Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27082 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 23/10/2019), n.27082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusep – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24619/2014 proposto da:

Immobiliare G B. Srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio

dell’avvocato Alberto Maria Floridi che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Claudio Sala e all’avvocato Maria Sala in

forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Cavtomi Consorzio Alta Velocità To-Mi, Ministero delle

Infrastrutture e dei Trasporti, Provincia Milano, Rete Ferroviaria

Italiana Spa;

– intimati –

e contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del

Ministro pro tempore domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende ex lege;

– controricorrente –

e contro

Cavtomi Consorzio Alta Velocità To-Mi, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via

Degli Scipioni 288 presso lo studio degli avvocati Giuseppe Giuffrè

e Luigi Strano, che lo rappresentano e difendono in forza di procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Rete Ferroviaria Italiana Spa, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio

dell’avvocato Antonio Briguglio che la rappresenta e difende in

forza di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il

06/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.r.l. Immobiliare G. B. con atto di citazione notificato il 22/12/2011 ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Milano la Provincia di Milano, la s.p.a. Rete Ferroviaria Italiana (RFI), il Consorzio Alta velocità Torino Milano (CAV.TO.MI) e il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, proponendo opposizione alla stima avverso la determinazione dell’indennità di espropriazione con riferimento ad alcuni terreni di sua proprietà ((OMISSIS)) della superficie complessiva di m.q. 9086, siti in Comune di (OMISSIS), ricompresi nel piano particolareggiato produttivo del 12/7/2001, approvato con variante dell’11/7/2002 dal Consiglio comunale.

La società attrice ha esposto che il 31/3/2004 RFI aveva approvato il progetto definitivo relativo alla costruzione della linea (OMISSIS), comportante l’asservimento dei mappali di sua proprietà, con conseguente dichiarazione di pubblica utilità; che in data 8/7/2004 RFI aveva disposto l’occupazione di urgenza dei terreni in questione, determinando l’indennità di esproprio, in misura da essa non accettata; che era intercorsa una trattativa per la definizione delle due indennità con il raggiungimento di un accordo verbale sulla base della destinazione industriale dei terreni; che il Consorzio CAV.TO.MI aveva richiesto un certificato di destinazione urbanistica relativamente alla destinazione delle aree nel 2000, allora classificate come agricole, mentre prima e dopo tale periodo erano classificate come industriali; che in data 11/3/2011 le era stato notificato il decreto con cui RFI aveva disposto l’esproprio dei terreni a favore di RFI e della Provincia di Milano; che contestualmente il CAV.TO.MI aveva richiesto alla Commissione Provinciale la determinazione dell’indennità di esproprio; che l’indennità era stata determinata in data 20/9/2011, sulla base della classificazione agricola delle aree.

Nel giudizio di opposizione alla stima dinanzi alla Corte di appello si sono costituiti RFI, chiedendo e ottenendo la chiamata in causa del terzo Fiat s.p.a. e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva; costituitasi anche la terza chiamata FIAT, la Corte ha disposto il cambiamento del rito da ordinario a sommario; è stato quindi rinotificato l’atto introduttivo al Consorzio CAV TO-MI; espletata consulenza tecnica d’ufficio, la causa è stata rimessa sul ruolo dalla Corte con ordinanza del 11/10/2013, disponendo supplemento di c.t.u.

Esperito anche il supplemento di indagini peritali, con ordinanza del 6/8/2014, la Corte di appello ha rideterminato in Euro 202.694,00 l’indennità di espropriazione e in Euro 105.570,00 l’indennità di occupazione dovute all’attrice, ordinando per l’effetto alla Provincia di Milano e alla RFI, in solido fra loro, l’integrazione del deposito già effettuato alla Cassa Depositi e Prestiti; ha dichiarato inammissibili le domande proposte dall’attrice nei confronti di CAV.TO.MI e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, come pure le domande proposte da RFI nei confronti di FIAT; ha condannato la Provincia di Milano e la RFI, in solido fra loro, a rifondere le spese processuali dell’attrice e questa a rifondere le spese di CAV.TO.MI e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; ha compensato le spese fra RFI e FIAT; ha infine posto le spese di c.t.u. per metà a carico dell’attrice e per metà a carico di Provincia di Milano e alla RFI.

3. Avverso la predetta ordinanza del 6/8/2014 con atto notificato il 15/10/2014 ha proposto ricorso per cassazione la Immobiliare G. B. s.r.l., svolgendo cinque motivi.

Con atto notificato il 19/11/2014 ha proposto controricorso la s.p.a. CAV.TO.MI, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con atto notificato il 21/11/2014 ha proposto controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.

L’intimata Provincia di Milano non si è costituita in giudizio. Sia la ricorrente B., sia la controricorrente RFI hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 e lamenta che la Corte di appello abbia dichiarato erroneamente il difetto di legittimazione passiva del Consorzio CAV.TO.MI e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

1.1. Il primo era il soggetto promotore dell’espropriazione, aveva notificato il decreto di occupazione di urgenza, aveva offerto l’indennità provvisoria di esproprio, aveva richiesto alla Commissione Provinciale di determinare l’indennità e aveva presentato richiesta di emanazione del decreto di esproprio.

Il secondo aveva rilasciato a RFI la concessione per la gestione della infrastruttura ferroviaria nazionale, delegandola a emanare gli atti del procedimento espropriativo.

1.2. La Corte milanese ha sostenuto che nel giudizio introdotto per la rideterminazione delle indennità di espropriazione e di occupazione di urgenza ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29 i legittimi contraddittori sono solo, da un lato, il privato proprietario delle aree espropriate (nel caso la Immobiliare G. B. s.r.l.) e, dall’altro, i beneficiari dell’espropriazione secondo il decreto di espropri (nel caso la Provincia di Milano e la RFI).

La Corte di appello ha anche aggiunto che RFI era qualificata inoltre come ente delegato all’emanazione degli atti della procedura espropriativa D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 6, comma 8; secondo tale norma, se l’opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l’amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l’esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l’ambito della delega nella concessione o nell’atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo.

La Corte di appello ha invece escluso che fossero passivamente legittimati tanto il Consorzio CAV.TO.MI., a cui ha attribuito solo il ruolo di sub general contractor, quanto il Ministero, autore soltanto della convocazione della conferenza dei servizi per l’approvazione dell’opera.

1.3. il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, comma 4, meglio noto come “decreto riti”, che ha modificato il testo del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54 prevede che il ricorso debba essere notificato all’autorità espropriante, al promotore dell’espropriazione e, se del caso, al beneficiario dell’espropriazione, se attore è il proprietario del bene, ovvero all’autorità espropriante e al proprietario del bene, se attore è il promotore dell’espropriazione. Il ricorso deve essere notificato anche al concessionario dell’opera pubblica, se a questi sia stato affidato il pagamento dell’indennità.

1.4. Contraddittore legittimo nella procedura giudiziale di determinazione dell’indennità di espropriazione promossa dal proprietario espropriato è quindi il “promotore dell’espropriazione”, che, secondo la definizione contenuta nel D.P.R. n. 327 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d) va inteso come “il soggetto, pubblico o privato, che chiede l’espropriazione”.

La motivazione addotta dalla Corte territoriale alla pagina 4 dell’ordinanza impugnata, tutta imperniata sulla natura delegata delle attività svolte dal Consorzio CAV.TO.MI., in nome e per conto della società TAV incorporata da RFI, può valere ad escludere in capo al Consorzio la veste di autorità espropriante e di beneficiario dell’espropriazione, ma non già quella, pur sufficiente ai fini della sua concorrente legitimatio ad causam, di promotore dell’espropriazione.

A tal fine risulta documentalmente dal decreto di esproprio (doc. 8 di parte attrice ricorrente), sintetizzato opportunamente nella nota 8 di pagina 16 del ricorso, che era stato proprio il Consorzio CAV.TO.MI. con istanza del 6/10/2010 a richiedere l’emanazione del decreto D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 23 a favore della TAV s.p.a. e della Provincia di Milano.

1.5. Tanto basta a sancire l’erroneità della dichiarazione di difetto di legittimazione passiva pronunciata dalla Corte milanese, cui è conseguita la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

Correttamente aggiunge la ricorrente che la legittimazione passiva a contraddire D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 29 non comporta automaticamente di per sè la sussistenza di una responsabilità debitoria per l’indennità di espropriazione.

1.6. A diverse conclusioni occorre pervenire con riferimento alla seconda censura relativa al ravvisato difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel quale la ricorrente scorge la figura dell'”autorità espropriante”, per aver esso rilasciato a RFI la concessione per la gestione della infrastruttura ferroviaria nazionale, delegandola a emanare gli atti del procedimento espropriativo.

Il decreto di espropriazione dei terreni in questione è stato emesso da RFI, a proprio favore nonchè della Provincia di Milano, avvalendosi della concessione ai fini della gestione dell’infrastruttura ferroviaria nazionale disposta con D.M. Ministero dei Trasporti e della Navigazione 31 ottobre 2000, 138-T e dell’ampia delega in materia di procedure espropriative, introdotta dalla modifica apportata al predetto decreto 138/2000 dal successivo D.M. 28 novembre 2001, n. 60-T del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Tale decreto all’art. 1 ha modificato e integrato il D.M. n. 138 del 2000, art. 6 prevedendo la delega al concessionario RFI “in conformità al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 6, comma 8, a emanare tutti gli atti del procedimento espropriativo nonchè ad espletare tutte le attività al riguardo previste”.

L’art. 6, comma 8, citato dispone che “Se l’opera pubblica o di pubblica utilità va realizzata da un concessionario o contraente generale, l’amministrazione titolare del potere espropriativo può delegare, in tutto o in parte, l’esercizio dei propri poteri espropriativi, determinando chiaramente l’ambito della delega nella concessione o nell’atto di affidamento, i cui estremi vanno specificati in ogni atto del procedimento espropriativo. A questo scopo i soggetti privati cui sono attribuiti per legge o per delega poteri espropriativi, possono avvalersi di società controllata. I soggetti privati possono altresì avvalersi di società di servizi ai fini delle attività preparatorie.”

Nella fattispecie, quindi RFI, concessionaria delegata, investita di tutti i poteri all’uopo necessari ha assunto la veste di “autorità espropriante”, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ex art. 3, comma 1, lett. b) nel senso quindi di autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo procedimento, ovvero il soggetto privato, al quale sia stato attribuito tale potere, in base ad una norma.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di concorso di più enti nell’attuazione delle opere pubbliche, il soggetto tenuto al pagamento dell’indennità e legittimato passivo dell’opposizione alla stima va generalmente individuato nel beneficiario dell’espropriazione come risultante dal decreto ablatorio, salvo che dal decreto stesso non emerga che il potere ed il compito di procedere all’acquisizione delle aree e di promuovere e curare direttamente le necessarie procedure espropriative, agendo in nome proprio, sia stato affidato ad altro ente con accollo dei relativi oneri. Peraltro, perchè si abbia un simile effetto, occorrono una previsione di legge o un atto amministrativo a rilevanza esterna (delegazione amministrativa, affidamento improprio, concessione traslativa) i quali abbiano trasferito al privato non solo l’esecuzione di attività preparatorie o successive agli atti ablatori, o la facoltà di chiedere all’autorità amministrativa la emissione di singoli atti del procedimento espropriativo, ma anche quella di compiere tali atti direttamente in nome e per conto proprio (Sez.1, 07/10/2010, n. 20827).

E’ stato inoltre precisato che nell’ipotesi di concessione cd. traslativa, la legittimazione appartiene esclusivamente al concessionario, il quale agisce come organo indiretto dell’Amministrazione concedente e la cui azione produce, nei confronti dei terzi, gli stessi effetti che determinerebbe l’azione diretta della P.A., alla quale il concessionario viene sostituito per effetto della concessione (Sez. 1, n. 12260 del 14/06/2016, Rv. 640056 – 01; Sez. 1, n. 26261 del 14/12/2007, Rv. 601236 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 702 quater c.p.c. e art. 2909 c.c.

2.1. La ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia disatteso l’accertamento contenuto nella prima ordinanza, non definitiva, dell’11/10/2013, non impugnata e quindi passata in giudicato, che aveva stabilito che l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio doveva considerarsi avvenuta in data 31/3/2004 con la Delib. n. 55 di RFI e che il valore venale dell’area doveva essere determinato, prescindendo da tale vincolo, con riferimento alla data del decreto di esproprio.

2.2. Il motivo è inammissibile e comunque palesemente infondato.

L’ordinanza dell’11/10/2013 non è stata prodotta, nè adeguatamente sintetizzata, dalla ricorrente, di guisa da porre questa Corte in grado di verificarne il contenuto, con il conseguente difetto di autosufficienza e specificità del ricorso.

In ogni caso, con la predetta ordinanza di carattere istruttorio, e pertanto sempre suscettibile di revoca o modifica, anche implicita, secondo il principio generale ex art. 177 c.p.c., la Corte di appello si è limitata a disporre un supplemento della consulenza tecnica d’ufficio, senza alcuna pronuncia di carattere decisorio suscettibile di passare in cosa giudicata, se non tempestivamente impugnata.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 61,115 e 116 c.p.c. per insufficiente e contraddittoria motivazione addotta dalla Corte di appello per attribuire alle aree oggetto di causa un valore medio di 50,00 al m.q. non conforme ai principi di legge.

3.1. La Corte territoriale ha determinato l’indennità di esproprio, avuto riguardo alla valutazione dei beni espropriati alla data del decreto di esproprio (11/3/2011), prendendo in considerazione la destinazione impressa dal piano particolareggiato produttivo del 12/7/2001 e senza considerare invece il vincolo preordinato all’esproprio; partendo da queste corrette premesse, la Corte territoriale sarebbe però pervenuta a conclusioni errate e immotivate, non condividendo le obiezioni e le critiche sollevate dall’attrice alla consulenza tecnica per dissentire in ordine alla valutazione al metro quadro di Euro 50,00.

La Corte si sarebbe così sottratta al dovere di puntuale motivazione in presenza di specifici rilievi critici mossi all’elaborato peritale, che avevano evidenziato la fragilità degli elementi utilizzati dal C.t.u. e avevano indicato tutta una serie di atti di compravendita utili all’elaborazione di una differente valutazione; del pari era stata ignorata la consulenza tecnica depositata in altro procedimento che, sulla base del metodo di trasformazione, era pervenuta a un valore doppio al metro quadro.

3.2. Il motivo è inammissibile.

Lungi dal proporre una censura per violazione di legge, attraverso l’artificioso richiamo delle norme processuali relative alla valutazione delle prove, la ricorrente tenta di indurre questa Corte di legittimità alla rivalutazione di merito delle fonti di prova, senza neppur passare per il tramite di una censura del vizio motivazionale, nei ristretti termini, ridotti al c.d. “minimo costituzionale” e attualmente consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dell’omesso esame di fatto decisivo discusso fra le parti.

E’ d’uopo inoltre ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi, riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

Analogamente, la violazione dell’art. 116 c.p.c. è idonea a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova; detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti, attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “della valutazione delle prove” (Sez.3, 28/02/2017, n. 5009; Sez.2, 14/03/2018, n. 6231).

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 27 del 2001, art. 33 nonchè omessa motivazione e nullità della sentenza per vizio di “infrapetizione” con riferimento alla sua domanda relativa ai reliquati.

4.1. La ricorrente assume di aver richiesto alla Corte di tenere in considerazione anche la diminuzione di valore attuale e potenziale per la formazione di reliquati inutilizzabili, privi di valore economico, di m.q. 2672,00 complessivi, di cui, in principalità, era stata chiesta l’acquisizione.

Ciò risultava dall’analisi dei fattori sommati dal C.t.u. e ripresi dalla Corte di appello che invece non includeva tale voce.

4.2. Il motivo, configurabile in termini di vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile.

La ricorrente riporta solamente il contenuto delle proprie conclusioni (pag.9 del ricorso, nel riassunto del giudizio di primo grado; pag.32, nell’incipit del motivo) e l’inciso in esse contenuto riferito ai c.d. “reliquati” (“tenendo in considerazione…. altresì la diminuzione di valore attuale e potenziale riferito all’opponente anche in relazione alla formazione di reliquati inutilizzabili, dei quali in via principale si chiede l’acquisizione”).

4.3. Perchè possa utilmente dedursi in sede di ricorso per cassazione il vizio di omessa pronuncia è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si rendesse necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda o eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi.

Inoltre il potere-dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali è condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (ex multis Sez. 2, 18/05/2011, n. 10921).

4.4. Nel caso concreto la ricorrente, come osserva criticamente la controricorrente RFI, non ha dato adeguatamente conto, nel rigoroso rispetto del canone di autosufficienza e specificità del ricorso e dei correlativi oneri, sopra tratteggiati, di aver proposto nel giudizio di merito una valida domanda, completa di tutti i suoi elementi costitutivi essenziali.

Non è certo sufficiente a tal fine la mera proposizione del pur generico petitum sopra citato, perchè l’atto processuale deve contenere anche l’adeguata rappresentazione della causa petendi, cosa che non viene affatto adeguatamente dedotta e precisata nel ricorso.

La ricorrente non deduce e non dimostra di aver tempestivamente e chiaramente indicato quali fossero le particelle di terreno non espropriate, inutilizzabili o svalutate, e tantomeno le specifiche ragioni che determinavano tali conseguenze.

Fra i requisiti essenziali della domanda giudiziale, la cui indeterminazione è sanzionata dall’art. 164 c.p.c., comma 4, figura non solo “la cosa oggetto della domanda” (ossia il petitum) ma anche la “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni” (ossia la causa petendi); tale ultimo requisito non è certamente soddisfatto dalla mera indicazione delle norme di diritto invocate, nel caso comunque non indicate, ma richiede necessariamente e soprattutto l’indicazione dei fatti (la fattispecie concreta) in forza dei quali la domanda viene proposta (e cioè dei fatti che, opportunamente sussunti nella fattispecie astratta, giustificherebbero l’accoglimento della richiesta della parte).

Il ricorso non dà affatto conto di siffatto imprescindibile elemento.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37 comma 2, per insufficiente e contraddittoria motivazione.

5.1. In primo luogo, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia fatto decorrere gli interessi legali dalla data dell’ordinanza a saldo e non già, come sarebbe stato corretto, dalla data dell’esproprio.

La Corte milanese ha motivato la propria decisione sulla base del fatto che la somma indicata dal C.t.u. e recepita dalla Corte era stata conteggiata all’attualità.

5.2. La decisione impugnata è viziata da violazione di legge.

Le obbligazioni di pagare l’indennità di espropriazione (e di occupazione legittima) costituiscono debiti di valuta (non di valore), sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Sez. 1, n. 20178 del 18/08/2017, Rv. 645212 – 01; Sez. 6 – 1, n. 19851 del 05/10/2015, Rv. 637214 – 01; Sez. 1, n. 13456 del 20/06/2011, Rv. 618330 – 01).

Infatti il debito dell’espropriante di pagare l’indennità di espropriazione costituisce un’obbligazione di valuta, e sullo stesso sono dovuti – fino al giorno dell’adempimento dell’obbligazione principale, e cioè fino al pagamento dell’indennità o del deposito di essa presso la cassa depositi e prestiti – gli interessi legali, di natura compensativa (per il solo fatto che la somma è rimasta a disposizione dell’ente espropriante e a prescindere da ogni indagine sulla colposa responsabilità per il ritardo nel pagamento), che decorrono dalla data di emissione del decreto di espropriazione, il quale determina il trasferimento della proprietà del bene, indipendentemente dalla notifica al proprietario (Sez. 1, n. 6186 del 17/04/2003, Rv. 562265 – 01).

5.3. In secondo luogo la B. si duole del fatto che la Corte territoriale abbia negato gli interessi legali sulla somma dovuta a titolo di indennità di occupazione, sul mero presupposto della natura di valuta del debito.

5.4. Anche questo capo della decisione è viziato da violazione di legge.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’indennità di occupazione è il corrispettivo del mancato godimento del bene occupato fino all’espropriazione, in relazione all’anticipata privazione del proprietario del suo diritto reale, ed è ragguagliata al tasso legale degli interessi sull’indennità di espropriazione.

Ne consegue che, gli interessi legali dovuti al proprietario per la ritardata corresponsione delle somme spettanti a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione, per la loro natura e funzione compensativa, decorrono dal momento di maturazione dei corrispondenti diritti, ovvero più specificamente, dalla data del decreto di esproprio, e dalla scadenza di ciascuna annualità di occupazione (Sez. 1, n. 17797 del 03/07/2019, Rv. 654537 – 01); ed ancora gli interessi dovuti sull’indennità di occupazione legittima, in quanto diretti a compensare il proprietario della mancata disponibilità dei frutti che avrebbe percepito periodicamente, decorrono dalla scadenza di ciascuna annualità, a partire dal giorno in cui è emesso il decreto di occupazione, che segna l’immediata ed automatica compressione del diritto dominicale, quale momento di maturazione del relativo diritto, restando irrilevante l’eventuale posteriorità della materiale apprensione del bene (Sez. 1, n. 9329 del 09/05/2016, Rv. 639613 – 01;Sez. 1, n. 5520 del 14/03/2006, Rv. 587439 – 01).

5.5. In terzo luogo la ricorrente lamenta l’omessa applicazione della maggiorazione del 10% D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 37, comma 2.

5.6. La censura è inammissibile per la sua genericità; anche a prescindere dal fatto che la Immobiliare B. non risulta aver proposto una domanda in tal senso nel giudizio di merito, la ricorrente non allega in modo puntuale e specifico sulla base di quali accertati presupposti di fatto la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciarsi ex officio in tal senso.

5.7. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione ai primi due profili, con la conseguente decisione nel merito da parte di questa Corte con la sostituzione delle corrette decorrenze degli interessi legali sulle maggiori somme liquidate a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione sopra evidenziate ai p.p. 5.2. e 5.4.

6. In conseguenza dell’accoglimento del primo e del quinto motivo, nei limiti sopra indicati in motivazione, la sentenza impugnata deve essere cassata con la conseguente pronuncia nel merito da parte di questa Corte.

Quanto al primo motivo, la Corte dichiara pertanto ammissibili le domande proposte da Immobiliare G. B. s.r.l. avverso il Consorzio CAV.TO.MI., elimina la condanna di Immobiliare G. B. s.r.l. alla rifusione delle spese nei suoi confronti contenuta nella sentenza impugnata e dispone nei loro rapporti la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

Quanto al quinto motivo, la Corte dispone la decorrenza degli interessi legali sulle maggiori somme liquidate nella sentenza impugnata a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione, rispettivamente dalla data del decreto di espropriazione e dalla scadenza di ciascuna annualità, a partire dal giorno in cui è stato emesso il decreto di occupazione.

La ricorrente dovrà rifondere le spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, liquidate come in dispositivo.

In ragione dell’esito della lite, con soccombenza reciproca determinata dal parziale e limitato accoglimento del ricorso, meritano compensazione le spese del giudizio fra la ricorrente e RFI.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il primo motivo di ricorso e il quinto, nei sensi di cui in motivazione, dichiarati inammissibili il secondo, il terzo e il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara ammissibili le domande proposte da Immobiliare G. B. s.r.l. avverso il Consorzio CAV.TO.MI., elimina la condanna di Immobiliare G. B. s.r.l. alla rifusione delle spese nei suoi confronti e dichiara compensate fra di loro le spese dell’intero giudizio;

dispone la decorrenza degli interessi legali sulle maggiori somme liquidate nella sentenza impugnata a titolo di indennità di espropriazione e di occupazione, rispettivamente dalla data del decreto di espropriazione e dalla scadenza di ciascuna annualità, a partire dal giorno in cui è stato emesso il decreto di occupazione;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge;

compensa le spese del giudizio di legittimità tra ricorrente e Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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