Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2708 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. III, 04/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 04/02/2021), n.2708

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30736-2019 proposto da:

J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CLEMENTINA DI ROSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 345/2019 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI,

depositata il 12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

J.A., cittadina nigeriana, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, la ricorrente ha dedotto di essere fuggita dal proprio paese per il timore di essere arrestata e giudicata in relazione a un omicidio commesso in Nigeria;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento J.A. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Cagliari, che ne ha disposto il rigetto;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza in data 12/4/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del passaggio in giudicato della decisione di rigetto emessa in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiata e dell’attribuzione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); 2) della mancanza, nei territori di provenienza della ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da J.A. con ricorso fondato su quattro motivi;

il Ministero dell’interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo e il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda dalla stessa proposta per il riconoscimento della protezione sussidiaria in proprio favore;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono complessivamente infondati;

preliminarmente, rileva il Collegio come l’odierna ricorrente abbia del tutto trascurato di contestare la decisione del giudice di appello in relazione alla riconosciuta definitività delle decisioni di rigetto del primo giudice sulle domande dirette al riconoscimento dello status di rifugiata e della protezione sussidiaria in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

quanto alla rivendicazione della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è appena il caso di rilevare come, nel caso di specie, la corte territoriale abbia correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierna ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nel Paese di provenienza della ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza della richiedente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni, a nulla rilevando le alternative fonti segnalate dall’interessata, trattandosi di informazioni generiche, e in ogni caso inidonee a fornire adeguata contezza degli specifici presupposti oggettivi legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria in contrasto con i contenuti informativi privilegiati dalle scelte probatorie (legittimamente) operate dal giudice d’appello nell’esercizio dei propri poteri di apprezzamento discrezionale delle fonti istruttorie;

con il secondo e il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice d’appello erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della c.d. protezione umanitaria in favore della richiedente;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato le gravi carenze probatorie connesse alla dimostrazione, da parte dell’interessata della propria situazione di vita, ha ulteriormente rimarcato l’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità cui la stessa sarebbe esposta in caso di rientro nel paese di origine, a tali conclusioni pervenendo sulla base di un’analisi delle fonti informative disponibili sufficientemente congrua e adeguata, suscettibile di corroborare in modo esaustivo il giudizio formulato in ordine alla non prospettabilità di alcuna grave sproporzione tra la vita condotta dalla ricorrente nel territorio italiano e quella prospettata nel paese di origine, con specifico riferimento alla perdurante possibilità, per la stessa ricorrente, di godere delle prerogative connesse all’esercizio del nucleo essenziale dei propri diritti fondamentali;

sulla base di tali premesse, rilevata l’infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio, attesa la mancata tempestiva costituzione del Ministero intimato;

dev’essere viceversa attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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