Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27094 del 15/12/2011

Cassazione civile sez. I, 15/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 15/12/2011), n.27094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe M. – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 16594 del R.G. anno 2006 proposto da:

Avv. C.M., rapp.to e difeso da sè medesimo e dom.to

in Roma Viale Camillo Sabatini 168;

– ricorrente –

contro

Cooperativa Città Nova s.r.l. in liquidazione coatta amministrativa

elett.te domiciliata in ROMA, Via Ferdinando di Savoia 3 presso

l’avv. MELUCCO Andrea che la rappresenta e difende giusta procura a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4 in data 2.1.2006 della Corte di Appello di

Roma;

udita la relazione della causa svolta nella c.d.c. del 24.11.2011 dal

Consigliere Dott. Luigi MACIOCE;

udito, per il ricorrente e per delega l’avv. Vittorio Molea;

udito per la contro ricorrente l’avv. A. Melucco;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.S. e C.M. convennero innanzi al Tribunale di Roma la Coop. Edilizia Città Nova in liquidazione ed il commissario p.t. della stessa, nonchè i tre liquidatori, chiedendo il risarcimento dei danni patiti dalle unità abitative da loro abitate a causa di infiltrazioni determinate da carenze costruttive e progettuali dell’edificio. Il Tribunale di Roma accolse in parte la domanda e la Corte di Appello di Roma, adita dal C., con sentenza 25.3.2000, esclusa la legittimazione dei tre liquidatori, ha rigettato l’appello sul rilievo che il C. risultava solo provvisorio assegnatario dell’alloggio e che dovevasi escludere una rituale assegnazione nel rispetto del R.D. n. 1165 del 1938, art. 111 e che invece si doveva affermare, come contestato con diffida 20.2.1992, che vi era stata occupazione abusiva. Il C., oltre a proporre ricorso per cassazione (rigettato dalla Corte di legittimità con sentenza 5665 del 2003), propose quindi ricorso per revocazione ritenendo non esaminata dalla Corte territoriale la dichiarazione formale di consegna 18.5.1990. Si costituirono la Cooperativa ed uno dei liquidatori e la Corte dichiarò interrotto il giudizio per la sola dichiarata insolvenza della Cooperativa da parte del Tribunale. Riassunto il giudizio e costituitasi la Coop. Città Nova in l.c.a. (eccipiente la improponibilità delta domanda) la Corte di Roma con sentenza 2.1.2006 dichiarò estinto il giudizio per rinunzia limitatamente al rapporto tra attore e liquidatori convenuti e rigettò la richiesta di revocazione. Al proposito la Corte di merito ha in sentenza osservato che la improseguibitità indiscutibile del giudizio, correlata alla ammissione della Cooperativa alla liquidazione coatta amministrativa, afferiva soltanto alla eventuale fase rescissoria della richiesta di revocazione e non poteva impedire l’esame della stessa in fase rescindente, che la prospettazione dell’errore revocatorio, che avrebbe viziato la affermazione della sentenza 28.3.2000 per a quale non vi sarebbe stata alcuna formale consegna dell’alloggio al C., era nel senso che la Corte di merito non avrebbe considerato che la prova di una formale se pur provvisoria assegnazione stava nella dichiarazione 18.5.1990 del commissario, che non sussisteva alcun errore revocatorio, che infatti, da un canto, la questione della consegna e dei suoi effetti era stata ampiamente dibattuta e puntualmente valutata e risolta dalla sentenza, nel senso che vi era stata consegna da socio uscente a socio entrante e mera presa d’atto da patte della Cooperativa, e che, dall’altro canto, quand’anche il documento 114 del 1990 non fosse stato valutato esso nondimeno non appariva decisivo posto che da esso riveniva la prova di una assegnazione comunque “provvisoria”, come tale, per consolidata giurisprudenza, insuscettibile di dare titolo a pretese o ad azioni risarcitorie correlate all’immobile consegnato. Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 21.3.2006, l’avv. C. ha proposto ricorso il 19.5.2006 articolato su quattro motivi, resistiti dalla Cooperativa in l.c.a. con atto del 27.6.2006, illustrato in memoria finale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato, nessuna delle censure sulle quali esso si fonda meritando condivisione.

Giova, preliminarmente, dissentire dalla eccezione di improcedibilità sollevata in limine dalla Cooperativa in l.c.a.

invocando la L. Fall., artt. 201 e 52, e disattesa dalla Corte di merito. Esattamente ha infatti ricordato la Corte territoriale che l’improseguibilità attiene alla possibilità che un giudizio di ordinaria cognizione riconosca crediti risarcitorii verso una società posta in l.c.a. ma non impedisce affatto che sia proposta, esaminata e decisa, anche in sede di legittimità, la domanda rescindente di una pronunzia a suo tempo emessa nei riguardi della società in bonis ed in tesi affetta da errore revocatorio. Primo motivo: con esso si lamenta la illegittimità del provvedimento di interruzione 15.4.2003 (a tal data la Coop. essendo solo stata dichiarata in stato di insolvenza dal Tribunale ed il provvedimento di L.C.A. essendo stato adottato solo con D.M. 19 giugno 2003 (pubblicato il 21.7.2003 in G.U.) e quindi la illegittimità della “riassunzione” dell’1.10.2003 nei confronti della Cooperativa in L.C.A., nei cui confronti esso attore sarebbe stato indebitamente obbligato alla riassunzione. Deduce quindi che tal vizio avrebbe inficiato la sentenza 12.1.2006. La censura è inconsistente. Non si comprende, infatti, perchè una interruzione sol dichiarata ante tempus seguita pervero da una ricostituzione del rapporto effettuata con il soggetto legittimato (la cooperativa in l.c.a.) ad istanza dello stesso attore, possa invalidare il rapporto processuale e rendere nulla la sentenza all’esito resa. Nessuna norma lo consente e nessun pregiudizio ai diritti della difesa è stato dal ricorrente neanche prospettato.

Secondo motivo: in esso si censura l’errore commesso nel non aver compreso, e quindi neanche letto, il testo del doc. n. 114 del 18.05.1990 recante l’assegnazione formale al socio C. dell’immobile e nell’ averlo confuso con il doc. n. 113 in pari data, afferente la titolarità della quota sociale.

Anche tale censura è da ritenersi infondata. La Corte di Appello di Roma nella sentenza 2.1.2006 ha avuto ben chiaro che la condizione di ammissibilità della revocazione era la esistenza di una svista su punto non dibattuto ma decisivo, ed ha rettamente affermato che la sentenza 28.3.2000 revocanda aveva esaminato la questione della consegna e i documenti prodotti ed aveva valutato nel senso che ex actis risultava una mera presa d’atto della consegna tra i due soci.

Pertanto l’affermazione è in linea con il principio di questa Corte sempre ribadito – per il quale rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi – sì che ne discende che non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 3289 del 1999 – 14840 del 2000-15466 del 2003). Dall’altro canto, e con riguardo alla pretesa decisività del documento 114 del 18.5.1990, se essa è stata negata dalla Corte nella sentenza 2.1.2006 sull’assunto che da tal documento discenderebbe solo una assegnazione provvisoria, inidonea a legittimare il detentore alle azioni risarcitorie, oggi tal decisività nel motivo viene sol ribadita con argomenti giuridici già disattesi dalla sentenza 2.1.2006. Il giudice della revocazione – infatti – ha puntualmente richiamato il dictum di questa Corte 5665 del 2003 che, nel rigettare motivo di ricorso avverso la sentenza 28.3.2000, ha negato il fondamento giuridico stesso della pretesa (sul quale si sarebbe dovuto innestare l’argomento viziato da travisamento). Ha affermato in tal pronunziato questa Corte doversi disattendere anche “… il secondo motivo, in cui si assume che la legittimazione il C. avrebbe tratto da una dichiarazione del 18.5.1990 (da qualificarsi ficta traditio) del commissario governativo della cooperativa, secondo cui sarebbe stata assegnata a lui la unità immobiliare; quell’assegnazione essendo illegittima per le considerazioni che precedono, perchè compiuta ai di fuori delle regole e dei necessari consensi e perchè derivata da passaggi e cessioni di soggetti non aventi titolo alcuno, perchè anch’essi immessi illegittimamente, attraverso assegnazioni c.d. provvisorie, mentre le uniche che la legge prevede sono quelle definitive, cui fanno seguito i trasferimenti in proprietà all’atto della stipula del mutuo individuale (R.D. n. 1165 del 1938, art. 229)”.

Terzo motivo: con esso si censura l’omessa pronunzia sul motivo di revocazione attinente la data alla quale ragguagliare la nomina dei liquidatori. Il motivo tenta di accreditare la sopravvivenza dell’interesse alla pronunzia, nonostante la chiusura del rapporto processuale con i liquidatori per la dichiarata rinunzia agli atti (e con estinzione dichiarata dalla Corte), sul rilievo che il motivo afferirebbe comunque ad una responsabilità riflessa della Cooperativa ex art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.. La Corte di merito ha espressamente escluso che della questione posta dal secondo motivo, dopo la rinunzia, dovesse occuparsi. Essa ha rettamente pronunziato posto che, esclusa la sussistenza dell’errore revocatorio per l’omesso esame del doc. 114 del 18.5.1990,e quindi ribadita la inesistenza di titolo risarcitorio in capo all’assegnatario provvisorio, ogni questione afferente una diversa, anche riflessa, imputazione della responsabilità della Cooperativa perdeva di rilievo.

Quarto motivo: con esso ci si duole dell’omesso esame del terzo motivo di revocazione. Il motivo è, come eccepito, inammissibile perchè non riporta in questa sede il motivo di revocazione indebitamente negletto il 2.1.2006 e la statuizione del 28.3.2000 che dall’errore percettivo sarebbe affetta sì che la questione resta in questa sede, nei suoi termini oggettivi e quindi nella sua stessa rilevanza, affatto incomprensibile.

Dal rigetto del ricorso discendono le conseguenze di legge in ordine al regime delle spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente avv. C. M. alla refusione delle spese in favore della Coop. Città Nova in l.c.a. che determina in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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