Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27079 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 27/09/2019, dep. 23/10/2019), n.27079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18096/2014 proposto da:

Comune Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della

Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Angela

Provenzani, in forza di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Sindaco del Comune di Palermo, in qualità di Commissario delegato;

– intimato –

e contro

G.R., e S.S., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Trionfale 21, presso lo studio dell’avvocato Federica Casagni

rappresentati e difesi dall’avvocato Antonino Paleologo in forza di

procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 834/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 20/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/09/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione in opposizione alla stima notificato il 5/12/2008 il Comune di Palermo ha convenuto in giudizio dinanzi alla Corte di appello di Palermo S.S., nonchè il Sindaco, in qualità di Commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza determinatasi nella Città di Palermo in relazione alla situazione del traffico e della mobilità.

Il Comune ha esposto che con ordinanza n. 3255 del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29/11/2002, modificata con successiva ordinanza n. 3342 del 5/3/2004 il Sindaco di Palermo era stato nominato Commissario delegato ai fini sopra indicati; che fra gli interventi prioritari da eseguire era stata individuata la realizzazione di tre linee tramviarie, il cui progetto era stato approvato con Delib. 24 marzo 2005, n. 7, modificata con Delib. 27 novembre 2006, n. 26; che, nell’ambito delle procedure espropriative a tal fine necessarie, con Det. Dirig. 13 giugno 2007, n. 179, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 22 bis, era stata determinata l’indennità di espropriazione e disposta l’occupazione di urgenza dell’immobile di cui al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS) del catasto fabbricati, con immissione in possesso in data 4/7/2007; che in seguito al dissenso del proprietario S.S., l’indennità di espropriazione era stata calcolata a maggioranza, D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 21, comma 1, in Euro 89.100,00, sulla base di un valore unitario al m.q. di Euro 300,00, già compresa la maggiorazione del 10% ex art. 37 D.P.R.; che erroneamente era stata ritenuta la destinazione urbanistica industriale precedente all’approvazione del progetto (D1) anzichè quella di deposito tram prevista alla data del decreto di occupazione (F22), che escludeva la possibilità di edificazione.

Si è costituita in giudizio G.R., donataria dell’immobile da parte del S. in forza di atto del 18/2/2009, chiedendo declaratoria di inammissibilità o il rigetto della domanda.

La Corte di appello di Palermo, esperita consulenza tecnica, dichiarata la contumacia del S. e la legittimazione della G., quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, ritenuta ammissibile l’opposizione, con sentenza del 20/5/2013 ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 75.346,00, ordinando al Comune il deposito della somma alla Cassa Depositi e Prestiti, detratto quanto già versato, oltre agli interessi, con la compensazione delle spese di lite e spese di consulenza a carico del Comune.

2. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 3/7/2014 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Palermo, svolgendo unico motivo.

Con atto notificato il 9/9/2014 hanno proposto controricorso S.S. e G.R., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

Con memoria del 9/9/2014, contenente erroneo riferimento all’Agenzia delle Entrate, il Commissario delegato si è costituito al solo fine della partecipazione ad eventuale udienza di discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32.

1.1. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva valutato l’area espropriata sulla base della destinazione urbanistica precedente all’approvazione del progetto anzichè, come avrebbe dovuto, sulla base della destinazione urbanistica dell’area alla data del decreto di esproprio.

Così argomentando, la Corte territoriale sarebbe incorsa nella impropria riesumazione dell’interpretazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis (oggi art. 32 del Testo Unico) secondo la quale le possibilità legali di edificazione devono essere vagliate, retrodatando la qualificazione del terreno alla disciplina urbanistica vigente nel momento precedente all’apposizione del vincolo destinato all’espropriazione.

1.2. La censura è manifestamente infondata.

La Corte palermitana ha accertato che il terreno era destinato a zona industriale (D1) e che, dopo l’approvazione del progetto dell’opera pubblica, il Commissario delegato in sede di conferenza dei servizi (in data 3/8, 6/8, 4/10 e 19/11/2004), aveva approvato la variante dello strumento urbanistico che ne ha mutato la destinazione in deposito tramviario (F22); ritenuto tale vincolo espropriativo e non conformativo, la Corte di appello non ne ha tenuto conto ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32.

Tale decisione è ineccepibile.

Il citato art. 32, comma 1, in tema di determinazione del valore del bene, prevede che, salvi gli specifici criteri previsti dalla legge, l’indennità di espropriazione sia determinata sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell’accordo di cessione o alla data dell’emanazione del decreto di esproprio, valutando l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa ma senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista.

La distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi cui possono essere assoggettati i suoli, non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dell’atto di pianificazione: ove mediante lo stesso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove si imponga solo un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area, e ciò in quanto la realizzazione dell’opera è consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicchè, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica (da ultimo, Sez. 1, 18/06/2018, n. 16084).

La giurisprudenza di questa Corte ha altresì chiarito che il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 3, convertito, con modificazioni, in L. 8 agosto 1992, n. 359, nel disporre che “per la valutazione delle edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio”, comporta l’irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini della stima del bene ma non significa che la qualificazione edificatoria del terreno espropriato vada retrodatata all’epoca di apposizione del predetto vincolo (ciò che determinerebbe nel caso di mutamento della destinazione sopravvenuto nelle more dell’espropriazione, un indennizzo inficiato da astrattezza, e come tale contrastante con l’art. 42 Cost., comma 3); di conseguenza è stata cassata per violazione di legge, in relazione al D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 32 e 37, la sentenza di merito che, per stabilire l’indennità di espropriazione, operi la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione con riferimento al momento del vincolo preordinato all’esproprio, anzichè al momento dell’emanazione del decreto di esproprio, pur essendo sopravvenuta, nelle more, una variante urbanistica (Sez. 1, 20/02/2018, n. 4100).

2. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico del Comune ricorrente, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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