Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27089 del 03/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27089 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 2495*-24i12 proposto da:
ANZALONE UMBERTO . (NZLMRT42A01B429D), elettivamente
domiciliato • in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato • e ‘difeso . dall’avv. CANNATA GIORGIO, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587 in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 03/12/2013

- controrkorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 5/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANIA del 26.3.2012, depositato il 29/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN

GIORGIO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Giorgio Cannata che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO
SGROI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catania, con decreto depositato in data 29 marzo
2012, ha rigettato il ricorso per equa riparazione, depositato il 5
gennaio 2012, proposto, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, da
Anzalone Umberto per l’eccessiva durata di una procedura
fallimentare, ancora pendente dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, nel
corso della quale il ricorrente aveva presentato, il 5 aprile 1995,
domanda di ammissione allo stato passivo, accolta all’udienza tenutasi
il 20 settembre 1995.
La Corte territoriale ha premesso, in linea di principio, che la durata del
processo fallimentare non può ragionevolmente superare i cinque anni
e che un ritardo di oltre dieci anni nella relativa definizione è
indennizzabile. Tuttavia, essa ha rilevato che, nel chiedere il
risarcimento del danno non patrimoniale, l’istante si era limitato a
dedurre l’incomprensibilità della lungaggine giudiziaria, venendo meno
all’onere di allegazione, non essendo stato neppure in grado di
enucleare stasi della procedura da attribuire a inerzia degli organi

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concorsuali, né di dedurre in quali segmenti temporali non sarebbe
stata effettuata alcuna attività da parte dei predetti organi e neppure
che, per il punto in cui era giunta, poteva farsi luogo alla chiusura della
procedura. Inoltre, l’istante, nell’assumere che il protrarsi della
procedura fosse dipeso dalla condotta dei suoi organi, era venuto

svolgimento delle varie attività di rispettiva pertinenza. Né valeva il
richiamo al potere-dovere del giudice di assumere informazioni
d’ufficio ex art. 738 cod.proc.civ., non avendo il ricorrente ottemperato
al fondamentale e preliminare onere di allegazione.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello ha proposto ricorso,
sulla base di due motivi illustrati anche da successiva memoria,
l’Anzalone. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella
redazione della sentenza.
Con il primo motivo (violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi
2 e 3, e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali) ci si duole che la Corte
d’appello – addossando alla parte istante l’onere di allegazione sulle
cause specifiche del ritardo – non abbia riconosciuto l’indennizzo a
titolo di danno non patrimoniale, pur essendosi la procedura
concorsuale protratta per oltre diciassette anni.
Il secondo mezzo lamenta che il decreto impugnato, nel presupporre
che il ricorrente non abbia assolto al proprio onere di allegazione,
abbia omesso di valutare positivamente la richiesta, dallo stesso
formulata in seno al ricorso introduttivo, di acquisizione di tutti gli atti
del procedimento fallimentare.

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meno anche all’onere di provarne la inerzia ingiustificata nello

I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere
esaminati congiuntamente – sono fondati.
La Corte d’appello si è discostata dal principio secondo cui, in tema di
equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del
processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. n. 89

disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice
non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte
dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della
addotta violazione della ragionevole durata del processo. Infatti, è ben
vero che la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che
però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo e
la data della sua definizione, mentre (in coerenza con il modello
procedimentale, di cui agli artt. 737 e s. cod. proc. civ., prescelto dal
legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli
eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli
atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo
alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole
di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n.
89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce
di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con

del 2001, art. 3, comma 5 – di richiedere alla Corte di appello di

l’esercizio di tale potere (Cass., sentt. n. 19164 del 2012; n. 16367 del
2011).
Inoltre, il decreto impugnato non ha considerato che il danno non
patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e
necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sicché,
pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale
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in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito
nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e
determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del
processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere
sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel

escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, il decreto impugnato
deve essere cassato, e la causa va rinviata ad altro giudice — che viene
individuato nella Corte d’appello di Catania in diversa composizione,
cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio
— che la riesaminerà alla luce dei principi di diritto dianzi enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la
causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta —
Sottosezione Seconda – della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio
2013.

caso concreto, circostanze particolari le quali facciano positivamente

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