Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27090 del 15/12/2011

Cassazione civile sez. I, 15/12/2011, (ud. 09/11/2011, dep. 15/12/2011), n.27090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25111-2006 proposto da:

C.E. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA POLLIO 30, presso il dott. C.G.,

rappresentata e difesa da se medesima e dall’avvocato RISPOLI

GREGORIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DORA 1, presso l’avvocato MARIA ATHENA

LORIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PERUZZI

SERGIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3544/2 005 del TRIBUNALE di FIRENZE,

depositata il 06/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2011 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. L’avvocato C.E. si oppose al precetto intimatole dal Comune di Firenze per il pagamento di spese processuali dovute in forza di una sentenza del Tribunale di Firenze, adducendo che, in mancanza di condanna nel merito, la pronuncia non aveva valore di titolo esecutivo. Il Giudice di Pace di Firenze si dichiarò incompetente a norma dell’art. 9 c.p.c..

2. Con sentenza 6 ottobre 2005 il Tribunale di Firenze, riformando la sentenza di primo grado, ha affermato la competenza del giudice di pace a conoscere dell’opposizione a precetto a norma dell’art. 17 c.p.c., comma 1, e ha dichiarato infondato l’altro motivo di appello, con il quale si deduceva la nullità della sentenza per l’asserita nullità della costituzione in primo grado del comune, osservando che dalla nullità della costituzione del convenuto deriva la contumacia del medesimo e non la nullità della sentenza, e che nella fattispecie il primo giudice non aveva neppure condannato l’attrice al pagamento delle spese nei confronti del convenuto. Nel merito, il Tribunale ha parzialmente accolto l’opposizione a precetto, confermandone l’esecutività per una somma inferiore a quella intimata, previo ricalcolo delle spese in esso indicate, in relazione all’esatta individuazione dello scaglione tariffario applicabile, e ha compensato le spese dell’intero giudizio.

3. Per la cassazione della predetta sentenza ricorre l’avvocato C. con atto notificato in data 8 settembre 2006, per cinque motivi.

Il Comune di Firenze resiste con controricorso notificato il 17 ottobre 2006.

4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 353 c.p.c., comma 1, non avendo il tribunale rimesso la causa al primo giudice, dopo averne affermato la competenza da lui erroneamente negata.

Il motivo è infondato. La corte ha avuto ripetutamente occasione di insegnare che l’erronea dichiarazione di incompetenza da parte del giudice di primo grado non rientra fra le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., poichè il comma 3 del menzionato art. 353, che quella rimessione prevedeva nel solo caso in cui il pretore, in riforma della sentenza del conciliatore, avesse dichiarato la competenza, è stato esplicitamente abrogato, a decorrere dall’1 gennaio 1993, dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 89. Pertanto, quando il giudice d’appello ritenga errata la pronunzia di incompetenza emessa dal giudice di primo grado, deve decidere la causa nel merito (Cass. 10 agosto 2004 n. 15430; 21 maggio 2010 n. 12455).

5. Con il secondo motivo si censura sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 l’affermazione del giudice di merito, che la pretesa (dall’appellante) nullità della costituzione del comune in primo grado non avrebbe cagionato la nullità della sentenza, ma solo la condizione di contumace della parte.

5.1. Il motivo si traduce nella denuncia di un’omessa pronuncia di nullità di atti processuali, ed è pertanto esaminabile sotto il solo profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Esso è infondato.

L’art. 159 c.p.c. stabilisce che la nullità di un atto non importa quella degli atti successivi che ne sono indipendenti. Ciò significa che, in tanto la nullità della costituzione del convenuto si estende agli atti successivi, in quanto questi ne dipendano, sicchè la parte che su quella premessa denuncia la nullità della sentenza pronunciata all’esito del giudizio ha l’onere di allegare e dimostrare che l’atto nullo ha avuto un’influenza determinante sugli atti successivi. Del resto non è inopportuno ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza della corte, l’art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo.

Nel caso in esame, in cui la sentenza di primo grado, di incompetenza per materia ex art. 9 c.p.c. è stata integralmente riformata, e il giudice d’appello si è pronunciato sul merito di tutte le domande proposte dall’opponente a precetto, la ricorrente non allega alcun pregiudizio che le sarebbe derivato dalla costituzione del convenuto in primo grado di giudizio, sicchè il motivo deve essere rigettato.

6. Con il terzo motivo si denuncia la violazione (recte: falsa applicazione) dell’art. 282 c.p.c., per avere il giudice di merito affermato che la sentenza di primo grado è esecutiva nel capo portante la condanna alle spese, anche quando non vi siano altre pronunce di condanna nel merito.

6.1. Il motivo è infondato. Il giudice di merito si è uniformato sul punto alla giurisprudenza di questa corte per la quale, ancorchè l’art. 282 cod. proc. civ. non consenta di ritenere che l’efficacia delle sentenze di primo grado aventi natura di accertamento e/o costitutiva sia anticipata rispetto alla formazione della cosa giudicata sulla sentenza, qualora ad esse acceda una statuizione di condanna, tale statuizione, in forza della riferibilità dell’immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale di accertamento e/o costituiva, deve considerarsi provvisoriamente esecutiva (Cass. 10 novembre 2004 n. 21367; conf. 3 agosto 2005 n. 16262, ord. 25 gennaio 2010 n. 1283). Non ha valore concludente il richiamo della ricorrente alla sentenza della Corte costituzionale 16 luglio 2004 n. 232, giacchè in essa la legittimità dell’art. 282 c.p.c., nell’interpretazione di questa corte circa l’estensione dell’esecutività della sentenza di primo grado alle pronunce sulle spese pur in difetto di pronuncia sul merito, è confermata, sia pur movendo dal rifiuto in radice della stessa accessorietà della pronuncia sulle spese.

7. Con il quarto motivo si lamenta la violazione della L. 24 febbraio 1997, n. 27, artt. 1 e 6 e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 2, per avere il giudice di merito ritenuto legittima la condanna al pagamento, a titolo di spese processuali, di voci di una tariffa professionale abrogata, qual è quella dei procuratori legali.

7.1. Anche questo motivo è infondato. La corte ha da tempo chiarito che l’abolizione della distinzione professionale tra gli avvocati e i procuratori legali, prevista dalla L. n. 27 del 1997 (che ha soppresso l’albo dei procuratori legali prevedendo l’iscrizione di questi ultimi nell'(unico) albo degli avvocati) non ha determinato il superamento della tradizionale bipartizione tra le funzioni di procuratore e di avvocato – normativamente individuate nel codice di rito con le rispettive locuzioni di “ministero di difensore” e di “assistenza di difensore” – con la conseguente necessità della procura, ex art. 83 c.p.c., comma 1, per il conferimento del ministero di difensore (Cass. 14 ottobre 2000 n. 13729). L’abolizione dell’albo dei procuratore non ha comportato, dunque, l’abolizione della tariffa per le prestazioni professionali dei procuratori.

8. Con il quinto motivo si lamenta la violazione degli artt. 10, 81 e 84 del Trattato U.E., avendo il giudice di merito ritenuto ammessa la richiesta di voci tariffarie fondate sull’autoapplicazione formulata dai professionisti.

8.1. Anche questo motivo è infondato. La Corte di giustizia CE, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il Trattato CE della disciplina legale delle tariffe professionali degli avvocati nell’ordinamento italiano, ha affermato che, sebbene sussista una violazione degli artt. 5 e 85 del Trattato quando uno Stato membro tolga alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni d’intervento in materia economica, non si può ritenere che uno Stato membro abbia delegato ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni d’intervento in materia economica – il che avrebbe la conseguenza di privare la normativa del suo carattere pubblico – qualora, da un lato, l’organizzazione di categoria di cui trattasi sia incaricata solo di approntare un progetto di tariffa di per sè non vincolante – poichè il Ministro ha il potere di far modificare il progetto da detta organizzazione – e, dall’altro, la normativa nazionale disponga che la liquidazione degli onorari è effettuata dagli organi giudiziari in base ai criteri da essa stessa stabiliti, autorizzando peraltro il giudice a derogare, in talune circostanze eccezionali e con decisione debitamente motivata, ai limiti massimi e minimi fissati; e che, di conseguenza, nemmeno si può ritenere che lo Stato membro imponga o favorisca la conclusione di intese contrastanti con l’art. 85 del Trattato o ne rafforzi gli effetti (Corte di giustizia C.E. 19 febbraio 2002 in causa C-35/99) L’applicazione del principio enunciato dalla corte Europea alla normativa italiana porta a concludere nel senso della piena legittimità di questa, dovendosi escludere che possa parlarsi di un autonomo potere dell’ordine professionale di stabilire le tariffe che dovranno essere applicate anche dal giudice, con sottrazione del potere in questione allo Stato italiano.

Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese del giudizio sono a carico della parte soccombente, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione della Corte suprema di Cassazione, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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