Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27098 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 16/12/2011), n.27098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato

BOSCHI ETTORE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSARI HILDEGARD giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE MAGGIORE DI CREMA (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI

MARCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORSIERI

ALBERTO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE presso la CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 799/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/01/098, depositata il 15/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l’Avvocato Boschi Ettore, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Vincenti Marco, difensore della controricorrente che

si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

nulla osserva.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

che con atto di citazione, notificato in data 8 settembre 1999, A.A. conveniva innanzi al Tribunale di Crema l’Azienda Ospedaliera Ospedale Maggiore di Crema esponendo che il 26 giugno 1997, a seguito di una caduta accidentale, era stata ricoverata nella Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Maggiore di Crema ove le era stata riscontrata una frattura scomposta all’avambraccio;

che in data 27.9.97 era stata dimessa e, in seguito, sottoposta a vari controlli ambulatoriali, e in seguito le era diagnosticato “morbo di Sudek e rigidità di polso e dita”, per cui le terapie praticate presso l’ospedale di Crema avevano evidenziato errori di diagnosi e terapia;

che chiedeva pertanto, previa dichiarazione della responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale della convenuta, la sua condanna al risarcimento di tutti i danni morali, materiali e biologico subiti oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e rifusione delle spese di lite;

che si costituiva in giudizio l’Azienda Ospedaliera, Ospedale Maggiore di Crema la quale contestava la domanda, assumendo l’infondatezza della stessa e, comunque, la mancanza di prova che il danno lamentato fosse stato determinato da insufficiente o inadeguata attività del medico curante (concludendo pertanto per il rigetto della domanda);

che, espletata consulenza tecnica medico legale d’ufficio, il Tribunale, con sentenza n. 245/03, emessa in data 20 marzo/21 ottobre 2003, rigettava la domanda condannando l’attrice alla rifusione delle spese legali in favore della convenuta (ritenendo insussistente la dedotta responsabilità dei medici, essendosi gli stessi comportati diligentemente);

che proponeva appello la A. e la Corte di Brescia, costituitasi l’Azienda Ospedaliera, con la decisione in esame, depositata in data 15.9.2009, confermava quanto statuito in primo grado, affermando tra l’altro che “invero, come già ricordato, i CC.tt.uu. hanno escluso ogni nesso di causalità fra i danni accusati dalla A. e la lussazione della testa dell’ulna, ricollegandoli invece alla instaurazione del morbo di Sudek, patologia consistente in una osteoporosi acuta accompagnata da dolore, edema, alterazioni circolatorie e trofiche, che insorge, frequentemente, in conseguenza di un trauma”;

che ricorre per cassazione la A. con tre motivi, illustrati da memoria;

che resiste con controricorso l’Ospedale Maggiore;

che è stata depositata relazione ex art. 380 bis con cui si chiede dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi il ricorso;

che con il primo motivo si deduce nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine al contrasto tra i dati della consulenza di ufficio e la perizia di parte (non compiutamente esaminata);

che con il secondo motivo si deduce violazione di legge sulla domanda di rinnovazione di indagini peritali e di sostituzione del C.t.u. ai sensi dell’art. 196 c.p.c., e relativo difetto di motivazione in relazione al punto in cui la Corte si è limitata a ribadire la non accoglibilità dell’istanza di ricusazione in quanto presentata dopo il deposito della relazione;

che con il terzo motivo si deduce omessa pronuncia sulla liquidazione delle spese di lite di primo grado;

che condivisibile è la relazione in quanto il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure;

che, in particolare, privo di pregio è il primo motivo in quanto la Corte di merito ha accolto le conclusioni del C.t.u. pur, evidenziando di aver preso in considerazione le critiche espresse nella perizia di parte, non ritenendoli tali da “sovvertire” il convincimento fondatosi su detta consulenza d’ufficio (sul punto, Cass. n. 3548/72);

che infondato è altresì il secondo motivo in quanto deve ribadirsi quanto già statuito da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 3657/98 e 8184/2002) secondo cui la presentazione dell’istanza di ricusazione del consulente tecnico d’ufficio dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 192 c.p.c. preclude definitivamente la possibilità di far valere successivamente la situazione di incompatibilità, con la conseguenza che la consulenza rimane ritualmente acquisita al processo, a nulla rilevando il fatto che il ricorrente sia venuto a conoscenza della pretesa causa di incompatibilità del consulente soltanto dopo l’espletamento dell’incarico conferitogli dal giudice;

che inammissibile infine è il terzo motivo sia perchè generico e privo di autosufficienza sia perchè il governo delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del merito; che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali della presente fase che liquida in complessivi Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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