Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27087 del 03/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 27087 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 24950-2012 proposto da:
CREMONE MICHELA (C1MMHL39R68B429G) GUERRERI
MARIA ROSA (GRRMRS74S69B429Pj GUERRERI RODOLFO
(GRRRLF 68E16B 429R) GUERRERI ALFONSO
(GRRLNS61M10B429 tutti nella qualità di eredi legittimi di Guerreri
Calogero, elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. CANNATA
GIORGIO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 03/12/2013

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (8018440587) in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

avverso il decreto nel procedimento R.G. 541/2011 della CORTE
D’APPELLO di CATANIA del 26.3.2012, depositato il 29/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN
GIORGIO;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Giorgio Cannata che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO
SGROI che ha concluso per raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catania, con decreto depositato in data 29 marzo
2012, ha rigettato il ricorso per equa riparazione, depositato il 17
ottobre 2011, proposto, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, da
Cremone Michela, Guerreri Alfonso, Guerreri Rodolfo e Guerrieri
Maria Rosa, per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare,
ancora pendente dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, nel corso della
quale il loro dante causa, dipendente della impresa fallita, aveva
presentato, il 6 giugno 2000, domanda di ammissione allo stato passivo
per un credito di lire 1.858.151, accolta all’udienza tenutasi il 23
ottobre 2002.
La Corte territoriale ha premesso, in linea di principio, che la durata del
processo fallimentare non può ragionevolmente superare i cinque anni
Ric. 2012 n. 24950 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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– controricorrente –

e che un ritardo di undici anni nella relativa definizione è
indennizzabile. Tuttavia, essa ha rilevato che, nel chiedere il
risarcimento del danno non patrimoniale, gli istanti si erano limitati a
dedurre l’incomprensibilità della lungaggine giudiziaria, venendo meno
all’onere di allegazione, non essendo stati neppure in grado di

concorsuali, né di dedurre in quali segmenti temporali non sarebbe
stata effettuata alcuna attività da parte dei predetti organi e neppure
che, per il punto in cui era giunta, poteva farsi luogo alla chiusura della
procedura. Inoltre, gli istanti, nell’assumere che il protrarsi della
procedura fosse dipeso dalla condotta dei suoi organi, erano venuti
meno anche all’onere di provarne la inerzia ingiustificata nello
svolgimento delle varie attività di rispettiva pertinenza. Né valeva il
richiamo al potere-dovere del giudice di assumere informazioni
d’ufficio ex art. 738 cod.proc.civ., non avendo i ricorrenti ottemperato
al fondamentale e preliminare onere di allegazione.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello hanno proposto
ricorso, sulla base di due motivi, Cremone Michela, Guerreri Alfonso,
Guerreti Rodolfo e Guerrieri Maria Rosa. Il Ministero della Giustizia
ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

enucleare stasi della procedura da attribuire a inerzia degli organi

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella
redazione della sentenza.
Con il primo motivo (violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi
2 e 3, e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali) ci si duole che la Corte
d’appello – addossando alla parte istante l’onere di allegazione sulle
cause specifiche del ritardo – non abbia riconosciuto l’indennizzo a

Ric. 2012 n. 24950 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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A

titolo di danno non patrimoniale, pur essendosi la procedura
concorsuale protratta per oltre undici anni.
Il secondo mezzo lamenta che il decreto impugnato, nel presupporre
che il ricorrente non abbia assolto al proprio onere di allegazione,
abbia omesso di valutare positivamente la richiesta, dallo stesso

del procedimento fallimentare.
I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere
esaminati congiuntamente – sono fondati.
La Corte d’appello si è discostata dal principio secondo cui, in tema di
equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del
processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. n. 89
del 2001, art. 3, comma 5 – di richiedere alla Corte di appello di
disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice
non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte
dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della
addotta violazione della ragionevole durata del processo. Infatti, è ben
vero che la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che
però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo e
la data della sua definizione, mentre (in coerenza con il modello
procedimentale, di cui agli artt. 737 e s. cod. proc. civ., prescelto dal
legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli
eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli
atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo
alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole
di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n.
89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce
di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con

Ric. 2012 n. 24950 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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formulata in seno al ricorso introduttivo, di acquisizione di tutti gli atti

l’esercizio di tale potere (Cass., sentt. n. 19164 del 2012; n. 16367 del
2011).
Inoltre, il decreto impugnato non ha considerato che il danno non
patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e
necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del

salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sicché,
pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale

in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito
nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e
determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del
processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere
sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel
caso concreto, circostanze particolari le quali facciano positivamente
escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, il decreto impugnato
deve essere cassato, e la causa va rinviata ad altro giudice — che viene
individuato nella Corte d’appello di Catania in diversa composizione,
cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio
— che la riesaminerà alla luce dei principi di diritto dianzi enunciati.
P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la
causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta —
Sottosezione Seconda – della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio
2013.

processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la

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