Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27088 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 09/09/2016, dep.28/12/2016),  n. 27088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana M.T. – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16114-2011 proposto da:

COMUNE DI MONTEGALDA in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE AVEZZANA 1, presso lo

studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO MOLLO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGRICOLA BERICA SOCIETA’ COOPERATIVA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA RIZZARDI

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2010 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 26/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/09/2016 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

udito per il ricorrente l’Avvocato RUGGERO MOLLO per delega orale

dell’Avvocato ANTONIO MOLLO, che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato BORRELLI per delega

dell’Avvocato RIZZARDI e Avvocato CALDERARA per delega dell’Avvocato

MANZI che si riportano agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Il Comune di Montegalda (6) propone un articolato motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 26/18/10 del 26 aprile 2010 con la quale la commissione tributaria regionale di Venezia – Mestre ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento, per ICI 2001, notificato alla Società Cooperativa Agricola Berica in relazione a due fabbricati in proprietà della medesima, e da questa utilizzati per lo svolgimento imprenditoriale di attività agricola (allevamento avicolo, lavorazione, macellazione e vendita di prodotti avicoli conferiti dai singoli soci).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto non dovuta l’ICI sugli immobili in questione, atteso che i medesimi – non iscritti nel catasto fabbricati dovevano essere assoggettati all’accertamento in concreto dei requisiti per il riconoscimento della ruralità (asservimento e strumentalità rispetto all’attività agricola esercitata dai soci della Cooperativa), così come stabilito da Cass. SU 18565/09; e tale accertamento, nella specie, aveva sortito esito positivo.

Resiste la Cooperativa con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con l’unico articolato motivo di ricorso, il Comune di Montegalda lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – violazione e falsa applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis conv. c.m. in L. n. 133 del 1994 nella versione vigente ratione temporis, e del D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. c.m. in L. n. 222 del 2007; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso della decisione.

In special modo, la commissione tributaria regionale – pur dopo aver legittimamente operato l’accertamento in concreto della ruralità dei fabbricati in questione, in quanto non iscritti a catasto – avrebbe poi errato nell’esonerare i medesimi dal pagamento dell’ICI sulla base di una disposizione, l’art. 42 bis cit., che aveva efficacia innovativa e non interpretativa/retroattiva, così da produrre effetti solo a partire dalla annualità di imposta 2008 successiva alla sua entrata in vigore, non anche su quella, antecedente, dedotta in giudizio. Solo dal 2008, si sostiene, i fabbricati delle cooperative agricole, e loro consorzi, strumentali ad una delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c., potrebbero dunque essere considerati “edifici rurali”.

Inoltre, nell’anno di imposizione dedotto in giudizio, il fabbricato utilizzato dalla Cooperativa, intesa quale soggetto produttore di reddito d’impresa ai sensi del T.U.I.R., doveva ritenersi strumentale all’esercizio non già di un’attività agricola, bensì prettamente imprenditoriale, con conseguente esclusione – ex art. 9, comma 3 bis cit. – del carattere di ruralità. Tale carattere andava, infine, escluso anche in ragione del fatto che, fino al 2008, poteva considerarsi rurale soltanto il fabbricato, privi autonomia reddituale, costituente unica entità con il terreno agricolo (in proprietà dei soci e, dunque, di un soggetto – persona fisica diverso dalla Cooperativa) di cui costituiva pertinenza.

In via subordinata, il Comune deduce altresì questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, introdotto dalla Legge di Conversione n. 14 del 2009, in relazione agli artt. 3 e 53 Cost.; se interpretato nel senso della esclusione da ICI – fin dall’anno di istituzione del tributo – dei fabbricati aventi i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9 conv. in L. n. 133 del 1994.

p. 2. Il motivo è infondato in tutti i profili nei quali si articola.

Va premesso che – come è assodato in causa – i due fabbricati in oggetto non risultavano censiti, nell’anno di imposizione qui dedotto, nel catasto fabbricati; tanto che lo stesso avviso di accertamento qui opposto ha ritenuto di determinare la base imponibile con riguardo non già alla rendita catastale (non attribuita), bensì al valore contabile di bilancio dei cespiti come stabilito, per i fabbricati non censiti, dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3. Ed è sempre su tale presupposto che la Cooperativa ha, per contro, ritenuto di poter assolvere l’obbligazione ICI sulla base della rendita dominicale conseguente all’iscrizione catastale dei (soli) terreni sui quali i fabbricati in questione insistono.

La circostanza del mancato censimento nel catasto fabbricati viene indicata come pacifica non soltanto dalla Cooperativa, ma anche dallo stesso Comune in ricorso; e comunque risulta – con affermazione non censurata – dalla sentenza qui impugnata.

Ebbene, su tale presupposto la commissione tributaria regionale ha regolato il caso facendo corretta applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, secondo cui: “ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c. e in particolare destinate: (…) i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui al D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 1, comma 2; (…)”. Norma richiamata, con esplicita funzione interpretativa ed effetto retroattivo, dal D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009, secondo cui: “Ai sensi e per gli effetti della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lettera a), deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni”.

Su tale presupposto normativo, si poneva dunque il problema di verificare la sussistenza, in concreto, del carattere di ruralità dei fabbricati della Cooperativa in oggetto, così come legislativamente definito.

Questa verifica è stata dalla commissione tributaria regionale condotta facendo, anche in tal caso, esatta applicazione di quanto stabilito – proprio per l’ipotesi di fabbricati non iscritti in catasto – da Cass. SU 18565/09 cit., secondo cui: “in tema di ICI, l’applicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 – bis, convertito con modificazioni nella L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), è subordinata, per i fabbricati non iscritti in catasto, all’accertamento dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in L. n. 133 del 1994 e successive modifiche, accertamento questo che può essere condotto dal giudice tributario, investito della domanda di rimborso proposta dal contribuente, su cui grava l’onere di dare la prova della sussistenza dei predetti requisiti. Tra i requisiti, per gli immobili strumentali, non rileva l’identità fra titolare del fabbricato e titolare del fondo, potendo la ruralità essere riconosciuta anche agli immobili delle cooperative agricole che svolgono attività di manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci”.

n materia, l’orientamento di legittimità è andato consolidandosi (Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14; 16737/15 e più recentemente, tra le altre, 7930/16) nel senso di ritenere dirimente ai fini dell’esenzione ICI – per i fabbricati iscritti in catasto – l’inserimento dell’immobile in categoria catastale di ruralità (A6 se abitativo, D10 se produttivo); fermo restando che – per i fabbricati non iscritti – è invece demandato al giudice tributario di accertare in concreto (con onere probatorio a carico del contribuente, ove si tratti di giudizio di rimborso) il carattere di ruralità sulla base dei principi evincibili dalla normativa testè riportata, come ricostruita dalla citata sentenza delle SSUU: asservimento dell’immobile allo svolgimento di attività agricola ex art. 2135 c.c., indipendentemente dalla coincidenza soggettiva della proprietà del fabbricato e del fondo, così come del fatto che il primo risulti in proprietà di una persona giuridica, ed il secondo di una persona fisica.

E’ nell’espletamento della verifica così delineata che la commissione di merito ha ritenuto che ai fabbricati in oggetto dovesse in effetti attribuirsi carattere di ruralità ex art. 9 comma 3 bis cit. (con conseguente esenzione ICI), in quanto pacificamente utilizzati dalla Cooperativa per l’allevamento avicolo (segnatamente, un fabbricato, per incubazione e schiusa delle uova; l’altro, per abitazione del custode e magazzino/ufficio) e, in generale, la lavorazione dei prodotti avicoli provenienti dai soci.

Va detto che la conclusione alla quale la commissione tributaria regionale è così pervenuta non può trovare sindacato nella presente sede di legittimità.

Non solo perchè implicante una valutazione prettamente fattuale riservata, in quanto tale, al giudice di merito (che ha il solo onere, qui rispettato, di congruamente motivare sulle ragioni del proprio convincimento sul punto), ma anche – e più in radice – perchè neppure censurato dal ricorrente; le cui doglianze, ancorchè rubricate anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si incentrano essenzialmente sull’aspetto interpretativo ed applicativo delle norme di riferimento, senza in realtà dedurre specifiche lacune di ordine logico-motivazionale nella ricostruzione degli aspetti materiali ed obiettivi della fattispecie. Aspetti che la commissione di merito ha preso compiutamente in esame nell’ambito di un accertamento dei requisiti di ruralità che lo stesso Comune ha, anzi, riconosciuto di per sè del tutto legittimo.

Va qui aggiunto che l’orientamento giurisprudenziale su riportato è ormai consolidato anche in ordine alla efficacia retroattiva del disposto normativo risultante dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, art. 9, comma 3 bis, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, conv. in L. n. 222 del 2007, e richiamato dal D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, conv. in L. n. 14 del 2009.

Disposizione, quest’ultima, di chiara natura interpretativa, avendo con essa il legislatore inteso porre fine a dubbi applicativi e contrasti giurisprudenziali sulla non assoggettabilità ad ICI dei fabbricati di proprietà delle cooperative esercenti attività agricole; a tal fine specificando che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrano i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9.

Già le SSUU (18565/09 cit.) ebbero a stabilire che “la norma, mediante il richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, è dichiarata espressamente disposizione di interpretazione autentica, ed è quindi applicabile retroattivamente. Invero, secondo l’orientamento già espresso da queste Sezioni Unite, ‘la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione – esprime univocamente l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (Cass. 5. U. n. 9941 del 2009). Si tratta in ogni caso di una norma che ha effettivamente carattere interpretativo, intervenendo su una materia oggetto di differenziati orientamenti interpretativi, sia in giurisprudenza che in dottrina, per chiarire definitivamente, dopo tante incertezze, che i fabbricati rurali non sono soggetti ad ICI: e lo fa colmando una lacuna avvertita da tutti gli interpreti, stabilendo cioè un diretto collegamento tra riconoscimento della ruralità e normativa ICI, definendo il senso della disposizione fondamentale in materia circa il concetto di “fabbricato” il cui possesso è presupposto dell’imposizione”.

Non solo, ma la retroattività della disciplina sopravvenuta (Cass. 10355/15; 16973/16) trova argomento logico-giuridico anche nella valutazione offerta – sebbene con riguardo ad una diversa disposizione del regime ICI – dal giudice delle leggi; con elementi idonei a fugare anche i dubbi di legittimità costituzionale qui rappresentati dal ricorrente.

La Corte Costituzionale (sentenza 227/09) ha infatti sancito che “è costituzionalmente illegittimo, in relazione all’art. 3 Cost. (con assorbimento delle questioni ulteriori), la L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 4, il quale prevede l’irripetibilità di quanto versato a titolo di ICI per /e annualità precedenti a/ 2008 da tutti i soggetti destinatari delle disposizioni di cui alla lett. i) del cit. art. 9, comma 3 bis, ivi comprese le cooperative agricole cui la citata normativa fa espresso riferimento. La disposizione è stata ritenuta irragionevole per la chiara contraddizione in cui cade il legislatore il quale, avendo provveduto nel senso della insussistenza dei presupposti per l’insorgere della obbligazione, interviene, sia pure con diversa norma, onde limitare gli effetti della precedente, nel senso di rendere irripetibile quanto già, peraltro sine causa, versato; ma la stessa è anche incompatibile col rispetto del principio di eguaglianza, in quanto fonte di ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente uguali, venendo a determinare un trattamento deteriore di chi abbia erroneamente pagato un’imposta non dovuta rispetto a quello di chi, versando nella medesima situazione, non abbia invece effettuato alcun pagamento”.

Da tale pronuncia non si evince alcun argomento a sostegno dell’illegittimità costituzionale del regime di retroattività risultante dall’art. 23, 1 bis cit. e norme richiamate; escludendo essa, anzi, la irripetibilità anche di quanto pagato “sine causa” negli anni pregressi, anche in forza del carattere di ruralità riconoscibile ai fabbricati in via retroattiva.

In ogni caso, il dedotto dubbio di legittimità costituzionale del cit. D.L. n. 207 del 2008, art. 23 – ex artt. 3 e 53 Cost., e per violazione del principio di ragionevolezza – appare manifestamente infondato in ragione della non equiparabilità, quale situazione di partenza, del fabbricato rurale a quelli abitativi o industriali, con conseguente legittimità di un diverso trattamento fiscale di presupposti d’imposta oggettivamente diversi. Tanto più considerando che il carattere di ruralità viene assunto dal legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità impositiva, quale fattore speciale di favore. E ciò in accordo con innumerevoli e più ampi interventi di vantaggio ed incentivo del settore agricolo; ancorchè anch’esso produttivo di reddito, ed eventualmente connotato dalla presenza di fabbricati che restano strumentali, nel senso che si è detto, indipendentemente dalla loro intrinseca valorizzazione commerciale e reddituale. E’ poi nello stesso ambito di discrezionalità legislativa che si pone l’opzione interpretativo – retroattiva di cui si è dato conto, volta ad ampliare, e non a restringere, la sfera della non-imposizione di settore; con effetto, questo sì, perequativo.

Va da ultimo considerato come la soluzione qui accolta (non debenza dell’ICI sui fabbricati asserviti all’attività agricola della cooperativa) non venga meno per effetto dell’abrogazione del D.L. n. 207 del 2008 cit., art. 23, comma 1 bis da parte del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14, lett. d) conv. in L. n. 214 del 2011; posto che tale abrogazione – decorrente, per espressa previsione normativa, dal 1 gennaio 2012 – non è di per sè in grado di precludere l’interpretazione della disciplina ICI così come già in precedenza delineatasi nella evoluzione giurisprudenziale di legittimità.

E, nemmeno, la sentenza qui impugnata potrebbe ritenersi in contrasto con la corretta applicazione del D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, cit., al cui inciso “anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui al D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, art. 1, comma 2” deve parimenti attribuirsi portata non innovativa, ma di mera esplicitazione e chiarimento dei limiti di esenzione da ICI dei fabbricati rurali delle cooperative. Così da poter essere interpretativamente riferito anche alle annualità precedenti alla sua entrata in vigore.

Ne segue il rigetto del ricorso, con spese compensate in ragione della delicatezza della questione interpretativa, di per sè attestata dalla non lineare evoluzione legislativa e giurisprudenziale in materia.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 9 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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