Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27091 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 09/09/2016, dep.28/12/2016),  n. 27091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19189-2012 proposto da:

AGRICOLA BERICA SOCIETA’ COOPERATIVA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA RIZZARDI

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTEGALDA in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE AVEZZANA 1, presso lo

studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONIO MOLLO, RUGGERO MOLLO giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 71/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 19/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/09/2016 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

udito per il ricorrente l’Avvocato BORRELLI per delega dell’Avvocato

RIZZARDI e Avvocato CALDERARA per delega dell’Avvocato MANZI che si

riportano agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato RUGGERO MOLLO che si riporta

agli atti e deposita una cartolina A/R;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

La Agricola Berica Soc.Coop. propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 71/16/11 del 19 settembre 2011 con la quale la commissione tributaria regionale di Venezia – Mestre, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, per ICI 2003, notificatole dal Comune di Montegalda (6) in relazione a due fabbricati in sua proprietà, e da essa utilizzati per lo svolgimento di attività agricola (allevamento avicolo, lavorazione, macellazione e vendita di prodotti avicoli conferiti dai singoli soci).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto dovuta l’ICI sugli immobili in questione (non iscritti a catasto fabbricati e, dunque, assoggettati all’accertamento in concreto del carattere di ruralità da parte del giudice tributario, come stabilito da Cass. SSUU 18565/09), non avendo la cooperativa fornito la prova di operare “solo e soltanto con i prodotti agricoli conferiti dai soci”; e nemmeno la prova che questi ultimi fossero tutti imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3, (attività agricole per connessione).

Resiste il Comune di Montegalda con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con il primo motivo di ricorso la cooperativa lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, commi 3 e 3 bis, conv. in L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni; per avere la commissione tributaria regionale subordinato l’esenzione da ICI dei fabbricati in oggetto a requisiti (lavorazione esclusiva da parte della cooperativa dei prodotti agricoli conferiti dai soci; appartenenza di tutti i soci alla categoria degli imprenditori agricoli ex art. 2135 c.c., comma 5) in realtà non previsti dalla legge. In ogni caso, tali requisiti erano stati dimostrati in corso di causa sulla base sia dell’iscrizione della cooperativa alla CCIAA, sia delle norme statutarie di ammissione dei soci; tanto più considerato che anche i soci svolgenti attività agricola per connessione dovevano a tutti gli effetti ritenersi, pena la violazione altresì dell’art. 2135, comma 3 cit., imprenditori agricoli.

Con il secondo motivo di ricorso la cooperativa lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo del giudizio; per avere affermato la commissione tributaria regionale, da un lato, essere “pacifico e non contestato che gli edifici in questione sono utilizzati come incubatoio per le uova, nonchè come magazzino, ufficio e abitazione del custode, fatti sui quali il Comune concorda”; salvo poi respingere l’appello della contribuente a causa della asserita mancanza di prova dei requisiti di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9.

Con il terzo motivo di ricorso, dichiaratamente subordinato al mancato accoglimento dei motivi precedenti, la cooperativa deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – omessa pronuncia sul motivo di appello da essa proposto in relazione alla illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni, vertendosi nella specie di materia oggettivamente incerta nei suoi limiti normativi di applicazione.

p. 2. Sono fondate, con effetto assorbente della terza censura, le prime due doglianze.

Va premesso che i due fabbricati in oggetto non risultavano censiti, nell’anno di imposizione qui dedotto, nel catasto fabbricati; tanto che lo stesso avviso di accertamento qui opposto ha ritenuto di determinare la base imponibile con riguardo non già alla rendita catastale (non attribuita), bensì al valore contabile di bilancio dei cespiti come stabilito, per i fabbricati non censiti, dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3. Ed è sempre su tale presupposto che la Cooperativa ha, per contro, ritenuto di poter assolvere l’obbligazione ICI sulla base della rendita dominicale conseguente all’iscrizione catastale dei (soli) terreni sui quali i fabbricati in questione insistono.

La circostanza del mancato censimento nel catasto fabbricati viene indicata come pacifica non soltanto dalla Cooperativa, ma anche dallo stesso Comune in controricorso; e trova comunque riscontro – con affermazione non censurata – nella stessa sentenza impugnata.

Ebbene, su tale presupposto la commissione tributaria regionale ha regolato il caso mediante una non corretta applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, secondo cui: “ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c., e in particolare destinate: (…) i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui al D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 1, comma 2; (…)”. Norma richiamata, con esplicita funzione interpretativa ed effetto retroattivo, dal D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009, secondo cui: “Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni”.

Su tale presupposto normativo, si poneva dunque il problema di verificare la sussistenza, in concreto, del carattere di ruralità dei fabbricati della Cooperativa in oggetto, così come legislativamente definito. Incombenza, quest’ultima, già individuata – proprio per le ipotesi di fabbricati non iscritti in catasto – dalla citata sentenza Cass. SSUU 18565/09 cit., secondo cui: “in tema di ICI, l’applicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 – bis, convertito con modificazioni nella L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), è subordinata, per i fabbricati non iscritti in catasto, all’accertamento dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in L. n. 133 del 1994 e successive modifiche, accertamento questo che può essere condotto dal giudice tributario, investito della domanda di rimborso proposta dal contribuente, su cui grava l’onere di dare la prova della sussistenza dei predetti requisiti. Tra i requisiti, per gli immobili strumentali, non rileva l’identità fra titolare del fabbricato e titolare del fondo, potendo la ruralità essere riconosciuta anche agli immobili delle cooperative agricole che svolgono attività di manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci”.

In materia, l’orientamento di legittimità è andato consolidandosi (Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14; 16737/15 e più recentemente, tra le altre, 7930/16) nel senso di ritenere dirimente ai fini dell’esenzione ICI – per i fabbricati iscritti in catasto – l’inserimento dell’immobile in categoria catastale di ruralità (A6 se abitativo, D10 se produttivo); fermo restando che – per i fabbricati non iscritti – è invece demandato al giudice tributario di accertare in concreto (con onere probatorio a carico del contribuente, ove si tratti di giudizio di rimborso) il carattere di ruralità sulla base dei principi evincibili dalla normativa testè riportata, come ricostruita dalla citata sentenza delle SSUU: asservimento dell’immobile allo svolgimento di attività agricola ex art. 2135 c.c., indipendentemente dalla coincidenza soggettiva della proprietà del fabbricato e del fondo, così come del fatto che il primo risulti in proprietà di una persona giuridica, ed il secondo di una persona fisica.

Va qui aggiunto che l’orientamento giurisprudenziale su riportato è ormai consolidato anche in ordine alla efficacia retroattiva del disposto normativo risultante dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis conv. in L. n. 222 del 2007, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, e richiamato dal D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009.

Disposizione, quest’ultima, di chiara natura interpretativa, avendo con essa il legislatore inteso porre fine a dubbi applicativi e contrasti giurisprudenziali sulla non assoggettabilità ad ICI dei fabbricati di proprietà delle cooperative esercenti attività agricole; a tal fine specificando che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrano i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9.

Già le SSUU (18565/09 cit.) ebbero a stabilire che “la norma, mediante il richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, è dichiarata espressamente disposizione di interpretazione autentica, ed è quindi applicabile retroattivamente. Invero, secondo l’orientamento già espresso da queste Sezioni Unite, “la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, cosi da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futurò (Cass. S. U. n. 9941 del 2009). Si tratta in ogni caso di una norma che ha effettivamente carattere interpretativo, intervenendo su una materia oggetto di differenziati orientamenti interpretativi, sia in giurisprudenza che in dottrina, per chiarire definitivamente, dopo tante incertezze, che i fabbricati rurali non sono soggetti ad ICI: e lo fa colmando una lacuna avvertita da tutti gli interpreti, stabilendo cioè un diretto collegamento tra riconoscimento della ruralità e normativa ICI, definendo il senso della disposizione fondamentale in materia circa il concetto di “fabbricato” il cui possesso è presupposto dell’imposizione”.

Non solo, ma la retroattività della disciplina sopravvenuta (Cass. 10355/15; 16973/16) trova argomento logico-giuridico anche nella valutazione offerta – sebbene con riguardo ad una diversa disposizione del regime ICI – dal giudice delle leggi; con elementi idonei a fugare anche i dubbi di legittimità costituzionale qui rappresentati dal controricorrente.

La Corte Costituzionale (sentenza 227/09) ha infatti sancito che “è costituzionalmente illegittimo, in relazione all’art. 3 Cost. (con assorbimento delle questioni ulteriori), al L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 4, il quale prevede l’irripetibilità di quanto versato a titolo di ICI per le annualità precedenti al 2008 da tutti i soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lettera i) del cit. art. 9, comma 3 bis, ivi comprese le cooperative agricole cui la citata normativa fa espresso riferimento. La disposizione è stata ritenuta irragionevole per la chiara contraddizione in cui cade il legislatore il quale, avendo provveduto nel senso della insussistenza dei presupposti per l’insorgere della obbligazione, interviene, sia pure con diversa norma, onde limitare gli effetti della precedente, nel senso di rendere irripetibile quanto già, peraltro spie causa, versato; ma la stessa è anche incompatibile col rispetto del principio di eguaglianza, in quanto fonte di ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali, venendo a determinare un trattamento deteriore di chi abbia erroneamente pagato un’imposta non dovuta rispetto a quello di chi, versando nella medesima situazione, non abbia invece effettuato alcun pagamento”.

Va da ultimo considerato come la soluzione qui accolta (non debenza dell’ICI sui fabbricati asserviti all’attività agricola della cooperativa) non venga meno per effetto dell’abrogazione del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009, da parte del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14, lett. d), conv. in L. n. 214 del 2011; posto che tale abrogazione decorrente, per espressa previsione normativa, dal 1 gennaio 2012 – non è di per sè in grado di precludere l’interpretazione della disciplina ICI così come già in precedenza delineatasi nella evoluzione giurisprudenziale di legittimità.

E, nemmeno, tale soluzione potrebbe ritenersi in contrasto con la corretta applicazione del D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, cit., al cui inciso “anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui al D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 1, comma 2” deve parimenti attribuirsi portata non innovativa, ma di mera esplicitazione e chiarimento dei limiti di esenzione da ICI dei fabbricati rurali delle cooperative. Così da poter essere interpretativamente riferito anche alle annualità precedenti alla sua entrata in vigore.

p. 3. Ciò posto quanto ad inquadramento normativo della fattispecie, si evince l’effettiva fondatezza dei primi due motivi di ricorso; con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

La commissione tributaria regionale – dopo aver correttamente evidenziato che, trattandosi nella specie di fabbricati non censiti, i requisiti di ruralità ex art. 9 cit. dovevano essere in concreto accertati dal giudice con onere probatorio a carico della società contribuente – ha poi subordinato il riconoscimento dell’esenzione ICI alla prova di requisiti (lavorazione esclusiva dei prodotti agricoli dei soci; attribuibilità a tutti i soci della qualità di imprenditore agricolo “per connessione”) non menzionati dalla disposizione da ultimo citata.

L’art. 9, comma 3 bis cit. riconduce il carattere di ruralità del fabbricato alla sua strumentalità necessaria allo svolgimento di attività agricola ex art. 2135 c.c. (v. lett. i): manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli); e ciò anche quando tale attività venga svolta “da cooperative e loro consorzi (…)”.

L’oggetto dell’accertamento fattuale riguardava pertanto questa relazione di asservimento e strumentalità del fabbricato in possesso della cooperativa allo svolgimento dell’attività agricola. Risultando tanto indifferente, da un lato, la mancata coincidenza soggettiva tra proprietà del fabbricato e proprietà del fondo agricolo, quanto essenziale, dall’altro, lo svolgimento da parte della cooperativa dell’attività di “manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli” conferiti dai soci mediante impiego strumentale del fabbricato.

Ora, su tale premessa, deve in effetti riscontrarsi tanto la violazione normativa lamentata della prima censura, quanto la contraddittorietà motivazionale riscontrata dalla seconda censura.

Posto che, essendo pacifico in causa (e riconosciuto anche nella sentenza qui impugnata) che i fabbricati in oggetto siano stati utilizzati – nell’anno di imposizione qui rilevante – per lo svolgimento di attività strumentale agricola, insita nell’allevamento avicolo, incubazione e schiusa delle uova, macellazione, lavorazione e vendita dei prodotti avicoli conferiti dai soci, non doveva darsi ingresso all’accertamento di ulteriori requisiti; quanto solamente trarre la conseguenza dell’effettiva spettanza ex lege della esenzione.

Le spese dell’intero giudizio vengono compensate in ragione della delicatezza della questione interpretativa, di per sè attestata dalla non lineare evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia.

PQM

La Corte:

– accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo;

– cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla cooperativa;

– compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 9 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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