Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27081 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 23/10/2019), n.27081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24604/2014 proposto da:

Valorz KG Der Gebr. Klotz H & A., ora Klotz Beton Kg Sas, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma Via Cassiodoro 19 presso lo studio dell’avvocato

Maurizio Calò che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Sergio Dragogna, in forza di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas Spa Ente Nazionale Strade;

– intimato –

e contro

Impresa P. & C Spa, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma P.za dei Carracci 1

presso lo studio dell’avvocato Alessandro Alessandri che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Stefania Vasta in

forza di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Provincia Autonoma Bolzano, in persona del Presidente della Giunta

Provinciale pro tempore, domiciliata in Roma Via Dei Portoghesi 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e

difende ex lege;

– controricorrente incidentale –

contro

Impresa P. & C Spa,

– intimato –

e contro

Valorz KG Der Gebr. Klotz H & A., ora Klotz Beton Kg/Sas, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma Via Cassiodoro 19 presso lo studio dell’avvocato

Maurizio Calò che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Sergio Dragogna, in forza di procura a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 158/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In seguito ad atto di citazione notificato il 21/10/1993 introdotto dalla società Valorz K.G. der Gebr.Klotz H.& A., poi divenuta Klotz Beton KG/sas, la Corte di appello di Trento con sentenza non definitiva n. 192/2002 del 17/4/2002 ha determinato nella somma di Euro 565.131,41 l’indennità dovuta alla società attrice dalla s.p.a. P., capogruppo di associazione temporanea di imprese, delegata dall’ANAS (a cui era subentrata la Provincia Autonoma di Trento) alla realizzazione della superstrada (OMISSIS) per l’espropriazione di un terreno di sua proprietà, ubicato nel comune di (OMISSIS), ove veniva gestito un impianto di lavorazione inerti con centrale di betonaggio.

Tale importo è stato calcolato ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per differenza tra il valore dell’immobile contenente l’azienda prima dell’ablazione e quello della proprietà residua, disapplicando i valori agricoli tabellari di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, perchè del tutto inadeguati e disancorati dalla realtà di mercato.

Con la successiva sentenza definitiva n. 306/2004 del 25/8/2004, la Corte trentina ha liquidato a favore della società attrice l’ulteriore indennizzo di Euro 855.530,09 per le spese di demolizione e di ricostruzione delle opere murarie, di carpenteria e impiantistiche, nonchè per lo spostamento di macchinari ed attrezzature, come determinate dalle consulenze tecniche esperite.

Per la cassazione delle sentenze l’impresa P. ha proposto ricorso per due motivi, a cui ha resistito la Valorz K.G. con controricorso, contenente ricorso incidentale per due motivi.

2. Con la sentenza n. 17679 del 28/7/2010 la Corte di Cassazione, riuniti i ricorsi, li ha accolti, ha cassato le sentenze impugnate e ha rinviato anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Trento in diversa composizione.

La Corte, in primo luogo, ha ritenuto fondata la censura svolta dalla Valorz con il secondo motivo del ricorso incidentale, dall’evidente carattere pregiudiziale, con cui essa aveva dedotto violazione dell’art. 42 Cost., D.P.R. n. 327 del 2001, art. 6 e dell’art. 1703 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver respinto l’opposizione alla stima nei confronti della Provincia di Bolzano, subentrata all’Anas nella titolarità dell’opera pubblica realizzata, e perciò stesso passivamente legittimata nel giudizio rivolto dal proprietario al pagamento delle relativa indennità.

Secondo la ricorrente incidentale, la delega attribuita dal D.M. LL.PP. 26 novembre 1990, per la costruzione della superstrada e lo svolgimento della procedura di esproprio all’impresa in nome e per conto dell’ANAS, così come il loro affidamento in concessione, non seguiti da alcuna comunicazione ad essa ricorrente nè dall’esplicitazione di detto rapporto nel decreto di esproprio poteva al più comportarne l’obbligazione solidale al pagamento dell’indennizzo, ma non escluderne la titolarità di detto rapporto anche per la mancanza di qualsiasi eccezione al riguardo da parte della Provincia.

La Corte ha quindi accolto i due motivi del ricorso principale e il primo del ricorso incidentale.

La società P., deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 40, 43 e 46, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, e della L. n. 865 del 1971, art. 19, si era lamentata che la Corte di appello avesse, da un lato, applicato i criteri di calcolo dell’espropriazione parziale, che non ricorrevano (perchè il terreno aveva destinazione agricola e soltanto una porzione residua di esso, pari al 27% dell’intero fondo era stato oggetto di espropriazione, sicchè l’indennizzo doveva essere calcolato esclusivamente in base al suo valore agricolo peraltro ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale) e, dall’altro, avesse aggiunto all’indennità una serie di poste peculiari del risarcimento del danno (spese sostenute per opere, impianti trasporti ecc.), invocando ora le disposizioni degli art. 40 e 43 della Legge Fondamentale del 1865, ora quella dell’art. 46, peraltro incompatibile con le prime, nessuna delle quali applicabile alla fattispecie.

Per converso, la Valorz K.G., deducendo la violazione delle stesse norme della legge fondamentale del 1865, aveva censurato la sentenza impugnata per avere escluso dalle voci risarcite una serie di spese da essa sostenute e documentate, per il trasferimento di impianti e macchinari dell’impresa esercitata anche sul fondo espropriato, senza alcuna motivazione.

La Corte ha rilevato che la Corte trentina, dopo avere dato atto che la funzione precipua dell’indennità di cui all’art. 42 Cost., è quella di attribuire al proprietario espropriato un equo ristoro per la perdita del bene, aveva in realtà liquidato alla ditta espropriata l’intero pregiudizio sofferto dal suo patrimonio per la perdita suddetta in base al parametro contenuto nell’art. 2043 c.c., perciò finendo per sottrarre l’espropriazione in esame alla disciplina sostanziale e processuale sua propria e sottoporla a regole e valutazioni, prive di riscontro nell’attuale sistema normativo.

La Corte ha quindi ribadito i principi elaborati al riguardo anche dalle Sezioni Unite: 1) l’indennità di espropriazione è unica, ed essendo destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare in nessun caso il valore che esso presenta, in considerazione della sua destinazione legale (il valore, cioè, che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato della L. n. 2359 del 1865, ex art. 39), e nelle singole fattispecie, neppure quello derivante dal criterio di valutazione posto dalla legge applicabile per determinarlo; 2) il termine di riferimento dell’unica indennità è quindi rappresentato dal valore di mercato dell’immobile espropriato quale deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, e soprattutto dal criterio previsto dalla legge per apprezzarle; e non anche (all’infuori delle ipotesi previste dalla L. n. 865 del 1971, art. 17) dal pregiudizio che il proprietario risente come effetto del non potere ulteriormente svolgere la precedente attività mediante l’uso dello stesso immobile; 3) pertanto anche quando sull’immobile espropriato siano stati costruiti edifici e siano installate attrezzature, al fine di imprimergli una destinazione industriale, il fatto che, estinto il diritto di proprietà, risulti impedito sul luogo l’ulteriore svolgimento dell’impresa che utilizzava gli immobili per fornire i propri servizi, non comporta che l’espropriazione sì estenda al diritto dell’imprenditore, nè che sia acquisita all’espropriante l’azienda da costui organizzata, sì che il valore del bene espropriato debba comprendere quello dell’azienda; 4) tale regola resta ferma anche in ipotesi di applicazione del criterio di calcolo differenziale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, rivolto a coprire ogni danno diretto ed indiretto conseguente all’esproprio, e quindi anche quello derivante dall’interclusione, o divisione o minore estensione del suolo rimasto all’espropriato; per cui anche sotto questo profilo, al giudice è sicuramente inibito in presenza di un’unica vicenda espropriativa liquidare distinte indennità, come ha fatto la sentenza impugnata; e per quanto riguarda il criterio cui commisurare detto pregiudizio, l’indennizzo deve essere liquidato o in base al meccanismo differenziale suggerito dallo stesso art. 40 determinando sia il valore dell’area nella sua originaria consistenza, sia quello della parte risultante dalla perdita o separazione della porzione espropriata, ed operando poi, la differenza tra i due valori (salva l’applicazione dei parametri riduttivi di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16) ovvero con criteri che raggiungono il medesimo risultato quali esemplificativamente quello di aggiungere al valore della parte espropriata il valore perduto da quella residua.

La Corte ha quindi osservato che nel caso concreto la sentenza non definitiva, dopo avere accertato che il terreno espropriato, esteso mq. 3399, era incluso in zona agricola dal Piano urbanistico comunale di Lana adottato nel 1985, e che tale destinazione sussisteva anche all’epoca dei decreti ablativi (19971998), in cui doveva esserne compiuta la ricognizione legale, ne ha invece considerato la destinazione di fatto all’esercizio di un’azienda industriale per il deposito e la lavorazione di materiali inerti con centrale di betonaggio, anche perchè una Delib. dell’U.T. di detto Comune del 20 agosto 1996 aveva definito il fondo in questione “area agricola tratta(ta) come produttiva”, in tal modo incorrendo in ulteriori violazioni della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

Non era stato cioè considerato: a) che il sistema posto da quest’ultima norma aveva introdotto una rigida dicotomia, che non lascia spazi per un tertium genus, tra “aree edificabili” ed “aree agricole” cui ha equiparato quelle “non classificabili come edificabili”, associandola ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può esser data solo dalla classificazione urbanistica dell’area in considerazione; b) più non consentiva di far riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto ovvero all’attività di fatto espletata dall’espropriante, divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge; e tanto meno a provvedimenti o qualificazioni attribuite al fondo da provvedimenti amministrativi diversi da detti strumenti: quale nella specie la valutazione dell’U.T. di Lana, che aveva peraltro ribadito la destinazione agricola dell’immobile, a nulla rilevando ai fini della ripartizione posta dall’art. 5 bis, che la zona suddetta fosse altresì “produttiva”; c) che il criterio dell’edificabilità legale valeva a maggior ragione per la fattispecie di espropriazione parziale, in cui la valutazione prescritta dalla norma non poteva essere compiuta al lume dell’attività industriale espletata dalla Valorz sull’immobile prima e dopo l’espropriazione, ed apprezzando peraltro il pregiudizio subito dal ridimensionamento e/o spostamento dell’azienda sulla proprietà residua per effetto dell’ablazione, ma unicamente considerando la destinazione legale agricola attribuita al terreno espropriato dal Piano urbanistico del 1985.

Quindi occorreva accertare al lume di siffatta destinazione se si fossero verificati i presupposti previsti dalla norma per la sua applicazione, postulanti l’esistenza di un rapporto di unità funzionale (per ubicazione e destinazione) fra la parte espropriata e quella residua, con l’effetto che il distacco della prima influisca positivamente o negativamente sul valore della seconda.

Siffatto accertamento è stato demandato al giudice di rinvio; con la precisazione che, in caso di esito favorevole per la ditta espropriata, il relativo criterio di calcolo dell’indennità, previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40, doveva coprire necessariamente tutti i danni conseguenti all’esproprio.

Secondo la Cassazione, inoltre, la Corte territoriale aveva errato anche laddove aveva disapplicato il criterio di calcolo disposto per le aree agricole della L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16, sulla base del valore agrario medio per tipologie di colture, sostituendo arbitrariamente le tabelle formate dalle commissioni amministrative previste dalla legge proprio per il calcolo della indennità di espropriazione di terreni inedificabili con il valore venale del bene ancorato al suo asserito prezzo di mercato.

La sola voce da aggiungere all’indennizzo come sopra calcolato era quella considerata dalla L. n. 2359 del 1865, art. 43, che consente di includere nell’indennità anche il valore delle costruzioni esistenti sul fondo (a meno che non risultino eseguite al solo scopo di conseguire, un’indennità maggiore), ed in presenza di terreni agricoli permette di indennizzare – a differenza del soprassuolo – i fabbricati insistenti su detti immobili, avendo la giurisprudenza di legittimità costantemente affermato che i manufatti in questione costituiscono pertinenza del terreno agricolo su cui insistono in quanto non sono fonti di utilità diretta, ma solo strumentale, per essere volti al miglior godimento del terreno stesso che costituisce il bene principale e l’oggetto dell’attività agricola.

Di conseguenza: a) l’indennità prevista per l’ablazione dei terreni agricoli doveva tenere necessariamente conto, in difetto di diversa regolamentazione, dei fabbricati rurali; b) che tuttavia, ove la costruzione fosse dotata di autonomia funzionale rispetto al fondo, il giudice doveva aggiungere all’indennizzo, calcolato comunque in base al suo valore agricolo quello della costruzione (ove di essa non si sia già tenuto conto applicando il criterio differenziale di cui alla L. n. 2359, art. 40); che in tale caso costituiva, dunque, un quid pluris rispetto all’indennizzo in senso stretto, concernente il solo terreno agricolo.

Nessun’altra indennità aggiuntiva era prevista da alcuna di dette leggi, nè poteva essere liquidata ricorrendo al disposto dell’art. 46 della Legge Fondamentale, come aveva fatto invece la Corte di appello, poichè la norma non richiede necessariamente che la situazione contemplata venga a determinarsi in conseguenza di un procedimento espropriativo, ma è diretta alla tutela dei soggetti che (quand’anche un procedimento espropriativo vi sia stato) o ne siano rimasti completamente estranei (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera) o abbiano subito un danno non già per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, bensì in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa.

Pertanto entrambe le sentenze impugnate sono state cassate, con rinvio alla Corte di appello di Trento, per provvedere al riesame ex novo dell’opposizione della proprietaria alla stima dell’indennità di espropriazione attenendosi ai principi esposti anche in relazione all’individuazione dei soggetti tenuti a corrisponderla.

3. Ritualmente riassunta la causa dinanzi al giudice del rinvio ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 25/3/2014 la Corte di appello di Trento ha accertato la legittimazione passiva della Provincia Autonoma di Bolzano, in luogo dell’ANAS, obbligata in solido con la s.p.a. P. & c., ha determinato nella somma di Euro 496.732,72 l’indennità di espropriazione che competeva alla Valorz K.G., oltre interessi legali sulle maggiori somme accertate a decorrere dal 3/3/1998 e ha rigettato ogni maggior domanda, compensando le spese dell’intero giudizio.

4. Avverso la predetta sentenza del 14/5/2014, con atto notificato il 16/10/2014 ha proposto ricorso per cassazione la Klotz Beton KG/SAS, svolgendo cinque motivi.

4.1. Con il primo motivo di ricorso principale, dedicato ai criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia omessa applicazione della L.P. Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, art. 107, comma 15 e s.m. in tema di ordinamento urbanistico, in attuazione della competenza primaria provinciale dell’art. 8, n. 5 dello Statuto speciale di autonomia approvato con D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nonchè falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 37 e 38 e della L. n. 2359 del 1865, art. 40.

La ricorrente lamenta in particolare l’erronea applicazione del principio della destinazione legale agricola del compendio in luogo della destinazione legale produttiva prevista dalla richiamata norma urbanistica primaria provinciale, che prevaleva sulle disposizioni del piano urbanistico comunale agli effetti della valutazione del valore venale del compendio alla data del decreto di esproprio.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia la mancata

e coerente applicazione dello jus superveniens di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6; lamenta inoltre la falsa applicazione del principio della rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole D.P.R. n. 327 del 2001, ex artt. 37 e 38, alla luce della normativa della destinazione di tertium genus di cui alla L.P. n. 13 del 1997, art. 107, comma 15.

Meritavano quindi considerazione, anche alla stregua della successiva evoluzione giurisprudenziale di legittimità, le possibili forme di utilizzazione economiche, ulteriori e diverse da quelle agricole, consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33 e 38 e della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, per omessa e travisata identificazione del bene espropriato, vertendosi in ipotesi di “edificato” legittimo e autorizzato e non di area edificabile in relazione al regime urbanistico speciale di cui alla L.P. n. 13 del 1997, art. 107, comma 15, recante salvaguardia della edificabilità dei compendi produttivi insediati in zonizzazione agricola precedentemente al 24/10/1973.

4.4. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia omessa considerazione, nel caso denegato di conferma della destinazione agricola dei terreni, del criterio proposto dal consulente di parte attrice ai punti B1, B2 e B3, che comportavano la necessaria aggiunta al valore agricolo dei costi di bonifica agraria per la ricostituzione della destinazione agricola a frutteto di prima classe per l’intero compendio, secondo criterio riconosciuto valido dallo stesso Consulente d’ufficio.

4.5. Con il quinto motivo di ricorso principale, dedicato al tema della legittimazione passiva e proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè art. 384 c.p.c., il ricorrente lamenta che i decreti di esproprio 1/3/1997 e 3/3/1998 erano stati travisati limitatamente alla posizione della Provincia Autonoma di Bolzano e non all’Impresa P., asseritamente delegata per effetto del D.M. LL.PP. 26 novembre 1990, tenuto conto della sentenza di annullamento del TAR Bolzano n. 98/2005 passata in giudicato per effetto del decreto di perenzione 163/2011 del Consiglio di Stato.

La ricorrente lamenta inoltre omesso deposito o omessa acquisizione di ufficio del documento di legittimazione a rilevanza esterna (delegazione amministrativa affidamento improprio sostituzione) di cui a un asserito capitolato speciale di appalto ANAS – P., rimasta del tutto estranea sia ai decreti sia ai successivi atti del procedimento ablatorio salvo al pagamento delegato dell’indennità determinata dalle sentenze della Corte di appello di Trento del 2002 e del 2004, e comunque per omessa pronuncia sull’acquisizione del predetto documento nonostante l’adesione della P..

5. Con atto notificato il 21/11/2014 ha proposto controricorso la s.p.a. P. & C., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

6. Con atto notificato il 1/12/2014 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la Provincia Autonoma di Bolzano, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di un motivo, per la cassazione della sentenza di rinvio.

Con il motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la Provincia autonoma di Bolzano denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c..

La sentenza n. 17679/2010 della Cassazione aveva demandato al Giudice del rinvio di individuare il soggetto attivo del rapporto di espropriazione, tenuto al pagamento dell’indennità, da determinarsi in colui che risultava dal decreto ablatorio il beneficiario dell’espropriazione, salvo che dal predetto decreto non risultasse il conferimento ad altro ente del potere e del compito di provvedere all’acquisizione delle aree occorrenti e della cura delle necessarie procedure espropriative.

Poichè il D.M. 26 novembre 1990 (che non era stato annullato dalla sentenza del TRGA Bolzano 98/2005) aveva delegato alla P. tutte le incombenze relative all’espropriazione dei fondi su cui doveva essere realizzata l’opera pubblica, con efficacia esterna, la legittimazione risultava radicata esclusivamente in capo alla P..

7. Con controricorso di resistenza all’avversario ricorso incidentale notificato il 27/1/2015 la Klotz Beton ha resistito al ricorso incidentale avversario, di cui ha eccepito la tardività, l’improponibilità, l’irricevibilità e comunque la inammissibilità e l’infondatezza, la Klotz Beton ha eccepito altresì la tardività del controricorso della P..

La ricorrente ha depositato memoria del 12/9/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In primo luogo, occorre procedere all’esame delle eccezioni preliminari con cui la ricorrente principale ha eccepito la tardività, l’improponibilità, l’irricevibilità e comunque la inammissibilità e l’infondatezza del controricorso e ricorso incidentale della Provincia di Bolzano e la tardività del controricorso della P..

1.1. Quest’ultimo atto sarebbe tardivo perchè il ricorso era stato notificato al difensore costituito, avv. Giampiero Luongo, in data 16/10/2014, il termine ex art. 371 c.p.c., sarebbe scaduto il 25/11/2014, mentre la notifica alla Provincia era stata eseguita presso l’Avvocatura generale dello Stato solo in data 26/11/2014 e quindi fuori termine.

L’eccezione è infondata.

L’Impresa P. ha chiesto la notifica a mezzo posta del proprio controricorso alla Provincia Autonoma di Bolzano, sia presso l’Avvocatura Distrettuale, sia presso l’Avvocatura Generale dello Stato in data 21/11/2014 e in tale data risulta spedita la relativa lettera raccomandata, ricevuta, come risulta dall’avviso di ricevimento prodotto agli atti, in data 26/11/2014.

Alla luce del fondamentale principio di scissione degli effetti della notificazione, attualmente espresso dell’art. 149 c.p.c., comma 3, in conformità alle sentenze della Corte costituzionale 26/11/2002, n. 477 e 23/1/2004, n. 28, secondo cui la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto, è evidente che ai fini della eccepita decadenza dell’intimato alla proposizione del controricorso occorre aver riguardo alla prima data (21/11/2014), con la conseguente tempestività del controricorso.

1.2. La ricorrente sostiene inoltre che anche il controricorso e ricorso incidentale della Provincia di Bolzano sarebbe tardivo.

Il ricorso di Klotz Beton è stato notificato il 16/10/2014 alla Provincia al domicilio eletto in primo grado presso l’Avvocatura dello Stato di Trento in data 16/10/2014.

Secondo la ricorrente tale notifica sarebbe perfettamente corretta e sufficiente, perchè la Provincia autonoma di Bolzano non è patrocinata ex lege dall’Avvocatura dello Stato, ma solo sulla base di specifico incarico e previa Delibera di giunta, limitatamente al grado.

Tale assunto non è condivisibile.

Il D.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, art. 41, sostituito dal D.Lgs. 14 aprile 2004, n. 116, art. 1, prevede che la regione, le province, i comuni e gli altri enti locali possono avvalersi del patrocinio legale dell’Avvocatura dello Stato.

Ai sensi di tali disposizioni la Provincia di Bolzano gode del regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio ex lege da parte dell’Avvocatura dello Stato, di talchè questa non ha necessità di apposito mandato nè è onerata della produzione in giudizio dello stesso.

E’ opportuno ricordare che l’Avvocatura dello Stato può assumere, in via organica ed esclusiva, la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza nei giudizi attivi e passivi delle Regioni a statuto ordinario della L. 3 aprile 1979, n. 103, ex art. 10: rappresentanza e difesa in giudizio che può essere estesa a qualsiasi ente pubblico (a norma del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43, come integrato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11) purchè vi sia una esplicita previsione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con decreto del Capo dello Stato.

In base alla L. n. 103 del 1979, art. 10, le Regioni a statuto ordinario possono affidare in via generale il loro patrocinio all’Avvocatura dello Stato mediante un’apposita Delibera del Consiglio regionale, di cui deve darsi particolare pubblicità: detta deliberazione estende i suoi effetti anche alle Province, ai Comuni, ai loro consorzi ed agli altri enti, purchè ne facciano richiesta, per le controversie relative alle funzioni agli stessi delegate o su bdelegate.

Le norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, D.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, al Titolo IV (artt. 39,40 e 41) dettano disposizioni sulle funzioni dell’Avvocatura dello Stato nei riguardi della Regione e delle Province.

Dopo l’estensione, ex art. 39, delle funzioni dell’Avvocatura dello Stato nei riguardi dell’amministrazione statale all’amministrazione regionale del T.A.A., l’art. 40 e l’art. 41, comma 1, fanno assumere all’Avvocatura dello Stato “la rappresentanza e difesa delle Province di Trento e Bolzano e – degli altri enti pubblici locali per quanto attiene alle controversie relative alle funzioni ad essi delegate…”, per le materie di cui agli artt. 16 e 18, comma 1, dello Statuto.

Quindi, il comma 2 dell’art. 41 amplia le suddette previsioni disponendo che l’Avvocatura dello Stato può assumere, se richiesta, la rappresentanza e la difesa delle Province anche nelle ipotesi prima non contemplate: tanto senza imporre, nel contempo, procedimenti e formalità particolari.

La Provincia, per esplicita previsione di legge, gode del regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le Amministrazioni dello Stato. Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ove agisca in giudizio a difesa della Provincia Autonoma di Bolzano, perchè da questa “richiesta”, non ha necessità di apposito mandato e di conseguenza, non può essere onerata della sua produzione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’Avvocatura dello Stato non abbisogna di specifico mandato nell’esercizio dello ius postulandi in favore delle regioni a statuto ordinario, ancorchè agisca nell’ambito del “patrocinio facoltativo” di cui al D.P.R. n. 616 del 1977, art. 107 e non è, di conseguenza, onerata della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio. (Sez. un., 04/11/1996, n. 9523).

Infatti, mentre il D.P.R. n. 616 del 1977, art. 107, si limita ad includere le Regioni a statuto ordinario tra gli enti dei quali l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa (secondo il regime di cui al T.U. n. 1611 del 1933, artt. 43, 45 e 47), la L. n. 103 del 1979, art. 10, prevede un particolare procedimento attraverso il quale le menzionate Regioni possono ottenere l’applicazione dell’intero regime processuale speciale di assistenza legale e di patrocinio valevole ex lege per le amministrazioni dello Stato. Sia nel primo caso (regime cosiddetto “facoltativo”), sia nel secondo caso (regime cosiddetto “sistematico”) non è necessario, per i singoli giudizi, uno specifico mandato all’Avvocatura stessa; essendo, invece, necessario uno specifico provvedimento (talvolta soggetto al visto degli organi di vigilanza), nel caso in cui la regione voglia escludere tale rappresentanza, per affidarla a privati professionisti. Da ciò consegue che l’Avvocatura dello Stato, ove agisca in giudizio per una regione, non avendo necessità di apposito mandato, non è neanche onerata dalla produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio (Sez. un., 04/11/1996, n. 9523).

La notificazione eseguita dalla ricorrente all’Avvocatura locale non era peraltro corretta e sufficiente, tenuto conto del disposto del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, secondo il quale tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonchè le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.

Pertanto la notifica del ricorso doveva essere eseguita anche all’Avvocatura generale dello Stato in Roma, poichè in Roma veniva proposta la causa dinanzi a questa Corte di Cassazione.

Ed infatti la ricorrente ha provveduto a notificare il ricorso anche all’Avvocatura generale dello Stato in Roma, come risulta dalla relata depositata dalla ricorrente e soprattutto come riconosce la stessa provincia Autonoma di Bolzano nel suo controricorso e ricorso incidentale, a pagina 3, laddove afferma che il ricorso era stato notificato il 20/10/2014 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

Il controricorso e ricorso incidentale avrebbe quindi dovuto essere notificato ex art. 370 c.p.c., entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso principale (ossia ex art. 369 c.p.c., dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto) e non già entro quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale, come semplifica erroneamente la ricorrente.

Il termine per il deposito del ricorso principale scadeva il 9/11/2014, domenica, e quindi slittava ex art. 155 c.p.c., comma 4, al primo giorno successivo non festivo, ossia lunedì 10/11/2014.

I venti giorni successivi scadevano però il 30/11/2014, anch’esso domenica, e quindi il termine per la notifica del controricorso e ricorso incidentale slittava ex art. 155 c.p.c., comma 4, al 1/12/2014, data in cui effettivamente l’Avvocatura Generale ha spedito l’atto in notifica.

Alla luce del fondamentale principio di scissione degli effetti della notificazione, già sopra richiamato, cui la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e nel caso al servizio postale, con la conseguente tempestività del controricorso.

1.3. La ricorrente eccepisce poi che il ricorso incidentale della Provincia di Bolzano sarebbe inammissibile e irricevibile perchè precluso dall’acquiescenza da essa manifestata nel processo sulla decisione in punto legittimazione passiva, con le conclusioni da essa rassegnate nel giudizio di rinvio.

L’eccezione è infondata.

Da un lato, non vi era nessuna decisione a cui la Provincia avrebbe potuto prestare acquiescenza perchè la Cassazione aveva cassato la prima decisione della Corte trentina, enunciando il principio di diritto che l’individuazione dei soggetti attivi e passivi del rapporto doveva essere compita esclusivamente alla stregua del decreto di espropriazione, di modo che doveva ritenersi passivamente legittimato il soggetto a cui favore risultava adottato, a nulla rilevando l’esistenza di una delega all’emanazione degli atti ablativi, e aveva devoluto al giudice del rinvio l’accertamento in fatto circa il contenuto del decreto.

L’acquiescenza al principio di diritto sopra ricordato non significa affatto riconoscimento della legittimazione attiva, così come non lo comportano le conclusioni nelle quali la Klotz Beton (controricorso a ricorso incidentale, pag. 10) vorrebbe ravvisarla.

La Provincia ha preso atto del principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, nè altro avrebbe potuto fare, che comunque lasciava impregiudicato l’accertamento consequenziale in fatto e ha quindi semplicemente riconosciuto di essere subentrata ex lege ai sensi dell’arti del D.Lgs. n. 320 del 1997, nelle funzioni in tema di viabilità nel proprio territorio in precedenza espletate dall’ANAS.

Nè del resto ha inteso diversamente la Corte territoriale che non ha ritenuto cessata la materia del contendere in punto legittimazione passiva ma ha deciso al proposito.

1.4. La ricorrente ha inoltre eccepito l’improcedibilità del ricorso incidentale per difetto di procura e di Delib. “giuntale” alle lite.

Come sopra già osservato, ai sensi del D.P.R. 1 febbraio 1073, art. 41, come sostituito dal D.Lgs. 14 febbraio 2004, n. 116, art. 1, la facoltatività del conferimento della rappresentanza all’Avvocatura dello Stato non implica la necessità di un mandato sottoscritto dal legale rappresentante della Provincia.

In tema di rappresentanza e difesa facoltativa degli enti pubblici da parte dell’Avvocatura dello Stato, non è necessario che, in ordine ai singoli giudizi, l’ente rilasci uno specifico mandato all’Avvocatura medesima, nè che questa produca il provvedimento del competente organo dell’ente recante l’autorizzazione del legale rappresentante ad agire od a resistere in causa, escludendo R.D. n. 1611 del 1933, artt. 1 e 45, che l’Avvocatura necessiti di alcuna forma di mandato ed essendo eventuali divergenze tra organi sulla opportunità di promuovere la lite o di resistere a lite da altri proposta, impedite o composte intra moenia dalla previsione della L. n. 103 del 1979, art. 12. Ne consegue che la stessa assunzione di iniziativa giudiziaria, pure nella forma dell’impugnazione, ad opera dell’Avvocatura dello Stato con riguardo a tali organi od enti, comporta la presunzione iuris ed de iure di esistenza di un valido consenso e di piena validità dell’atto processuale compiuto e lascia nell’ambito del rapporto interno le questioni attinenti alla inosservanza di regole di formazione del consenso medesimo. (Sez. 2, n. 21557 del 03/09/2018, Rv. 650174-01; Sez. 1, n. 6228 del 13/03/2013, Rv. 625592-01; Sez. 2, n. 6166 del 16/03/2007, Rv. 596702-01).

1.5. Ancora in via preliminare la ricorrente sostiene l’inammissibilità del controricorso della Provincia perchè volto a richiamare i motivi del controricorso della Impresa P., a sua volta tardivo e inammissibile.

Già si è detto della tempestività del controricorso dell’Impresa P., sicchè l’inesistente vizio di tardività non può comunicati al controricorso anch’esso tempestivo, della Provincia di Bolzano, che ad esso ha fatto richiamo.

2. In linea logico-giuridica appare opportuno procedere in via preliminare all’esame dei motivi di ricorso principale e incidentale dedicati al tema della legittimazione passiva ad causam.

2.1. Con il quinto motivo di ricorso principale, dedicato al tema della legittimazione passiva e proposto ex art. 360, nn. 3 e 4, nonchè art. 384 c.p.c., la ricorrente Klotz Beton lamenta che i decreti di esproprio 1/3/1997 e 3/3/1998 erano stati travisati limitatamente alla posizione della Provincia Autonoma di Bolzano e non all’Impresa P., asseritamente delegata per effetto del D.M. LL.PP. 26 novembre 1990, art. 12, tenuto conto della sentenza di annullamento del TAR Bolzano n. 98/2005, passata in giudicato per effetto del decreto di perenzione 163/2011 del Consiglio di Stato.

La ricorrente lamenta inoltre omesso deposito o omessa acquisizione di ufficio del documento di legittimazione a rilevanza esterna (delegazione amministrativa affidamento improprio sostituzione) di cui ad un asserito capitolato speciale di appalto ANAS – P., rimasta del tutto estranea sia ai decreti sia ai successivi atti del procedimento ablatorio salvo al pagamento delegato dell’indennità determinata dalle sentenze della Corte di appello di Trento del 2002 e del 2004, e comunque per omessa pronuncia sull’acquisizione del predetto documento nonostante l’adesione della P..

2.2. La Corte prescinde dalla singolarità dell’iniziativa della ricorrente, stigmatizzata dalla controricorrente P. e dalla sussistenza di un interesse della ricorrente a contestare la legittimazione passiva dell’Impresa P. nei cui confronti ella stessa ha agito in giudizio e dalla quale ha chiesto e ottenuto la corresponsione delle somme indicate nelle prime sentenze, non definitiva e definitiva, poi cassate, della Corte trentina.

Sulla legittimazione passiva della P. è sceso infatti il sigillo del giudicato.

Le sentenza 192/2002 e 306/2004 della Corte di appello di Trento non erano state impugnate sul punto e la stessa Corte di Cassazione n. 17679 del 2010 lo ha espressamente sottolineato, ponendo in evidenza, a sostegno della decisione, che “l’impresa delegata o concessionaria” non aveva “impugnato le sentenze di merito che le avevano attribuito la titolarità passiva dell’obbligazione indennitaria” e ha perciò demandato, come del resto correttamente ribadito dalla sentenza impugnata, che al giudice del rinvio competeva di determinare se l’obbligazione gravava “anche” sulla Provincia di Bolzano e/o Anas, ferma quindi la responsabilità dell’Impresa P..

2.3. Con il motivo di ricorso incidentale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la ricorrente Provincia autonoma di Bolzano denuncia violazione dell’art. 384 c.p.c..

La ricorrente osserva che la sentenza 17679/2010 della Cassazione aveva demandato al Giudice del rinvio di individuare il soggetto attivo del rapporto di espropriazione, tenuto al pagamento dell’indennità, da determinarsi in colui che risultava dal decreto ablatorio il beneficiario dell’espropriazione, salvo che dal predetto decreto non risultasse il conferimento ad altro ente del potere e del compito di provvedere all’acquisizione delle aree occorrenti e della cura delle necessarie procedure espropriative.

Poichè il D.M. 26 novembre 1990 (che non era stato annullato dalla sentenza del TRGA Bolzano 98/2005) aveva delegato alla P. tutte le incombenze relative all’espropriazione dei fondi su cui doveva essere realizzata l’opera pubblica, con efficacia esterna, la legittimazione risultava radicata esclusivamente in capo alla P..

2.4. Il motivo è palesemente infondato e riassume impropriamente il principio di diritto enunciato dalla sentenza di legittimità che ha demandato al giudice del rinvio di verificare la legittimazione della Provincia o dell’ANAS esclusivamente sulla base dei decreti di esproprio del 1/3/1997 e 3/3/1998, in particolare accertando a favore di chi essi fossero stati adottati, compito al quale la Corte trentina ha scrupolosamente ottemperato.

3. I primi tre motivi di ricorso principale sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

3.1. Con il primo motivo di ricorso principale, dedicato ai criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia omessa applicazione della L.P. Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, art. 107, comma 15 e s.m. in tema di ordinamento urbanistico, in attuazione della competenza primaria provinciale dell’art. 8, n. 5, dello Statuto speciale di autonomia approvato con D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nonchè falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 37 e 38 e della L. n. 2359 del 1865, art. 40.

La ricorrente lamenta, in particolare, l’erronea applicazione del principio della destinazione legale agricola del compendio in luogo della destinazione legale produttiva prevista dalla richiamata norma urbanistica primaria provinciale, che prevaleva sulle disposizioni del piano urbanistico comunale agli effetti della valutazione del valore venale del compendio alla data del decreto di esproprio.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia la mancata e coerente applicazione dello jus superveniens di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 2011, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4 e della L. n. 865 del 1971, art. 16, commi 5 e 6; lamenta inoltre la falsa applicazione del principio della rigida dicotomia tra aree edificabili ed aree agricole D.P.R. n. 327 del 2001, ex artt. 37 e 38, alla luce della normativa della destinazione di tertium genus di cui alla L.P. n. 13 del 1997, art. 107, comma 15.

Secondo la ricorrente meriterebbero quindi considerazione, anche alla stregua della successiva evoluzione giurisprudenziale di legittimità, le possibili forme di utilizzazione economica, ulteriori e diverse da quelle agricole, consentite dalla normativa vigente e conformi agli strumenti di pianificazione urbanistica.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 33 e 38 e della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, per omessa e travisata identificazione del bene espropriato, vertendosi in ipotesi di “edificato” legittimo e autorizzato e non di area edificabile in relazione al regime urbanistico speciale di cui alla L.P. n. 13 del 1997, art. 107, comma 15, recante salvaguardia della edificabilità dei compendi produttivi insediati in zonizzazione agricola precedentemente al 24/10/1973.

3.4. Nei confronti di tali censure le parti controricorrenti si difendono essenzialmente rimproverando alla ricorrente il mancato rispetto del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione e insistendo sulle preclusioni scaturenti dalle statuizioni della sentenza n. 17679/2010 della Cassazione, che aveva definitivamente accertato la natura agricola e non edificabile dei terreni in questione e imposto la determinazione dell’indennità di espropriazione, al netto di ogni valenza e portata risarcitoria, estranea alla disciplina legale, sulla base dei criteri normativi allora vigenti.

Le controricorrenti difendono quindi la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte territoriale di rinvio, ritenutasi vincolata dall’accertamento circa la natura agricola dei terreni e libera solamente di determinarne il valore venale alla stregua dello jus superveniens rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale, 10/06/2011, n. 181 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 4, convertito, con modificazioni, in L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 15, comma 1, secondo periodo e art. 16, commi 5 e 6 (come sostituiti dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14), nonchè, in via consequenziale, il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 40, commi 2 e 3, che prevedono che nel caso di esproprio di un’area non edificabile non coltivata, l’indennità di esproprio è determinata in base al criterio del valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura prevalente nella zona o in atto nell’area da espropriare, reputando costituzionalmente necessario che la determinazione dell’indennità di stima avvenga avendo riguardo alle caratteristiche essenziali del bene ablato.

Secondo le controricorrenti, quindi, la ricorrente non potrebbe reintrodurre nel giudizio di rinvio i temi relativi alla presenza legittima dei fabbricati sul terreno espropriato secondo la locale legislazione urbanistica ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, preclusi dalla pronuncia di legittimità.

3.5. E’ ben nota la soluzione giurisprudenziale del rapporto fra il giudizio di rinvio e lo jus superveniens, nel caso rappresentato da una decisione della Corte Costituzionale, efficace nei giudizi in corso ex art. 136 Cost..

A norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicchè anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Sez. 6 – L, n. 6086 del 17/03/2014, Rv. 630470 01; Sez. 6 – 1, n. 27155 del 15/11/2017, Rv. 646772 – 01)

L’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris enunciata dalla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio. Pertanto, ove l’espropriato contesti la quantificazione dell’indennità di espropriazione operata dalla corte di appello con il criterio del valore agricolo medio (VAM), previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 e della L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 4 e dichiarato incostituzionale da Corte Cost. n. 181 del 2011, la stima dell’indennità deve essere effettuata utilizzandosi il criterio generale del valore venale pieno, tratto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, applicandosi la menzionata pronuncia di illegittimità ai rapporti non ancora definitivamente esauriti (Sez. 1, n. 26193 del 19/12/2016, Rv. 642760-01).

3.6. Nella fattispecie la decisione adottata dalla Corte trentina è eccessivamente restrittiva, perchè il vincolo esercitato dalla pronuncia di legittimità, che precludeva la considerazione di possibili utilizzazioni legittime del terreno agricolo, scaturiva da una disciplina legale colpita medio tempore dalla sentenza della Corte Costituzionale.

Non si tratta quindi nella fattispecie di prestar rispetto, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, all’enunciazione del principio di diritto vincolante il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicchè anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte.

Si tratta, invece e piuttosto, di conferir piena efficacia alla disciplina normativa risultante dall’intervento della Corte Costituzionale che ha travolto l’interpretazione giurisprudenziale a cui la sentenza n. 17679 del 2010 si era ispirata.

La Consulta infatti nella fondamentale sentenza n. 181 del 2011 ha proceduto alla verifica, alla luce dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del primo Protocollo addizionale della CEDU nell’interpretazione datane dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, nonchè dell’art. 42 Cost., comma 3, del criterio di calcolo dell’indennità di espropriazione contemplato dalla normativa censurata, la quale prevedeva che, per i suoli agricoli e per quelli non edificabili, la detta indennità fosse commisurata al valore agricolo medio del terreno, secondo la disciplina dettata dalla L. n. 865 del 1971, art. 16 e successive modificazioni (valore determinato ogni anno, entro il 31 gennaio, nell’ambito delle singole regioni agrarie, dalle apposite commissioni provinciali, con le modalità di cui alla norma da ultimo citata).

Secondo la Corte Costituzionale, il valore tabellare così calcolato prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Ciò faceva sì che restassero così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso.

Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il “ragionevole legame” con il valore di mercato, “prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza costituzionale consolidata (sentenza n. 348 del 2007).

Se era pur vero che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo che in caso di “espropriazione isolata”, pur se a fini di pubblica utilità, soltanto una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene, tuttavia, proprio l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il “giusto equilibrio” tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.

La sentenza in questione impone quindi di commisurare l’indennità di espropriazione all’effettivo valore venale di mercato del fondo ablato, pur se classificato urbanisticamente come agricolo, tenendo conto di tutti i fattori economicamente significativi che possono incidere su tale valutazione, inclusa la presenza di fabbricati e attività produttive legittimamente ivi insediate.

Non caso la giurisprudenza di questa Corte successiva alla pronuncia della Consulta ha modificato il proprio orientamento ed assume rilievo anche nel presente giudizio proprio perchè costituzionalmente necessitata.

Questa Corte ha così affermato che in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili, in caso di contestazione da parte dell’espropriato, la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto a quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti), sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Sez. 1, 06/03/2019, n. 6527); infatti, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di terreni non edificabili la stima deve essere effettuata applicando il criterio generale del valore venale pieno, ma l’interessato può dimostrare che il fondo è suscettibile di uno sfruttamento ulteriore e diverso rispetto quello agricolo, pur senza raggiungere il livello dell’edificatorietà, e che, quindi, possiede una valutazione di mercato che rispecchia possibilità di utilizzazione intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (come, ad esempio, parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti) sempre che tali possibilità siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Sez. 1, n. 19295 del 19/07/2018, Rv. 649681-01; Sez. 1, n. 25314 del 25/10/2017, Rv. 646577-01; Sez. 1, n. 24150 del 13/10/2017, Rv. 646195-01).

3.8. La sentenza impugnata è pertanto incorsa in violazione di legge, avendo rifiutato di confrontarsi con le caratteristiche effettive del terreno oggetto di espropriazione, per considerare il valore meramente agricolo, ritenendosi erroneamente vincolata dalla pronuncia di legittimità e pur rendendosi conto della singolarità della decisione allorchè, a pagina 18, ha dato espressamente atto del fatto che il terreno a destinazione agricola non era in realtà coltivato al momento dell’esproprio, ma occupato da insediamenti industriali, che la ricorrente afferma perfettamente legittimi.

4. Con il quarto motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e art. 384 c.p.c., la ricorrente denuncia omessa considerazione, nel caso denegato di conferma della destinazione agricola dei terreni, del criterio proposto dal consulente di parte attrice ai punti B1, B2 e B3, che comportavano la necessaria aggiunta al valore agricolo dei costi di bonifica agraria per la ricostituzione della destinazione agricola a frutteto di prima classe per l’intero compendio, secondo criterio riconosciuto valido dallo stesso Consulente d’ufficio.

La censura resta assorbita.

5. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione all’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso principale, con rinvio alla Corte di appello di Trento in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità ai motivi accolti.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie i primi tre motivi di motivo di ricorso principale, assorbito il quarto e rigettato il quinto, come pure rigettato il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Trento, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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