Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27072 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. un., 28/12/2016, (ud. 25/10/2016, dep.28/12/2016),  n. 27072

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15639-2015 proposto da:

MAUREEN SKELLY BONINI S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 197,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA NAPOLEONI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALBERTO BIANCHI per

delega in calce al ricorso e LIONEL CERESI per procura speciale del

notaio dott. D.F. di (OMISSIS), in atti;

– ricorrente –

contro

THE DONNA KARAN COMPANY, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

VENEZIA 11, presso lo STUDIO LEGALE HOGAN LOVELLS, rappresentata e

difesa dagli avvocati FULVIA ASTOLFI e VINCENZO VIGORITI, per

procura speciale del 24/6/2015, in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 453/2014 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata

il 11/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

uditi gli Avvocati Lionel CERESI, Fulvia ASTOLFI e Vincenzo VIGORITI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione del 29 maggio 2003 la società italiana Maureen Skelly Bonini s.r.l. convenne in giudizio dinanzi al tribunale di Firenze la società statunitense The Donna Karan Company per sentirla condannare al pagamento di indennità e provvigioni dovute in forza di buying agency agreement stipulato nel (OMISSIS), nonchè a risarcire i danni per l’ingiustificato recesso della preponente da detto contratto.

L’adito tribunale dichiarò il proprio difetto di giurisdizione, ritenendo che la vertenza dovesse essere portata dinanzi ad un giudice degli USA; ma la Corte d’appello di Firenze, in accoglimento del gravame proposto da Maureen Skelly Bonini s.r.l., con sentenza del 18 gennaio 2011 riformò la decisione di primo grado, affermando la giurisdizione del giudice italiano, e rimise le parti dinanzi al tribunale. The Donna Karan Company propose ricorso disatteso da questa Corte stante l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze che non definiscono, neppure parzialmente, il giudizio di merito concerne anche le decisioni sulla giurisdizione del giudice italiano rispetto al giudice straniero, non sussistendo nel diritto internazionale privato norme ostative all’applicazione del terzo comma dell’art. 360 c.p.c., come sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 e sussistendo, invece, anche in tale ambito, le esigenze di collegamento tra impugnazione per cassazione e interesse sul merito della controversia, sottese alla previsione d’inammissibilità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1718 del 24/01/2013).

Riassunto il giudizio, il tribunale di Firenze, con sentenza dell’11 febbraio 2014, ha ritenuto valida ed efficace la clausola compromissoria contenuta nel contratto inter partes e devoluta la vertenza al collegio arbitrale dello Stato di New York. Il tribunale, premesso che al giudice nazionale era rimessa la cognizione sulla validità della clausola arbitrale ancorata alla qualificazione giuridica del rapporto, ha osservato che il buying agency agreement non s’inquadrava affatto nello schema tipico del contratto di agenzia e, dunque, non era caratterizzato da quella indisponibilità dei diritti nascenti dall’art. 1751 c.c. che avrebbero potuto precludere l’arbitrato estero a mente della L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2. Tale decisione è stata confermata dalla Corte territoriale che, con ordinanza dell’8 aprile 2015, ha ritenuto inammissibile l’appello proposto da Maureen Skelly Bonini s.r.l.. Propone ricorso Maureen Skelly Bonini s.r.l. affidandosi a sei motivi e memoria; The Donna Karan Company resiste con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente, si osserva che il tribunale, pur affermandosi la giurisdizione del giudice italiano all’esito delle prime fasi del giudizio (App. Firenze, 18/01/ 2011; Cass. Sez. U, n. 1718 del 2013; cit.), ha ritenuto espressamente che, pur se ancorata alla qualificazione giuridica del rapporto, gli fosse comunque devoluta la cognizione piena su validità ed efficacia della clausola compromissoria per arbitrato statunitense. Sul punto, non essendovi stato appello, si è formato giudicato interno.

Con i primi cinque motivi di ricorso – denunciando il malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 c.c. e seg.) e della disciplina dell’art. 1742 c.c. e seg., artt. 1655 e 1703 c.c. – Maureen Skelly Bonini s.r.l. si duole che siano stati trascurati tanto elementi desumibili da numerosi punti della scheda contrattuale, quanto il canone dell’art. 1363 c.c. laddove si stabilisce in contratto che l’agente di acquisto conduce trattative di carattere commerciale, pur senza formulare offerte vincolanti per la preponente, il che si ricollegherebbe a compiti di ricerca di mercato e di offerte, nonchè di visita di fiere settoriali (motivo 1). Evidenzia, inoltre, che le prestazioni pattuite – e in particolare i compiti di assistenza – non esorbitano dallo schema tipico del contratto di agenzia dato che talune prestazioni di assistenza rientrano nel paradigma collaborativo dell’art. 1746 c.p.c. (motivo 2). Lamenta, ancora, l’assenza di un’adeguata indagine sulla volontà delle parti contraenti riguardo alle espressioni anglosassoni adoperate del contratto e suggestivamente tradotte dalla controparte senza neppure considerare che dall’art. 1 della scheda contrattuale emergerebbero indici rivelatori del rapporto di agenzia con le caratteristiche indicate dall’art. 1, comma 2 della direttiva 653/86/Cee, posta a fondamento della novellata disciplina nazionale (motivo 3). Censura, in particolare, i riferimenti a un preteso appalto di servizi, smentito invece dalla stabilità del rapporto e dalla remunerazione provigionale, o a un asserito mandato, smentito invece dalla preposizione alla promozione di affari in una determinata zona in luogo del compimento di atti giuridici determinati (motivo 4). Lamenta, infine che sia stata enfatizzata la presenza di un compenso fisso, cd. minimo garantito, quale elemento dirimente per escludere la sussistenza di un rapporto di agenzia (motivo 5). Sotto altro profilo, denunciando con il sesto motivo il malgoverno delle regole di diritto internazionale privato (L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2) e della disciplina del rapporto d’agenzia (art. 1742 c.c. e seg.), censura la negazione dell’operatività della legge italiana riconosciuta, invece, dalla convenzione di N.Y. del 1958 (art. 5.2) e dalla convenzione di Roma del 1980 richiamata dalla L. n. 218 (art. 57) e la consequenziale impossibilità di devolvere ad arbitrato estero la tutela di diritti indisponibili secondo il diritto nazionale (art. 1751 c.c.) e quello comunitario (direttiva 86/653/Cee).

I primi cinque motivi del ricorso, globalmente inerente alle ragioni d’appello (v. ric. pag. 12-13), sono tutti rivolti a criticare l’accertamento secondo cui non sarebbe stato concluso un contratto di agenzia – ma un negozio promiscuamente atipico (opera, mandato, appalto, etc.) – e vanno, di conseguenza, esaminati unitariamente. Essi non rientrano affatto nei parametri del vizio di legittimità per errata o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali, atteso che quella denunciata dalla ricorrente è, nella sostanza, l’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, il che è inerente alla tipica valutazione devoluta al monopolio esclusivo del giudice di merito.

Nella specie il tribunale ha accertato che il contenuto della clausola compromissoria, prevista dall’art. 18 della scheda contrattuale, è il seguente: “ogni e qualsiasi reclamo o controversia, compresi i reclami per danni che derivano dal presente accordo o modifica o estensione dello stesso, sarà oggetto di arbitrato davanti a un gruppo di arbitri dell’American arbitration association, in conformità con la legge di New York. La decisione di tale arbitrato potrà essere resa esecutiva nei tribunali degli Stati Uniti. Il buying agent accetta di conferire la competenza ai tribunali degli Stati Uniti”. Inoltre il tribunale ha accertato, sempre in punto di fatto, che l’oggetto del negozio è perimetrato dall’art.2 della scheda contrattuale (“il buying agent accetta con il presente atto l’incarico qui descritto e conviene di rendere, su richiesta e dietro istruzioni del buyer, tutto o parte dei seguenti servizi nella misura necessaria a soddisfare le esigenze del buyer”) e lo ha riassunto in sentenza con riferimento agli specifici compiti di “informare il buyer (ovverosia The Donna Karan Company) circa i prezzi e le fonti di approvvigionamento della merce disponibile; informare il buyer relativamente agli aspetti di modellistica e marketing; visitare saltuariamente fiere di settore e svolgere ricerche di mercato per conto del buyer; richiedere offerte per la vendita al buyer di merce nuova; prestare assistenza al buyer o ai suoi rappresentanti in occasione di visite ai vari produttori; agire quale interprete per i rappresentanti del buyer; prestare assistenza e consiglio al buyer in occasione della preparazione e negoziazione dei contratti di acquisto; commissionare ordini e/o acquistare per conto del buyer merce dai fornitori esportatori; comunicare per iscritto a tutti i venditori che il buyer è il soggetto per il quale la merce viene acquistata; notificare al buyer il nome e l’indirizzo di ciascun fornitore; monitorare tutti gli ordini fatti per la merce; supervi-sionare e gestire il programma di controllo delle qualità elaborato congiuntamente dal buyer e dal buying agent al fine di garantire l’esatta esecuzione delle spedizioni della merce verso altri Paesi; supervisionare le spedizioni; provvedere per conto del buyer alla spedizione della merce; assistere il buyer in occasione di ogni reclamo nei confronti dei venditori; far ottenere al buyer la documentazione completa per le esportazioni e le importazioni della merce, fare ispezioni senza preavviso nei locali dei produttori al fine di verificare il rispetto delle politiche del buyer”.

E’ poi pacifico, alla luce degli scritti difensivi, che l’art. 1 della scheda contrattuale recita: “buyer hereby appoints and authorizes buying agent to act as its exlusive agent, effective as of the date hereof, with respect to purchase of…”: il che è tradotto dalla controricorrente: “Con il presente documento il buyer nomina e autorizza il buying agent ad operare come suo agente esclusivo, a partire della data del presente documento, relativamente all’acquisto di…” e dalla ricorrente: “Con il presente documento l’acquirente nomina e autorizza l’agente di acquisto ad operare come suo agente esclusivo, a partire della data del presente documento, per l’acquisto di…”. Il dibattito tra le parti sulla traduzione della locuzione “with respect to purchase of..” come “relativamente all’acquisto di” oppure “per l’acquisto di” appare del tutto vano atteso che si tratta di traduzioni equivalenti.

La ricorrente, in disparte l’identificazione testuale in contratto di Maureen Skelly Bonini s.r.l. quale buying agent, incentra la sua critica sulla violazione delle regole di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 (intenzione dei contraenti), 1363 (interpretazione complessiva delle clausole), 1369 (espressioni polisense) e sulle disposizioni regolatrici il rapporto di agenzia dettate dagli artt. 1742 e seg. (in relazione agli artt. 1655 e 1703 c.c. e alla direttiva 86/653/Cee). Sennonchè trascura che nell’interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi. La prima – riguardante la ricerca e la individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e seg.. La seconda è quella della qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione, cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma per verificare se la prima corrisponde al secondo (conf. ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5150 del 03/04/2003, Rv. 561780).

La prima fase, consistendo nell’accertamento di una realtà storica qual è la comune intenzione delle parti, è assoggettata, ai fini del controllo di legittimità, ai principi che governano i giudizi di fatto (conf. ex plurimis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1940 del 23/02/1998, Rv. 512943), che sono esclusivamente rimessi al giudice di merito al pari dell’interpretazione di ogni atto di autonomia privata (conf. ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 4116 del 24/04/1999, Rv. 525711). Ma il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda sottoposta al suo vaglio, bensì solo il controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e del cd. minimo costituzionale di struttura logica e formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito d’individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. Sez. U, Sentenze n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208 e n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

La seconda fase, invece, comporta applicazione diretta di norme giuridiche, senza che il giudice sia vincolato dal nomen juris adoperato dalle parti, e la ricostruzione così data dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità allorquando si risolva nella richiesta di una nuova valutazione dell’attività negoziale oppure nella contrapposizione di un’interpretazione della medesima a quella del giudice di merito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13399 del 22/06/2005, Rv. 582056).

Dunque, l’interpretazione del buying agency agreement, consistendo nell’accertamento di una realtà storica qual è la comune intenzione di Maureen Skelly Bonini s.r.l. e The Donna Karan Company, è assoggettata in cassazione ai principi che governano i giudizi di fatto (conf. ex plurimis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1940 del 23/02/1998, Rv. 512943), che sono esclusivamente rimessi al giudice di merito al pari dell’interpretazione di ogni atto di autonomia privata (conf. ex plurimis Cass. Sez. L, Sentenza n. 4116 del 24/04/1999, Rv. 525711).

Nella specie il tribunale ha ritenuto che la comune intenzione incardinata nel testo del buying agency agreement non mirasse allo schema tipico del contratto di agenzia e, dunque, non fosse neppure caratterizzato da quella indisponibilità dei diritti nascenti dall’art. 1751 c.c. preclusiva dell’arbitrato estero a mente della L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2.

Ha osservato, nel dettaglio, che i compiti di informazione, visita, ricerca di mercato, assistenza e consiglio, commissione e acquisto, monitoraggio, supervisione, spedizione, reclamo e documentazione – elencati all’art. 2 della scheda contrattuale – fossero qualcosa di sommamente diverso rispetto all’incarico di promuovere la conclusione di contratti (di cui all’art. 1742 c.c.) e costituente il presupposto logico e giuridico dell’agire anche in rappresentanza (ai sensi dell’art. 1752 c.c.). Ha rilevato, inoltre, che anche la remunerazione delle prestazioni pattuite non fosse di natura tipicamente provigionale essendo stato convenuto un lucroso compenso fisso annuale di 500 e poi 700 mila dollari accanto ad un corrispettivo parametrato all’ammontare degli affari conclusi. Da tutto ciò, il tribunale ha tratto il convincimento che la comune intenzione dei contraenti Maureen Skelly Bonini s.r.l. e The Donna Karan Company fosse nel senso di far confluire, promiscuamente e atipicamente, nel rapporto commerciale elementi del mandato, dell’appalto e del contratto d’opera. Sicchè, non vertendosi in tema di contratto di agenzia, in senso stretto, non operavano le norme inderogabili del codice civile italiano e la clausola d’indisponibilità dei diritti preclusiva dell’arbitrato estero. La corte territoriale, nel condividere il percorso logico e giuridico della decisione del tribunale, ha aggiunto la considerazione dell’applicabilità al rapporto della legge degli USA e dell’assenza di rilievi circa l’eventuale indisponibilità dei diritti degli agenti in quell’ordinamento.

E’ vero che nel contratto di agenzia la prestazione dell’agente consiste in atti che tendono alla promozione della conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente, purchè però sussista un chiaro nesso di causalità tra l’opera dell’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la richiesta di provvigione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6482 del 01/04/2004, Rv. 571746) e, dunque, con risultato a proprio rischio (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13629 del 24/06/2005, Rv. 582019), non incompatibile con la previsione di un minimo provento fisso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 34 del 05/01/1980, Rv. 403404) e con di un potere di stipula a mente dell’art. 1752 c.c. (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4942 del 10/10/1985, Rv. 442314).

Nella specie, in disparte i rilievi della ricorrente relativi ad altre clausole contrattuali non considerate dai giudici di merito ma non più rilevanti perchè non oggetto di censura per omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5), la clausola sub art. 1 (“buyer hereby appoints and authorizes buying agent to act as its exlusive agent, effective as of the date hereof, with respect to purchase of…”) e i compiti individuati sub art. 2 evidenziano peculiarità intenzionali esorbitanti la tipicità del contratto di agenzia. Il che ben si collega, nel ragionamento probatorio del giudice di merito, agli atipici obblighi di ricerca di mercato, di assistenza e interpretariato nei negoziati e nei reclami, di monitoraggio degli ordini, di supervisione della qualità e delle spedizioni, di documentazione degli affari e d’ispezione presso i produttori, esaminati in sentenza (sub 3, 5, 7, 11, 12, 13, 15, 16), ponendosi il tutto al di là della mera strumentalità rispetto alla promozione di affari e in stretta relazione, invece, col lucroso ed esorbitante compenso fisso annuale di 500 e poi 700 mila dollari pattuito accanto all’altro corrispettivo parametrato, invece, all’ammontare degli affari conclusi.

Dunque gli accertamenti in punto di fatto del tribunale circa le previsioni contrattuali e la loro finalizzazione alla comune intenzione delle parti si vanno a collocare nell’ambito di un giudizio di merito non rispondente alle aspettative di Maureen Skelly Bonini s.r.l., richiedenti però una difforme valutazione delle risultanze processuali, che nella specie è rispettosa di quel minimo costituzionale ritenuto, in tesi generale, il discrimine ultimo per lo scrutinio del deficit motivazionale in sede di legittimità (Cass. SU, n. 8053 del 2014, cit.), dalla ricorrente neppure invocato ma dissimulato sub specie di falsa applicazione di norme di diritto sostanziali.

Se, dunque, il rapporto intercorso tra la società italiana Maureen Skelly Bonini s.r.l. e la società statunitense The Donna Karan Company si configura diversamente dal contratto di agenzia, il limite legale alla deroga arbitrale (L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2) non sussiste, non operando l’inderogabilità della disciplina sostanziale dettata dall’art. 1751 c.c. novellato dal D.Lgs. n. 303 del 1991 in attuazione della normativa comunitaria (Cass. Sez. U, Sentenza n. 369 del 30/06/1999, Rv. 528107); il che consente la devoluzione convenzionale della vertenza ad arbitrato estero e di disattendere pure il sesto motivo.

Vale, in particolare, il riferimento della Corte territoriale alla soggezione dell’arbitrato alla legge statunitense. Infatti, secondo la clausola compromissoria, il giudizio deve avvenire “in conformità con la Legge di New York”. Secondo la L. n. 218 del 1995, art. 57 le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla convenzione di Roma del 19 giugno 1980. Questa all’art. 3 stabilisce che il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti, ma al comma 3 precisa: “La scelta di una legge straniera ad opera delle parti, accompagnata o non dalla scelta di un tribunale straniero, qualora nel momento della scelta tutti gli altri dati di fatto si riferiscano a un unico paese, non può recare pregiudizio alle norme alle quali la legge di tale paese non consente di derogare per contratto, qui di seguito denominate disposizioni imperative”. Tuttavia come si è visto, non essendovi rapporto d’agenzia, non opera l’inderogabilità della disciplina nazionale (art. 1751 c.c.) e comunitaria (artt. 17 e 19 dir. 86/653/Cee del 18.12.1986) e dunque non operano neppure le clausole di salvaguardia dell’art. 7 della convenzione di Roma (“La presente convenzione non può impedire l’applicazione delle norme in vigore nel paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto indipendentemente dalla legge che regola il contratto”) e dell’art. 5.2 della convenzione di New York del 1958 (“Il riconoscimento e l’esecuzione d’una sentenza arbitrale potranno essere negati, se l’autorità competente del paese dove sono domandati, riscontra che… l’oggetto della controversia, secondo la legge di tali paesi, non può essere regolato in via arbitrale”).

Sul punto è appena il caso di ricordare che, stante la mancanza di norme di legge nel diritto statunitense, le parti sono libere nella formulazione del rapporto commerciale e stabiliscono da sè la cornice giuridica della loro relazione negoziale mediante il contratto individuale (agreement). Sicchè possono liberamente pattuire clausole sulla competenza giurisdizionale o devolvere la controversia ad arbitri, così come è avvenuto nella fattispecie (v. in generale U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., lune 26, 1997, Campaniello Imports Ltd. vs. Saporiti Italia S.p.A.; U.S. District Court N. Y., Sept. 8, 1992, Sierra Rutile Ltd. vs. Shimon Y. Katz and others).

Pertanto il ricorso deve essere rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 10.000,00 (diecimila) per compensi ed Euro 200,00 per borsuali, oltre alle spese generali (15%) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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