percettivo della Corte di legittimità nella rilevazione di un fatto la cui esistenza od inesistenza emergeva incontrovertibilmente dagli atti e dai documenti concernenti il giudizio di legittimità, sibbene ad un’eventuale errata valutazione di merito del materiale probatorio compiuta dal Giudice di appello (che ha ritenuto non gravi i vizi strutturali, o comunque tali da non richiedere interventi di ripristino posti a carico del locatore) ossia ad un’errata rilevazione e valutazione del fatto storico rappresentato dai mezzi di prova assunti nei precedenti gradi di merito, con la conseguenza che si rimarrebbe al di fuori del perimetro (fissato dai soli atti del giudizio di legittimità) entro il quale è deducibile l’errore revocatorio della sentenza emessa dalla Corte di cassazione; C-) la “incontrovertibilità del fatto” (degrado del fabbricato), viene desunta dalla ricorrente dalle risultanze della indagine peritale, svolta nei gradi di merito, e della documentazione fotografica allegata alla relazione del CTU (ricorso per revocazione pag. 39). Ancora una volta occorre rilevare come la ricorrente non distingue tra atti “interni” al giudizio di legittimità ed atti e documenti concernenti invece le risultanze probatorie del giudizio di merito. La eventuale omessa/errata considerazione degli accertamenti effettuati dall’ausiliare del Giudice, non è questione inerente errori percettivi attribuibili alla Corte di legittimità, che, pacificamente, non è chiamata a riesaminare gli elementi di prova raccolti dal Giudice di merito, essendo appena il caso di ribadire che il sindacato della Corte di cassazione è costruito dalle norme processuali, non come terzo grado di giudizio, ma come “processo ad oggetto chiuso”, in quanto i motivi del ricorso possono essere articolati soltanto in relazione ai tassativi vizi della sentenza previsti dalla legge, rimanendo quindi precluso in tale sede il riesame della fattispecie concreta e del merito. Ne segue che quando la ricorrente ravvisa l’errore percettivo sul fatto, della Corte di cassazione, nel mancato esame della relazione del CTU e dei documenti ad essa allegati, esula del tutto dallo schema normativo del mezzo impugnatorio prescelto, venendo sostanzialmente a trasferire sulla Corte di cassazione la doglianza – attinente al merito – in ordine alla errata valutazione degli elementi di prova, attività questa che, per le considerazioni svolte, non potrebbe in alcun modo essere imputata al Giudice di legittimità, trattandosi di attività allo stesso del tutto preclusa, in quanto di esclusiva pertinenza del Giudice di merito (affermazione che deve essere soltanto precisata, con riferimento al sindacato di legittimità su vizio afferente l’attività processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: in tal caso, infatti, essendo consentito alla Corte l’accesso e l’esame diretto degli atti del giudizio di merito non potrebbe, infatti, escludersi la rilevanza della errata percezione del “fatto processuale”). In sostanza la ricorrente viene a confondere l’errore di rilevazione e di valutazione delle risultanze probatorie in cui è incorso il Giudice di merito (assoggettabile al sindacato di legittimità nei circoscritti limiti della verifica del vizio descritto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con l’errore percettivo sulla esistenza od inesistenza di un fatto, risultante in modo incontrovertibile dagli atti propri del giudizio (di legittimità), determinando una indebita sovrapposizione tra il vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e l’errore sul fatto ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4) (vedi Corte cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 3200 del 07/02/2017). Al proposito può ancora aggiungersi che, in ogni caso, la impugnazione per revocazione sarebbe da ritenere ictu oculi inammissibile in quanto fondata, non sulla erronea supposizione della esistenza di un fatto (quale ad esempio la esistenza di un atto compiuto dalle parti o di un evento accertato od una dichiarazione resa dalle parti o dall’ausiliario), quanto piuttosto sulla errata supposizione di una condizione attinente la qualità dell’immobile, e dunque il risultato di un apprezzamento che, se pure di natura tecnica, si iscrive pur sempre nell’ambito della discrezionalità riferibile all’attività di giudizio riservata al Giudice di merito in ordine alla selezione ed efficacia probatoria delle risultanze istruttorie; D-) “ad abundantiam” vale aggiungere (sebbene la società ricorrente abbia impugnato per revocazione la pronuncia della Corte di cassazione soltanto in relazione al rigetto del secondo motivo di ricorso ordinario) che l’errore percettivo del Giudice di legittimità non potrebbe essere individuato neppure in relazione alla sopravvenienza – rispetto alla pubblicazione della sentenza di appello – del documento, allegato al ricorso ordinario per cassazione, concernente la ordinanza sindacale con la quale il Comune di Firenze aveva ordinato alla società conduttrice di adottare tutti gli accorgimenti necessari per la salvaguardia della pubblica incolumità, nonchè di predisporre a scopo cautelativo il monitoraggio del quadro fessurativo e di realizzare i lavori volti al ripristino delle condizioni di sicurezza dell’immobile. Come è stato in precedenza evidenziato i fatti in relazione ai quali è prospettabile l’errore revocatorio ex art. 391 bis c.p.c., sono soltanto quelli che trovano riscontro negli atti e documenti inerenti lo stesso giudizio di legittimità, e che debbono individuarsi: nel ricorso (art. 369 c.p.c., comma 1), nei documenti che debbono essere prodotti con il ricorso (art. 369 c.p.c., comma 2, nn. 1 e 4 – il n. 4 in relazione all’art. 372 c.p.c., comma 1), nel controricorso e nell’eventuale ricorso incidentale (art. 370 c.p.c., comma 1 e comma 3 e art. 371 c.p.c.), nella memoria illustrativa (art. 378 c.p.c., art. 380 bis c.p.c., comma 2, art. 380 bis c.p.c., comma 1), nei documenti riguardanti la nullità della sentenza impugnata, o l’ammissibilità del ricorso o del controricorso (art. 372 c.p.c., comma 1). Osserva, peraltro, il Collegio che anche a considerare ammissibile la nuova produzione documentale nel giudizio ordinario di legittimità (trattandosi di mezzo rappresentativo di un fatto nuovo, sopravvenuto al deposito della sentenza di appello, in quanto documento non preesistente al giudizio di merito ma formato solo successivamente, e quindi inidoneo a supportare il rimedio revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3, avverso la decisione di seconde cure) il documento nulla verrebbe ad aggiungere alle risultanze delle indagini svolte dal CTU, implicando – anche tale documento – una valutazione di merito concernente le qualità della “res”, non costituendo pertanto un fatto la cui inesistenza è stata erroneamente supposta dai Giudici di legittimità, atteso che se, da un lato, il documento in questione neppure risulta essere stato valorizzato come “fatto nuovo” nei motivi del ricorso ordinario per cassazione (trascritti alle pagine 10-20 del ricorso ex art. 391 bis c.p.c.), dall’altro lato, la società ricorrente nel motivo di ricorso per revocazione ha dedotto l’errore percettivo imputato al Giudice di legittimità esclusivamente in relazione alle risultanze istruttorie del giudizio di merito e non anche in relazione alla esistenza del predetto “fatto-documento”, che risulterebbe, comunque, privo del carattere della “decisività”, non consentendo alcun giudizio sulla asserita assoluta inutilizzabilità originaria dell’immobile locato.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La parte soccombente è tenuta alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

La controricorrente ha instato per la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3. La condotta processuale della ricorrente risulta contraddistinta da colpa grave, essendo stato dedotto un motivo di ricorso per revocazione della sentenza di legittimità, manifestamente inammissibile, in quanto fondato esclusivamente sulla critica rivolta all’apprezzamento compiuto dal Giudice di secondo grado in ordine alla attività valutativa delle risultanze probatorie, e su questione peraltro che era stata oggetto di discussione tra le parti in quanto sottoposta alla pronuncia della Corte di cassazione attraverso la deduzione del vizio di legittimità per violazione di norme di diritto. Consegue che il ricorso ex art. 391 bis c.p.c. è stato proposto dalla ricorrente prescindendo del tutto dai presupposti legali della attivazione del rimedio revocatorio, in ciò rimanendo integrato l’elemento soggettivo della colpa grave che legittima la condanna della società ricorrente al pagamento in favore della controricorrente di una somma che può liquidarsi in via equitativa in Euro 6.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Visto l’art. 96 c.p.c., comma 3.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente di una somma liquidata nell’importo di Euro 6.000,00.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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