Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27086 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 23/10/2019), n.27086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14740/2014 proposto da:

Metano Estense S.n.c. di B.S. & C. in liquidazione, in

persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Alessandria n. 25, presso lo

studio dell’avvocato Borromeo Chiara, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Bo.Pi. & C. S.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Appio Claudio n.

289, presso lo studio dell’avvocato Germani Giancarlo, che la

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2119/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata il 28/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/10/2019 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna con sentenza del 28 novembre 2013 ha respinto le impugnazioni, principale ed incidentale, avverso lodo arbitrale.

Il lodo, reso il 28 giugno 2010 dall’arbitro unico, era stato impugnato in via principale dalla Metano Estense s.n.c. con domanda di nullità, ed in via incidentale dalla Bo.Pi. & C. s.r.l., con contrapposta domanda di nullità, sotto distinti profili.

Avverso questa sentenza è stato proposto ricorso per la cassazione dalla Metano Estense s.n.c., sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria.

Vi resiste con controricorso l’intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi esposti nel ricorso vanno così riassunti:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1362 c.c., artt. 806,807,808 c.p.c. e del D.Lgs. n. 40 del 2006, per non avere la corte territoriale interpretato la clausola quale devolutiva delle controversie ad arbitrato irrituale, come tale non impugnabile presso la corte d’appello, qualificazione comunque da preferire in caso di dubbio, mentre, laddove la clausola menziona il rispetto di norme inderogabili di legge, essa intende in realtà riferirsi a quelle imperative sul gas metano;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., artt. 112,827,828 e 829 c.p.c., per non avere la corte territoriale rilevato d’ufficio trattarsi di arbitrato irrituale.

2. – I due motivi, da trattare congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.

2.1. – La sentenza impugnata, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che la clausola da applicare sia quella contenuta all’art. 6 del patto modificativo del maggio 2005, la quale prevede che tutte le controversie afferenti il contratto ed il rapporto con esso instaurato siano devolute all’arbitro unico, il quale “giudicherà ex bono et aequo senza formalità di procedura e con giudizio inapplicabile nel rispetto delle norme inderogabili di legge entro 30 giorni dall’incarico”, ed ha osservato come ad essa si applicasse la disciplina in vigore.

Ha osservato, altresì, come entrambe le parti, sebbene in modo parzialmente non coincidente nei contenuti, abbiano palesato di ritenere l’arbitrato rituale, pur tentando di sostenere l’impugnabilità del lodo anche per i vizi in iudicando, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 3.

Quindi, la corte del merito ha, da un lato, ritenuto che la parola inapplicabile intendesse dire inappellabile, e, dall’altro lato, reputato che le parti esclusero, in tal modo, l’impugnazione per errores in iudicando, restando dunque censurabile il lodo per le fattispecie di errores in procedendo, di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1.

Nel merito, ha ritenuto insussistenti i vizi al riguardo denunziati dalle parti, concernenti le fattispecie di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, nn. 11 e 12, mentre ha ritenuto non proponibile la censura di violazione dell’art. 1223 c.c., avanzata da Bo.Pi. s.r.l..

2.2. – In tal modo, in sostanza, la corte del merito ha fatto applicazione del principio consolidato, secondo cui, in tema di arbitrato, il compromesso o la clausola compromissoria possono legittimamente prevedere la non impugnabilità del lodo per violazione di norme di diritto sostanziale, con la conseguenza che permane solo l’impugnabilità per la violazione di norme di diritto processuale.

Quanto alla qualificazione della natura dell’arbitrato, è noto che, ove si tratti di arbitrato irrituale, ciò rende inammissibile l’impugnazione dell’esito del medesimo, proposta direttamente innanzi alla corte d’appello: infatti, poichè nell’arbitrato irrituale le parti intendono affidare all’arbitro la soluzione di una controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale – mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibili alla loro volontà – impegnandosi considerare la decisione degli arbitri come espressione di tale personale volontà, non è ammissibile l’impugnazione per nullità di un lodo, mentre è esperibile la sola azione per eventuali vizi del negozio, da proporre con l’osservanza delle norme ordinarie sulla competenza e del doppio grado di giurisdizione (Cass. 18 novembre 2015, n. 23629; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24552; Cass. 1 aprile 2011, n. 7574; ed altre, quali es. Cass. n. 178 del 2008; Cass. n. 24059 del 2006; Cass. n. 16718 del 2006; Cass. n. 874 del 1995).

E’ vero che, come questa Corte ha statuito (di recente, Cass. 13 marzo 2019, n. 7198), la S.C. deve esaminare e valutare direttamente il patto compromissorio integrante la fonte dell’arbitrato medesimo e non limitarsi alla verifica della “tenuta”, sotto il profilo motivazionale, della opzione ermeneutica adottata al riguardo dal giudice di merito.

Peraltro, nell’indagine volta ad individuare la natura dell’arbitrato, oltre che dell’intero contesto della scrittura compromissoria, deve tenersi conto, quale criterio sussidiario di valutazione, della condotta complessiva tenuta delle parti anche nello stesso corso del procedimento arbitrale e successivamente alla pronuncia del lodo, ad essa attribuendo il rilievo consentito dall’art. 1362 c.c., che, come è noto, consente di utilizzare il comportamento complessivo delle parti in via sussidiaria (cfr. Cass. n. 3933 del 2008).

Onde, al fine di determinare se si verta in tema di arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria alla stregua dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’art. 1362 c.c. e, dunque, fare riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, anche successivo alla conclusione del contratto, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato.

Infine, giova ricordare l’orientamento (inaugurato da Cass. 7 aprile 2015, n. 6909; ed, ancora in tal senso, Cass. 10 maggio 2018, n. 11313) di favor nei confronti dell’arbitrato rituale, anche qualora dovessero risultare dubbi al riguardo, proprio in ragione delle maggiori garanzie offerte da tale forma di arbitrato, quanto all’efficacia esecutiva del lodo, al regime delle impugnazioni, alle possibilità per il giudice di concedere la sospensiva.

2.3. – La corte del merito ha ritenuto trattarsi nella specie di arbitrato rituale, e tale qualificazione non merita censure.

Invero, da un lato la clausola prevede la devoluzione della lite ad un terzo imparziale, scelto dal presidente del tribunale, ove manchi l’accordo fra le parti; dall’altro lato, si contempla il rispetto delle inderogabili norme di legge; dall’altro lato ancora, le parti stesse, impugnando il lodo direttamente innanzi alla corte d’appello, palesarono di reputarlo di natura rituale, in quanto altrimenti avrebbero dovuto adire il tribunale secondo le regole del giudizio ordinario di cognizione.

Ed è noto che il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri, pur rituali, non sono tenuti all’osservanza delle regole del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo.

Mentre non ha pregio la censura formulata con il secondo motivo, posto che la corte del merito, al contrario dell’assunto, si è appunto interrogata sulla natura dell’arbitrato, per concludere, sulla base dei criteri ex art. 1362 c.c., trattarsi di arbitrato rituale, donde l’impugnabilità del lodo presso la corte d’appello.

3. – Le spese processuali seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso: si tratta invero di una obbligazione (di importo predeterminato) che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa. La norma esige, dunque, dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (cfr. Cass. 5 aprile 2019, n. 9660).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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