Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27077 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/11/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 26/11/2020), n.27077

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14044-2015 proposto da:

T.C. SERVIZI INFORMATICI S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO FRANCIOSA, rappresentata e

difesa dagli avvocati EMANUELE PASSANISI, BRUNO FIORITO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 348/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 18/03/2015 r.g.n. 1041/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Catania, con sentenza n. 348/15, rigettava l’appello proposto da TC Servizi Informatici s.r.l., avente ad oggetto la sentenza del Tribunale di Catania che aveva respinto l’opposizione proposta dalla medesima società avverso il verbale di accertamento dell’INPS in data 17 dicembre 2007.

2. Con tale accertamento l’Ispettorato dell’Istituto previdenziale aveva contestato alla società ricorrente che i contratti di lavoro a progetto indicati nel suddetto verbale erano connotati da genericità del progetto, da sovrapposizione con l’attività costituente oggetto sociale e da assenza di un risultato finale, con la conseguenza che i rapporti di lavoro ai quali i contratti si riferivano dovevano essere considerati come rapporti di lavoro subordinato. I contributi omessi e le relative sanzioni erano stati quantificati in complessivi Euro 515.270,00.

3. La società, a sostegno dell’opposizione, aveva dedotto che i progetti erano connessi all’esecuzione della convenzione stipulata con la Stamperia Braille dell’Unione Italiana Ciechi. A fronte di tale deduzione, l’INPS aveva eccepito che il ricorso ai contratti di lavoro a progetto da parte della società era uno strumento elusivo della normativa in tema di lavoro subordinato: il presunto progetto riguardava la quasi totalità del personale; i n. 114 contratti avevano un contenuto identico e facevano generico riferimento alle mansioni da svolgere e non ad un progetto specifico; la liquidazione del compenso era subordinata alla supervisione qualitativa e quantitativa dei testi da parte della Stamperia. L’INPS aveva quindi prospettato che doveva trovare applicazione il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69.

4. La Corte di appello, riepilogati i passaggi motivazionali della sentenza di primo grado, precisava che i motivi di impugnazioni della società erano i seguenti:

con il primo motivo, era stato dedotto che il programma di lavoro era gestito autonomamente dal collaborate e consisteva nella trascrizione e correzione dei testi in Braille, da svolgersi di volta in volta secondo le richieste dell’Unione Italiana Ciechi in base a quanto previsto dalla relativa convenzione, e che dunque il programma di lavoro esisteva, nè poteva ostare alla genuinità del contratto il fatto che i contratti di lavoro fossero identici e facessero riferimento alla convenzione con la Stamperia; con il secondo motivo, era stata dedotta la violazione del principio di indisponibilità del tipo contrattuale.

5. Nel respingere i motivi di censura, la Corte di appello, richiamata la disciplina legale di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 in cui l’elemento essenziale è costituito dall’esistenza di uno o più progetti specifici o programmi di lavoro ed è richiesto, quale requisito indefettibile, che il progetto presenti specificità tali da escluderne la ripetibilità indefinita per la realizzazione dell’oggetto sociale, osservava che deve escludersi il requisito della “specificità” quanto vi sia coincidenza tra l’attività imprenditoriale normalmente svolta dall’impresa e il programma o il progetto dedotto in contratto, ossia quando l’opera o il progetto si sostanzino nella normale attività d’impresa e soddisfino un’esigenza ordinaria e continuativa di essa.

6. La Corte di appello riteneva quindi, condividendo quanto già affermato dal Tribunale, che si era in presenza di plurimi contratti di lavoro nei quali il progetto si presentava identico per un notevole numero di lavoratori, senza alcun accenno all’obiettivo che si intendeva raggiungere e senza individuazione dello stesso come realizzazione di un preciso e circostanziato piano di lavoro o risultato. L’attività svolta dai collaboratori si identificava esattamente con la principale attività di impresa (desumibile anche dal confronto tra i ricavi derivanti dalle prestazioni rese in favore della Stamperia e quelli derivanti dalle attività in favore di altri clienti) ed era pienamente sovrapponibile all’oggetto sociale.

7. Quanto al rilievo di cui al secondo motivo, osservava la Corte di appello che, in mancanza dei requisiti costitutivi del tipo legale, doveva trovare applicazione il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, con conversione ex lege in rapporti di lavoro subordinato e che, a fronte del dubbio, palesato in dottrina e giurisprudenza, circa l’interpretazione della suddetta norma, ossia se essa abbia introdotto nel sistema una presunzione assoluta ovvero relativa, doveva condividersi la prima opzione interpretativa, poichè ammettere la prova contraria contrasterebbe con la ratio della legge, volta a vietare la stipula di contratti di collaborazione al di là della previsione di uno specifico progetto. In particolare, osservava che occorre distinguere l’ipotesi di cui all’art. 69, comma 1 da quella di cui al cit. articolo, comma 2 che contempla la trasformazione del rapporto di lavoro a progetto in un rapporto di lavoro subordinato qualora siano le modalità di svolgimento di fatto della prestazione a deporre per l’integrazione di tale tipo contrattuale. Il comma 1 ha introdotto, invece, una sanzione consistente nell’applicazione delle garanzie del lavoro dipendente in funzione di tutela del lavoratore, per evitare elusioni e abusi. Infine, il disposto di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 24, che vale come norma di interpretazione autentica per i contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della norma, non fa che confermare l’esposta interpretazione dell’art. 69 cit., comma 1.

8. Per la cassazione di tale sentenza la società T.C. Servizi Informatici a r.l. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. L’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

9. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 e della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 24 e 25 contestando l’interpretazione secondo cui il citato art. 69, comma 1 avrebbe introdotto un’ipotesi presunzione assoluta di subordinazione, in contrasto: con l’art. 41 Cost., giacchè verrebbe violata la libertà di impresa e di iniziativa economica; con gli artt. 3 e 35 Cost., non essendo ammissibile la qualificazione di un rapporto di lavoro svincolata dalle concrete modalità di svolgimento e non essendo consentito al legislatore l’attribuzione di una qualifica di rapporto di lavoro subordinato ad un rapporto che oggettivamente non abbia tale natura; con l’art. 38 Cost., in quanto si attribuirebbero d’impero le tutele previdenziali ed antinfortunistiche a soggetti che, di fatto, non ne avrebbero diritto.

Si sostiene che l’unica interpretazione possibile è quella secondo cui la mancanza di un progetto-programma comporta un’inversione dell’onere della prova, onerando il datore di lavoro della dimostrazione dell’autonomia del rapporto e che confermerebbe tale lettura la L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 24 e 25: se infatti il comma 24 ha stabilito che la presunzione dell’art. 69 deve interpretarsi nel senso che la mancanza di uno specifico progetto determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il successivo comma 25 prevede che tale disposizione si applica ai contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia per il futuro e non per i contratti stipulati anteriormente.

10. Il ricorso è infondato, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, formatasi recentemente in argomento.

11.Occorre premettere che, nel caso in esame, opera la definizione legale del contratto a progetto fornita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 nel testo originario, poi sostituito dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. a) modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 24 bis, comma 7 conv. in L. n. 134 del 2012 ed ancora dal D.L. n. 76 del 2013, art. 7, comma 2, lett. c) conv. in L. n. 99 del 2013 ed infine abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 52 di attuazione del c.d. Jobs Act.

12. In base al testo applicabile ratione temporis, per la configurazione della fattispecie è necessaria la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”.

13. Questa Corte ha chiarito che l’assenza del progetto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorchè il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia (Cass. n. 8142 del 2017). Il progetto concordato non può comunque consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella previsione di prestazioni, a carico del lavoratore, coincidenti con l’ordinaria attività aziendale (v. Cass. n. 17636 del 2016 e n. 8142 del 2017).

14.Risulta dunque corretta la statuizione della Corte di merito, basata sulla ritenuta assenza di un valido progetto per la sua coincidenza con l’ordinaria attività aziendale, nell’accertato difetto di alcuna distinzione qualitativa, quantitativa o temporale, rispetto ad essa.

15.Quanto alla distinzione tra l’art. 69 cit., commi 1 e 2 già Cass. 12820 del 2016 aveva affermato che il regime sanzionatorio articolato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti.

16.Cass. n. 17127 del 2016 ha poi ribadito che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso.

17.Più recentemente, Cass. n. 9471 del 2019 ha specificamente affrontato gli stessi argomenti posti a base del ricorso ora all’esame, affermando che il regime sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2016, art. 69, comma 1, (nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012), in caso di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, nè con l’art. 41 Cost., comma 1, in quanto trae origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore.

18.E’ stato osservato che “…i dubbi di compatibilità costituzionale prospettati dai ricorrenti trovano adeguata soluzione solo osservandosi che nel caso non vengono sottratti al giudice i poteri di qualificazione del rapporto, ma viene garanzie del lavoro dipendente. La Corte Costituzionale, con le sentenze 25 marzo 1993, n. 121 e 23 marzo 1994, n. 115 ha escluso che rispettivamente il legislatore o le parti possano imporre presunzioni o qualificazioni contrattuali di autonomia che sottraggono alle indefettibili garanzie del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza. Il principio di “indisponibilità del tipo” è stato quindi dettato al fine di evitare sottrazioni di tutele al lavoro subordinato, ed è sorretto da una ragione verosimilmente univoca e non invocabile nel caso inverso. D’altra parte, il nostro ordinamento non è estraneo alla previsione dell’applicazione delle regole del lavoro subordinato come sanzione in caso di violazioni, elusioni, abusi di determinate forme di contratti di lavoro (v. L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, L. n. 230 del 1962, art. 1). La previsione non può infine ritenersi in contrasto con l’art. 41 Cost., comma 1, in quanto trae origine da una condotta posta in essere dal datore di lavoro e violativa di prescrizioni di legge, nè inadeguata, essendo coerente con il fine del legislatore, di perimetrare il potere di stipulare contratti a progetto per evitare l’elusione delle tutele predisposte per il lavoro subordinato” (sent. cit., in motivazione).

19.Va infine rilevato che il riferimento operato nella sentenza impugnata alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 non è stato determinante ai fini della decisione, in quanto la stessa Corte di appello ha precisato che detta legge non trova applicazione ratione temporis alla fattispecie, pur aggiungendo che l’intervento normativo conforta l’opzione interpretativa già desumibile dal testo precedente.

20.In conclusione, il ricorso va rigettato. Quanto alle spese del presente giudizio, si ravvisano giusti motivi di compensazione, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., nel regime introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 69 del 2009 (il ricorso introduttivo risale al 2008), atteso che l’orientamento interpretativo di questa Corte in ordine all’interpretazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 si è formato in epoca successiva al ricorso per cassazione proposto dalla società (risalente al maggio 2015).

21.Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019 e n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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