Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27091 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 23/10/2019), n.27091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8703 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Erregiesse s.r.l., in fallimento, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Francesco D’Ayala Valva,

presso il cui studio in Roma, Viale Parioli, n. 43, è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte n. 169/36/2013, depositata in data 2 ottobre

2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2019

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo

il rigetto del ricorso;

udito per l’Agenzia l’Avvocato dello Stato Santoro Massimo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle dogane ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, in epigrafe, che ha rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Alessandria.

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane di Livorno aveva emesso nei confronti della contribuente diversi avvisi di rettifica dell’accertamento con i quali era stato richiesto il pagamento di maggiori dazi doganali, avendo verificato, relativamente a diverse operazioni di importazione eseguite presso la dogana di Alessandria, Genova, Milano e Napoli, il mancato rispetto della disciplina in materia di importazione doganale; avverso i suddetti avvisi di rettifica la contribuente aveva proposto ricorso, contestando la non legittimazione dell’ufficio doganale di Livorno ad emettere gli atti impugnati; la Commissione tributaria provinciale di Livorno aveva accolto i ricorsi, pronuncia confermata in sede di gravame; nelle more del giudizio di cassazione, venivano emessi ulteriori avvisi di rettifica da parte dell’ufficio doganale competente; avverso tali avvisi la contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria, lamentando la duplicazione d’imposta conseguente all’emissione di ulteriori avvisi di rettifica relativi ai medesimi presupposti di fatto; la Commissione provinciale di Alessandria aveva accolto i ricorsi; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle dogane.

La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che gli avvisi di accertamento impugnati costituivano una reiterazione di quelli notificati in precedenza i quali, quindi, erano da considerarsi ancora efficaci, non essendo intervenuta, al momento del rinnovo dell’emissione degli avvidi di rettifica, la pronuncia della Corte di cassazione nel giudizio relativo alla legittimità dei precedenti atti impugnati.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la società con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, in connessione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), con la previsione di cui all’art. 373 c.p.c. e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per non avere correttamente applicato alla fattispecie il principio del divieto di doppia imposizione.

In particolare, evidenzia che il mancato autoannullamento dei precedenti atti impositivi, emessi da un ufficio doganale non competente, non poteva avere ingenerato nella ricorrente incertezze in ordine alla circostanza che la pretesa era unica e, inoltre, che la sentenza del giudice di merito, che aveva annullato l’atto impositivo, era provvisoriamente esecutiva, sicchè non era necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Cassazione, investita della questione di legittimità, al fine di ritenere sussistente il potere dell’amministrazione di reiterare la pretesa impositiva.

Il motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, ha introdotto il principio del divieto della doppia imposizione in materia tributaria, prevedendo che la stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi. In termini generali può dirsi che la duplicazione di imposta allorchè si verifica il medesimo presupposto, sia nei confronti dello stesso soggetto, sia nei confronti di soggetti diversi, costituisce sostanziale violazione della legge, la cui osservanza il legislatore richiede fin dalla fase dell’accertamento, con la previsione del cit. art. 67 Questa Corte (Cass. civ., 19 marzo 2002, n. 3951), in merito alla questione della sussistenza del potere dell’amministrazione finanziaria di rinnovare l’emissione di precedenti atti impositivi oggetto di annullamento da parte del giudice tributario di merito, ha avuto modo di precisare che, ove non si intenda, da parte della medesima amministrazione finanziaria, impugnare la pronuncia e prestare acquiescenza alla decisione del giudice di merito, può, previo annullamento del primo atto nell’esercizio dell’autotutela, provvedere all’emissione del nuovo atto impositivo, ma senza il riparo dell’impedimento della decadenza eventualmente già verificatasi. E’ invece da escludere che l’amministrazione finanziaria possa reiterare il medesimo accertamento, per sanarne vizi reali o ipotetici, senza annullare il precedente, giacchè questo comporta la presenza contemporanea di più atti di imposizione aventi come contenuto il medesimo credito tributario, ciò che è intrinsecamente contraddittorio, gravemente lesivo delle ragioni di difesa del contribuente, ed espressamente vietato dal D.P.R. n. 600 del 1973 cit., art. 67 (divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto).

Il suddetto orientamento è stato seguito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 20 novembre 2006, n. 24620) che ha precisato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella parte in cui consente modificazioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad avviso nullo alla cui rinnovazione ex nunc l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo (Cass. 8 aprile 1992, n. 4303; Cfr. anche Cass. 2576/90).

Tuttavia, ai fini del legittimo esercizio di tale potere, proprio in considerazione della sussistenza del divieto di doppia imposizione, occorre procedere ad una tutela bilanciata delle ragioni del contribuente nel contraddittorio del processo e di quelle dell’Erario nella realizzazione del suo credito d’imposta, sicchè l’autotutela dovrà essere posta in essere dall’amministrazione finanziaria senza che la stessa si risolva nella compressione dei diritti del contribuente e senza la lesione dei principi che regolano il contraddittorio processuale.

Pertanto, in questa prospettiva, non solo il potere dovrà essere esercitato entro il termine accordato per il compimento dell’atto stesso, e quindi sempre che non si siano verificate decadenze per l’emissione dell’atto, ma l’emissione non potrà avere luogo in presenza di giudicato formatosi sul rapporto tributario controverso, si da costituire elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto oggetto dell’autotutela, ma ulteriore condizione dovrà essere ravvisata nella riconosciuta presenza di una causa di nullità formale dell’atto.

Si è, infine, precisato (Cass. civ., 1 ottobre 2018, n. 23675) che l’emissione del nuovo atto impositivo, avente il medesimo contenuto e riferito agli stessi anni di imposta, dovrà essere preceduta, ove necessario, dall’annullamento del precedente atto impositivo, ai fini della tutela delle ragioni di difesa del contribuente e del divieto della plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67.

In sostanza, se da un lato deve dirsi sussistente il potere dell’amministrazione finanziaria di procedere alla rinnovazione dell’atto impositivo in caso di caducazione a seguito di annullamento del giudice del merito, purchè non sia violato il giudicato e non siano decorsi i termini di prescrizione e di decadenza, l’adozione del successivo atto deve, comunque essere preceduto da un provvedimento, ove necessario, che comporti il definitivo annullamento, da parte dell’amministrazione, dell’atto precedente, in modo da rendere chiaro, al contribuente, che la pretesa impositiva trova fondamento unicamente nel successivo atto.

Sul punto, va precisato che la stessa ricostruzione della vicenda evincibile dalla sentenza impugnata porta a ritenere che lo stesso comportamento seguito dell’amministrazione finanziaria è contrario ad una esplicazione di una implicita volontà di annullamento dell’atto precedente.

Invero, risulta che l’amministrazione finanziaria aveva rinnovato gli atti di rettifica prima ancora che fosse presentato ricorso in cassazione avverso i precedenti avvisi di rettifica: in tal modo, la volontà dell’amministrazione finanziaria è stata quella di insistere, in sede giudiziale, sulla legittimità dei primi atti di rettifica anche nel momento in cui ha ritenuto di dovere emettere i successivi avvisi di rettifica, oggetto della presente controversia, mostrando, in tal modo, di non volere, neppure implicitamente, procedere ad un annullamento delle precedenti pretese impositive.

Non rileva, va precisato, la considerazione espressa nel motivo di ricorso, in ordine all’efficacia immediatamente esecutiva della pronuncia di merito.

E’ vero che questa Corte a Sez. Un., con la pronuncia 13 gennaio 2017, n. 758, ha avuto modo di precisare che le sentenze delle commissioni tributarie concernenti atti impositivi sono immediatamente esecutive, con la conseguenza che, annullato totalmente o parzialmente l’atto impositivo, pur se in via non definitiva, questo perde efficacia quale titolo idoneo a legittimare l’inizio o la prosecuzione di un’azione di riscossione provvisoria, non avendo fondamento normativo e non rispondendo a un equo bilanciamento degli interessi contrapposti riconoscere all’attività di riscossione provvisoria, anche avente natura cautelare, una capacità di resistenza all’annullamento dell’avviso di accertamento. E’, infatti, proprio la considerazione dei diversi interessi in gioco e l’esigenza del giusto bilanciamento tra gli stessi, relativi, da un lato, all’interesse dell’amministrazione finanziaria a potere validamente esercitare il potere impositivo e, dall’altro, del contribuente, a non vedersi sottoposto a pretese esecutive, mediante successivi atti impositivi, aventi ad oggetto lo stesso presupposto impositivo, che impone di ritenere che, nel caso in esame, il corretto esercizio del potere di rinnovare un atto oggetto di pronuncia dei giudici di merito richiedeva che l’amministrazione finanziaria provvedesse al suo annullamento, in modo da evidenziare al contribuente, nella permanenza del giudizio relativo alla legittimità della pretesa fatta valere con il primo atto impositivo, che l’unica pretesa impositiva era quella di cui al successivo atto.

Nè può valere, infine, la circostanza relativa all’esatto contenuto degli atti impositivi impugnati, attenendo ad una questione di valutazione che attiene al merito della controversia, non sindacabile in questa sede con il motivo di censura in esame, che attiene alla violazione di legge.

Pertanto, la pronuncia censurata è conforme alla suddetta linea interpretativa, sicchè non sussiste il prospettato vizio di violazione di legge.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere tenuto conto del fatto, controverso e decisivo, che, negli avvisi di rettifica, era espressamente indicato che gli stessi non comportavano duplicazione nel merito delle pretese azionate, così che il pagamento della somma dovuta estinguerà il debito in relazione ad entrambi gli avvisi notificati.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del presente motivo ai sensi dell’art. 348 – ter, c.p.c., in quanto, sebbene la previsione normativa in esame trovi applicazione ratione temporis, in ragione della data di instaurazione del giudizio di appello (che risulta depositato il 15 novembre 2012), tuttavia va escluso che il giudice del gravame ha pronunciato l’inammissibilità per le medesime ragioni, inerenti a questioni di merito, poste a base della decisione impugnata, in quanto la pronuncia si è limitata a definire unicamente la questione preliminare della duplicazione di imposta, senza entrare nel merito della controversia, così come il giudice di primo grado.

Il motivo è comunque inammissibile, in quanto non risulta in alcun modo che la questione della rilevanza del contenuto degli atti impositivi evidenziati dalla ricorrente era stata prospettata in sede di giudizio di merito, nè risulta specificata la ragione della rilevanza del fatto la cui valutazione si assume omessa.

A tal proposito, va tenuto conto del fatto che la pronuncia del giudice del gravame si è fondata sulla circostanza, ritenuta fondamentale, della mancanza di un atto di annullamento, da parte della stessa amministrazione finanziaria, dei precedenti atti impositivi, mentre il fatto in esame attiene alla diversa questione della valenza di quanto contenuto nei successivi avvisi di rettifica per ritenere non sussistente il pericolo di lesione del diritto di difesa della contribuente.

In ogni caso, lo stesso contenuto degli avvisi di rettifica, riportati nel presente motivo di ricorso, non può essere letto nel senso indicato dalla ricorrente, e cioè quale univoca manifestazione di volontà di escludere una duplicazione di imposta.

In realtà, la dicitura riportata (senza duplicazione nel merito delle pretese azionate, così che il pagamento della somma dovuta estinguerà il debito in relazione ad entrambi gli avvisi notificati) ha un contenuto equivoco, in quanto sembra sottendere che solo il pagamento della somma richiesta avrebbe avuto l’effetto di estinguere entrambi gli avvisi notificati, potendo, quindi, essere interpretato nel senso che il pagamento avrebbe avuto effetto estintivo di tutte le pretese vantate, quindi anche dei precedenti avvisi di rettifica, non espressamente annullati.

In conclusione, va dichiarato infondato il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, essendo parte ricorrente Amministrazione pubblica per la quale ricorre il meccanismo di prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. sez. unite 8 maggio 2014, n. 9338; più di recente, tra le altre, Cass. sez. ord. 29 gennaio 2016, n. 1778).

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 7.300,00 oltre spese oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento ed accessori.

Non sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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