Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27083 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 23/10/2019), n.27083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusep – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24994/2014 proposto da:

C.F., e P.O., elettivamente domiciliati in

Roma Via Albenga 45 presso lo studio dell’avvocato Rita Brandi e

rappresentati e difesi dall’avvocato Marialuisa Zanobini in forza di

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Buti, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma Via Panama 77 presso lo studio dell’avvocato

Gianluca Barneschi e rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi

Bimbi in forza di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 431/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.F. e P.O., proprietari di alcuni terreni siti nel Comune di (OMISSIS), compresi nel progetto di costruzione della locale Caserma dei Carabinieri, hanno convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Firenze il Comune di Buti, chiedendo la determinazione giudiziale dell’indennità di espropriazione sulla base del valore venale del terreno, sostenendo che esso non era esterno rispetto al centro abitato, era già dotato di servizi pubblici e infrastrutture e possedeva un valore al m.q. di Euro 155,00 e non già di soli Euro 47,57, come determinato dalla Commissione provinciale spropri.

Si è costituito in giudizio il Comune di Buti, chiedendo il rigetto delle domande degli attori, dovendosi far riferimento al valore da essi dichiarato ai fini ICI ed escludere l’edificabilità del terreno ad opera di privati; in subordine, il Comune ha chiesto l’abbattimento del 25% dell’indennità in considerazione della finalizzazione dell’intervento a riforma economico sociale.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 12/3/2014 la Corte di appello di Firenze ha determinato l’indennità di espropriazione nella somma di Euro 95.723,96, oltre interessi legali dal decreto di esproprio, ordinando il deposito della somma da parte del Comune per la parte ancora ineseguita, col favore delle spese processuali nella misura dei 2/3 per gli attori e con il riparto delle spese di c.t.u. per 2/3 a carico del Comune e per 1/3 a carico degli attori.

2. Avverso la predetta sentenza del 12/3/2014 con atto notificato il 24/10/2014 hanno proposto ricorso per cassazione C.F. e P.O., svolgendo tre motivi.

Con atto notificato il 2/12/2014 il Comune di Buti ha proposto controricorso, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al combinato disposto del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 nonchè omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

1.1. La Corte di appello, partendo dalla constatazione che i terreni oggetto di esproprio ricadevano in zona destinata ad attrezzature di interesse comune e a servizi (art. 42 n. t.a. – F3A uffici comunali e sedi decentrate, di amministrazioni e aziende pubbliche statali, come poste, telecomunicazioni, energia elettrica, polizia…) ne aveva desunto l’esistenza di un vincolo conformativo, escludendo la possibilità di realizzare tale specifica destinazione anche attraverso interventi affidati a privati, che non avrebbero fatto venir meno la natura pubblicistica.

Al contrario, come aveva sostenuto il consulente di parte attrice, le norme di piano consentivano la realizzazione di tali interventi anche a soggetti privati (pag. 44 delle n. t.a. vigenti al momento dell’apposizione del vincolo) con il rilascio della concessione subordinato alla stipula di apposita convenzione con l’Amministrazione comunale.

Di conseguenza – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte – l’area avrebbe dovuto essere qualificata come edificabile.

1.2. La Corte territoriale, dopo aver riconosciuto la tipologia di destinazione urbanistica sopra indicata, vocata ad attrezzature di interesse comune e a servizi (art. 42 n. t.a. – F3A – uffici comunali e sedi decentrate, di amministrazioni e aziende pubbliche statali, come poste, telecomunicazioni, energia elettrica, polizia…) e la natura conformativa del vincolo, ha affrontato il problema, sollevato dalla difesa dei gli attuali ricorrenti della possibilità di realizzare interventi dei privati in regime di convenzione per la realizzazione di opere di interesse pubblico rientranti nelle categorie indicate.

Al riguardo ha risposto che ciò “non farebbe comunque venir meno la natura pubblicistica della destinazione in quanto finalizzata alla realizzazione di attrezzature e interessi di interesse esclusivamente pubblico” e ne ha tratto argomento a supporto della ravvisata natura non edificabile dei terreni espropriati.

1.3. La decisione impugnata non è stata censurata correttamente dai ricorrenti con riferimento al preteso vizio motivazionale prospettato erroneamente con riferimento alla pregressa formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

I ricorrenti propongono la loro doglianza con riferimento all’abrogata formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anzichè l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: infatti al presente procedimento si applica il testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134.

1.4. Quanto alla denuncia di violazione di legge, la sentenza impugnata risulta allineata ad un orientamento giurisprudenziale di questa Corte, secondo cui ai fini del calcolo dell’indennizzo di esproprio, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area; l’edificabilità – inoltre – è compatibile solo con la destinazione non pubblica dell’area. La vocazione edificatoria delle aree, infatti, è correlata solo alla destinazione privata residenziale, industriale, commerciale – degli insediamenti che su di esse possono essere realizzati, mentre la destinazione pubblica dell’insediamento, rende irrilevanti o assorbe le modalità della sua realizzazione, quand’anche gli interventi siano effettuati da privati e la gestione sia assicurata da enti o imprese private (Sez. 1, 07/03/2017, n. 5686; Sez.1, 19/10/2016, n. 21185; Sez.1, 21/06/2016, n. 12818; Sez.1, 10/04/2015, n. 7304).

1.5. Le censure sollevate dai ricorrenti si imperniano sul fatto che le norme tecniche urbanistiche da essi richiamate (art. 44 delle n. t.a.) consentivano, eccetto che per la sottozona F3h (non rilevante nella fattispecie perchè attinente a edifici per il culto), l’attuazione del piano anche su iniziativa privata, previa stipulazione di apposita convenzione con l’Amministrazione comunale per definire tempi e modo di attuazione e garantire l’uso pubblico delle attrezzature.

Tale critica non è pertinente però rispetto alla ratio decidendi, perchè la Corte toscana ha determinato l’indennità, sulla scorta della relazione del Consulente tecnico d’ufficio, con riferimento al valore di mercato del terreno in questione, determinato attraverso una stima complessa per mediazione fra il risultato di una indagine di mercato attinente a concrete trattative di vendita di terreni similari e il valore attribuito dalla Commissione provinciale espropri di Pisa a terreni aventi caratteristiche similiari, adeguando poi il predetto valore in relazione a tutta una serie di parametri riguardanti specifiche caratteristiche del bene incidenti sul prezzo di mercato (ubicazione, potenzialità urbanistica, potenzialità edificatoria, panoramicità, soleggiamento, luminosità).

La Corte di appello si è quindi basata sul ritenuto valore di mercato effettivo del bene (pagine 5-6 della sentenza impugnata).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 nonchè illogicità, contraddittorietà, travisamento, omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

2.1. La sentenza, secondo i ricorrenti, era priva di idonea motivazione quanto al recepimento operato dalla Corte toscana delle conclusioni attinte dal Consulente d’ufficio circa i criteri di determinazione del valore dei terreni, senza verificare la tenuta di tale modalità di calcolo alla stregua delle osservazioni critiche proposte dagli attori, tanto più in presenza di richiami del tutto generici della relazione di consulenza tecnica ad informazioni acquisite presso gli uffici tecnici comunali, a indagini di mercato ed a opuscoli specialistici.

La sentenza sarebbe anche palesemente contraddittoria quanto al parametro di potenzialità urbanistica, laddove l’applicazione di un fattore correttivo per la zona F3A (0,85) era del tutto ingiustificato poichè tale elemento era già stato tenuto presente ai fini della determinazione del valore di riferimento.

Ai ricorrenti appare poi del tutto criptico il riferimento limitativo alla presenza del vicino (OMISSIS).

Del pari insufficiente sarebbe l’applicazione del parametro pari a 1 quanto alla panoramicità, che avrebbe invece meritato un fattore correttivo di 1,05.

2.2. Vale quanto alla denuncia di vizio motivazionale il rilievo proposto al precedente p. 1.2. circa la non corretta deduzione del mezzo con riferimento alla precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.3. In ogni caso i ricorrenti articolano recriminazioni ampiamente riversate nel merito – e quindi palesemente inammissibili in sede di legittimità – sia laddove rimproverano alla Corte di appello di Firenze una insufficiente motivazione circa l’adesione alle valutazioni espresse dal Consulente tecnico d’ufficio, partendo dalla base di una media aritmetica fra il valore risultante da indagini di mercato eseguite su terreni similari e quello attribuito dalla Commissione provinciale spropri di Pisa a terreni aventi le caratteristiche di quelli in esame, per poi correggere tale valore medio (Euro 33,01 al m.q.) alla stregua di una serie di caratteristiche specifiche dei beni oggetto di causa scrutinati alla luce dei parametri di ubicazione, potenzialità urbanistica, potenzialità edificatoria, panoramicità, soleggiamento e luminosità per pervenire ad un valore di Euro 27,73 al m.q.

Tale determinazione, orientata sulla base delle caratteristiche specifiche dei beni è parsa alla Corte di appello meritevole di essere recepita perchè espressiva del valore vanale dei terreni.

Le critiche dei ricorrenti sono inoltre del tutto aspecifiche perchè non riproducono – nè danno conto anche solo sinteticamente del tenore delle conclusioni valutative del C.t.u., oggetto di dissenso, e degli elementi probatori acquisiti agli atti che le confuterebbero.

Quanto alla doglianza circa la duplicata valutazione penalizzante, effettuata con riferimento al parametro di valutazione della potenzialità edificatoria, i ricorrenti, non riproducendo il completo contenuto della relazione peritale, non consentono alla Corte di verificare se effettivamente la collocazione in zona F3a sia stata considerata due volte: per la precisione, se ciò fosse avvenuto già una prima volta ai fini della determinazione del valore di riferimento, che, stando alla sentenza impugnata, sarebbe invece stato effettuato sulla base di una media fra due diversi tipi di valori.

Del tutto discrezionali e ancora riversate nel puro merito appaiono infine le doglianze circa l’attribuzione del coefficiente correttivo in tema di panoramicità e la penalizzazione scaturente dalla vicinanza al fiume (OMISSIS), con cui i ricorrenti esprimono il loro dissenso rispetto all’opinione del C.t.u. e della Corte territoriale.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 nonchè illogicità, contraddittorietà, travisamento, omessa e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.

3.1. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello non avrebbe potuto determinare l’indennità di esproprio in misura inferiore a quella stabilita dalla Commissione provinciale, in difetto di apposita domanda all’uopo introdotta dall’amministrazione, che aveva solo chiesto la riduzione per interventi di riforma economico sociale, a cui peraltro aveva rinunciato.

Secondo i ricorrenti la Corte avrebbe dovuto quantomeno confermare la stima operata dalla Commissione eliminando la dimidiazione divenuta nel frattempo costituzionalmente illegittima.

3.2. La censura è inammissibile perchè non conferente rispetto al decisum e quindi sine materia.

L’indennità complessiva attribuita provvisoriamente ai signori C.- P. era di Euro 89.130,64, non accettata, e la somma versata dal Comune di Buti alla Cassa Depositi e Prestiti è stata di Euro 53.478,39.

Non si è verificata pertanto alcuna “reformatio in peius” in difetto di domanda ad hoc rivolta dall’Amministrazione comunale, visto che la Corte fiorentina ha determinato l’indennità spettante ai ricorrenti in Euro 95.723,96.

9.1. Questa Corte (Sez. 1, n. 19461 del 18.7.2019) ha affermato, con un orientamento recentemente consolidatosi e a cui il collegio intende dare continuità, che “in materia di espropriazione per pubblica utilità, il principio per cui il giudizio di opposizione alla stima dell’indennità non si configura come un giudizio di impugnazione dell’atto amministrativo ma introduce un ordinario giudizio sul rapporto, che non si esaurisce nel mero controllo delle determinazioni adottate in sede amministrativa, ma è diretto a stabilire il “quantum” dell’indennità, effettivamente dovuto, nel quale il giudice compie la valutazione in piena autonomia, va coordinato con quello della domanda, per cui, in presenza di stima definitiva, il giudizio di opposizione può concludersi con una statuizione più favorevole all’opponente, ma non può determinare un importo minore, a meno che non vi sia domanda in tal senso da parte dell’espropriante, il quale, ove convenuto nel giudizio, deve osservare le forme e i termini della domanda riconvenzionale, in quanto aziona una contropretesa che va oltre il rigetto della domanda principale” (da ultimo Cass. n. 11503/2014, in ipotesi di rideterminazione della stima definitiva da parte della Commissione Provinciale Espropri, e Cass.n. 23674/2017).

Nella fattispecie la sentenza impugnata ha attribuito ai ricorrenti una somma maggiore di quella corrispondente all’indennità definitiva liquidata dalla Commissione Provinciale espropri, sia pur nei passaggi intermedi del proprio percorso argomentativo considerando un valore del terreno al metro quadro inferiore (Euro 27,72 contro 47,57) a quello considerato dalla Commissione pervenendo ad un risultato più favorevole solo perchè alla indennità determinata in via amministrativa era stata applicata la dimidiazione a quel tempo prevista dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis poi dichiarata incostituzionale.

Poichè tuttavia il limite sopra citato non discende dalla resistenza della statuizione in via amministrativa e dalla natura impugnatoria del giudizio di opposizione alla stima, bensì dal principio della domanda, deve aversi riguardo, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, al solo risultato complessivo della indennità determinata nel giudizio di opposizione e non già ai passaggi intermedi del ragionamento che ha condotto al valore di stima oggetto di opposizione, che va considerato solo nella sua oggettiva e cristallizzata entità.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e i ricorrenti debbono essere condannati alla rifusione delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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