Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2709 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 02/02/2017, (ud. 12/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16629-2014 proposto da:

G.D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAZZONE, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4256/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2016 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ALESSANDRO PEPE che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza resa in data 20/11/2013, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il tribunale della stessa città ha rigettato la domanda proposta da G.D.D. nei confronti di V.A. per l’accertamento della risoluzione di diritto del contratto di locazione per inadempimento del convenuto conduttore, nonchè per l’adozione delle conseguenti statuizioni restitutorie e risarcitorie.

Con la stessa sentenza, la corte territoriale ha confermato il rigetto della domanda riconvenzionale proposta dal V. per la condanna del G. al rimborso delle somme corrisposte per i miglioramenti apportati all’immobile locato.

A sostegno della decisione assunta, la corte d’appello ha confermato la mancata acquisizione di alcuna prova idonea ad attestare l’effettività delle asserite modificazioni apportate in modo illecito dal conduttore nell’immobile locato, evidenziando il carattere concordato e l’avvenuta autorizzazione, da parte del locatore, delle opere di manutenzione eseguite dal Villa in corso di rapporto.

Quanto alla pretesa di rimborso avanzata dal V., la corte territoriale ha confermato la mancata dimostrazione, da parte del conduttore, della natura delle opere dallo stesso eseguite, quali effettive migliorie suscettibili di indennizzo.

2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione G.D.D., sulla base di tre motivi d’impugnazione.

3. V.A. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c., art. 116 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè con gli artt. 2725, 2724 e 2721 c.c. (il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente interpretato gli elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio, pervenendo alla illogica e scorretta conclusione dell’avvenuta valida autorizzazione, da parte del locatore, delle modificazioni apportate dal conduttore all’immobile concesso in godimento.

In particolare, il ricorrente si duole dell’avvenuta violazione, da parte dei giudici di merito, del principio che vieta l’ammissione di prove testimoniali al fine contraddire un patto scritto, quale quello contenuto nella clausola 9 del contratto di locazione, ai sensi del quale il conduttore avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione scritta della proprietà (nella specie incontestatamente insussistente) al fine di eseguire lavori ed opere all’interno dell’appartamento concesso in locazione.

4.1. Il motivo è infondato.

Osserva il collegio come, pur dovendo convenirsi con la tesi secondo cui la norma dell’art. 1352 c.c. va riferita anche ai patti con cui si determina la forma di successivi atti o negozi unilaterali (onde l’applicabilità nella specie della presunzione che la forma convenuta sia stata voluta per la validità di questi), varrà evidenziare come la questione da risolvere, ai fini della presente decisione, attenga al riconoscimento della facoltà delle parti contraenti di poter revocare o meno con qualsiasi forma, anche tacita o implicita, il precedente patto stipulato.

Al riguardo, è appena il caso di osservare come la soluzione di tale problema non possa prescindere dal rilievo che nel nostro sistema contrattuale domina il principio della libertà della forma per cui, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge di forma legale, deve ritenersi che le parti contraenti siano ben libere, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di convenire l’adozione di una forma convenzionale o al contrario revocare l’accordo sulla forma convenzionale precedentemente concluso (Sez. 3, Sentenza n. 4541 del 22/03/2012, Rv. 621609).

Del resto, questa Corte, con indirizzo ormai consolidato, al quale il collegio intende aderire non essendo state addotte ragioni per discostarsene, ha già avuto modo di affermare il principio secondo cui “le parti che abbiano convenuto l’adozione della forma scritta per un determinato atto, nella loro autonomia negoziale possono successivamente rinunciare al succitato requisito, anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento, costituendo la valutazione in ordine alla sussistenza o meno di una rinuncia tacita un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, qualora sia sorretto da una motivazione immune da vizi logici, coerente e congruente” (Cass. n. 12344/03, n. 13277/00, n. 1306/90, n. 499/88) (Sez. 3, Sentenza n. 4541 del 22/03/2012, Rv. 621609, cit.).

Nella specie, la corte d’appello, nel riconoscere l’avvenuta autorizzazione del conduttore, ad opera della madre del ricorrente (e per conto di questi), a procedere agli interventi effettuati sull’immobile locato senza alcuna necessità di ulteriori formalizzazioni per iscritto, risulta essersi attenuta all’indicato principio di diritto, coerentemente ritenendo adottato dalle parti un comportamento sostanzialmente incompatibile con la volontà di mantenere il requisito della forma scritta per l’autorizzazione di interventi del conduttore sull’immobile locato, con la conseguente sostanziale rinuncia dello stesso.

Ciò posto, del tutto legittimamente i giudici d’appello hanno (implicitamente) confermato l’ammissibilità delle prove testimoniali acquisite sul punto concernente l’avvenuta conclusione verbale della ridetta convenzione (parzialmente) modificativa del patto locativo, trattandosi di una valutazione giuridicamente corretta e incensurabile in questa sede di legittimità, siccome sorretta da una motivazione immune da vizi logici e congruamente argomentata.

5. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1703 e 1704 c.c. in combinato con gli artt. 1387, 1388 e 1389 c.c., nonchè con gli artt. 1392, 1393 e 1399 c.c., oltre che per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto valida ed efficace la pretesa manifestazione di volontà della madre del ricorrente, in ordine all’autorizzazione, asseritamente rilasciata al conduttore, per l’esecuzione di lavori e opere all’interno dell’immobile locato, senza procedere ad alcuna verifica in ordine, tanto alla sussistenza di tale manifestazione di volontà (nelle forme dovute), quanto al rilascio di un’eventuale procura o mandato, o al compimento di alcuna successiva ratifica, da parte del ricorrente.

5.1. Il motivo è infondato.

Secondo quanto espressamente (e incontestatamente) indicato nella sentenza impugnata, costituisce circostanza pacifica tra le parti (siccome non contraddetta dallo stesso G.) quella secondo cui il contratto di locazione oggetto di giudizio fu concluso direttamente dalla madre del ricorrente in nome e per conto di questi, non avendo mai il G. “avuto contatti con il conduttore”.

In forza di tale ultima circostanza di fatto, la corte d’appello ha quindi concluso che il G. non si fosse semplicemente limitato a conferire alla propria madre il potere di concludere il contratto di locazione in esame (in ipotesi immodificabile dal rappresentante, una volta stipulato), avendola bensì investita delle più generali prerogative di “gestione” dell’intero rapporto di locazione con il conduttore; persona con la quale, significativamente, il G. non aveva mai inteso stabilire alcun contatto.

Sulla base di tale premessa, del tutto correttamente la corte territoriale ha ritenuto coerente, con detta circostanza, il ricorso, in capo alla madre del G., di un potere modificativo dei patti già conclusi, ritenendo congiunta, all’attribuzione del potere di conclusione del contratto, la connessa facoltà di modificarne taluni contenuti: si tratta di una valutazione di merito, sorretta da motivazione giuridicamente corretta e argomentata logicamente in modo congruo, immune dai vizi denunciati in questa sede dal ricorrente.

6. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1453 c.c. in combinato con gli artt. 1218 e 1223 c.c., nonchè in combinato ulteriore con l’art. 1362 c.c. e con gli artt. 1175 e 1176 c.c., e con gli artt. 1177 e 1587 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte d’appello erroneamente valutato e apprezzato il comportamento del conduttore in relazione all’inadempimento degli obblighi dallo stesso contrattualmente assunti.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Con la censura in esame, espressamente dedotta nella prospettiva della violazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti sul punto concernente l’adempimento delle obbligazioni del conduttore, ovvero dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti con riguardo al tema della risoluzione del contratto per inadempimento.

Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.

Ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892).

7. Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere disposto il rigetto del ricorso.

Non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto alcuna difesa in questa sede.

PQM

Rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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