Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27071 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 23/10/2019), n.27071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13723/2018 proposto da:

N.B., rappresentato e difeso dall’avv. Clementina Di Rosa, del

foro di Napoli, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in

Napoli via G.Porzio, Centro direzionale, is. G1 sc.0;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Cons. FEDERICO GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

N.B., cittadino originario del Gambia, propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, avverso il decreto del Tribunale di Campobasso che ha respinto le domande di protezione internazionale ed umanitaria proposte dal richiedente, il quale assumeva di essere fuggito dal Gambia temendo di essere perseguitato dal Governo o ucciso in conseguenza di una relazione omosessuale con un turista olandese.

Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, per la presenza di numerose contraddizioni e la mancanza di sufficiente precisione sui fatti principali posti a sostegno delle ragioni di fuga, specie con riferimento al timore di essere arrestato o maltrattato a causa del suo orientamento sessuale: il richiedente aveva potuto mantenere per tre anni la sua relazione, frequentando liberamente il turista in albergo, senza subire maltrattamenti e persecuzioni di sorta; aveva egli stesso rivelato la propria condizione, senza peraltro che fosse chiarito se ed in quali circostanze detta relazione era stata portata a conoscenza delle autorità.

Il Tribunale, inoltre, ha rilevato che la generica gravità della situazione politica del Gambia non era sufficiente ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e per la protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c).

Il Tribunale ha infine escluso la ricorrenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria, non ravvisando una concreta situazione di vulnerabilità del richiedente.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Con ordinanza interlocutoria depositata il 30 ottobre 2018 della VI-I sezione di questa Corte è stato disposta la trattazione della causa in pubblica udienza, in considerazione della rilevanza e peculiarità delle questioni sottese alla sua decisione, avuto riguardo in particolare alla mancata audizione del richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 come modificato dal D.L. n. 13 del 2017.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, deducendo la nullità del decreto, in quanto il Tribunale pur non essendo stata disposta la videoregistrazione dell’audizione del richiedente innanzi alla Commissione, ha rigettato l’istanza di audizione del richiedente ai sensi dell’art. 35 bis, comma 11, lett. a) e c).

Il ricorrente si duole, inoltre, del fatto che il Tribunale non abbia considerato che nell’atto introduttivo del giudizio egli aveva “meglio specificato i fatti di causa, aggiungendone altri, contestualizzandoli”.

Il motivo è infondato.

Va anzitutto rilevato che nel caso di specie l’udienza è stata fissata e si è tenuta l’1 marzo 2018, e nel corso di tale udienza – come si evince dalla motivazione del decreto – il Tribunale ha acquisito ed esaminato il verbale dell’audizione presso la Commissione territoriale, nella quale il richiedente ha reso ampie dichiarazioni, riportate nel secondo motivo di ricorso. Il ricorrente non ha, inoltre, indicato – in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) – i fatti nuovi che avrebbe allegato in ricorso e le eventuali integrazioni e precisazioni di quelli in precedenza allegati, ai quali si è limitato a fare un riferimento del tutto generico.

Orbene, secondo il consolidato indirizzo più volte ribadito da questa Corte, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti la nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso, per inidoneità del procedimento a consentire il pieno dispiegamento del contraddittorio, salvo che non sia stato lo stesso richiedente ad aver visto accolta la propria istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione; l’obbligatorietà della fissazione dell’udienza di comparizione, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, non comporta automaticamente la necessità di dar corso alla audizione del richiedente (cfr. Cass., 5/07/2018, n. 17717; Cass., 13/12/2018, nn. 32318 e 32319; Cass., 31/01/2019, n. 2817).

Tale arresto è pienamente conforme alla giurisprudenza comunitaria, la quale, pronunciandosi in ordine all’interpretazione della direttiva 2013/32/CE del 26 luglio 2013, artt. 12, 14, 31 e 46, ha precisato che l’obbligo di consentire al richiedente di sostenere un colloquio personale, prima di decidere sulla domanda di protezione internazionale, grava esclusivamente sull’autorità incaricata di procedere all’esame della stessa e non si applica pertanto nei procedimenti d’impugnazione, in quanto l’obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, imposto al giudice competente dall’art. 46, par. 3, della direttiva, dev’essere interpretato tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura d’impugnazione e quella di primo grado che la precede, nel corso della quale dev’essere consentito al richiedente di sostenere il colloquio personale, con la conseguenza che il giudice può decidere di non procedere all’audizione nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale svoltosi in occasione del procedimento di primo grado (cfr. Corte di Giustizia UE, 26/07/2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko) (Cass. 2817/2019).

L’esigenza di audizione dell’istante non sussiste, a maggior ragione, nel caso in cui ci si trovi in presenza di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata in relazione agli stessi presupposti di fatto dedotti ai fini del riconoscimento della protezione (Cass. 3029/2019; Cass. 5973/2019).

Nel caso di specie, il Tribunale (p. 1) ha ritenuto manifestamente infondata la domanda (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 ter, comma 1, lett. a), per avere il richiedente sollevato questioni che non hanno alcuna rilevanza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007.

Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione delle norme in materia di status di rifugiato e protezione sussidiaria, per avere il tribunale omesso di dare rilievo alla condizione di omosessuale del richiedente, il quale aveva specificamente dedotto di aver subito, a causa del proprio orientamento sessuale, violenze, trattamenti degradanti e disumani, oltre al concreto rischio di subire, in caso di rientro nel paese di origine, conseguenze di natura penale.

Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al mancato riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, avuto riguardo alla giovane età, all’avvenuta integrazione nel paese d’accoglienza ed alle molteplici criticità del paese di origine.

Il quarto motivo denuncia la carenza assoluta e l’illogicità della motivazione per avere il giudice del tutto omesso di indagare sulla effettiva situazione del Gambia e sula violazione ivi sussistente dei diritti fondamentali, avuto riguardo in particolare alla condizione dei soggetti appartenenti alla comunità omosessuale.

Il secondo e quarto motivo sono fondati.

L’orientamento sessuale del richiedente (nella specie, l’omosessualità) costituisce, invero, fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale” la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), costituisce ragione di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello “status” di rifugiato, pur se dedotta per la prima volta solo davanti al tribunale (Cass. 27437/2016).

Orbene, in tema di protezione internazionale del cittadino straniero, la dichiarazione del richiedente di avere intrattenuto una relazione omosessuale, ove la valutazione circa la mancanza di credibilità del dichiarante, secondo i parametri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 si sia fondata esclusivamente su circostanze di dettaglio, che non inficino la credibilità sostanziale della narrazione dei fatti, impone al giudice del merito la verifica, anche officiosa, delle conseguenze che la scoperta di una tale relazione determina secondo la legislazione del Paese di provenienza dello straniero, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Ed invero, qualora – come nel caso di specie – un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come un reato, questo costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo (Cass. 26969/2018; Cass. 2875/2018, con riferimento proprio al Gambia, Paese nel quale l’omosessualità è punita con pene gravissime).

E’ ben vero che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è, tuttavia, censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (Cass. 3340/2019).

Nel caso di specie, il Tribunale non ha affermato la mancanza di credibilità della narrazione del richiedente sul nucleo centrale, costituito dalla sua condizione di omosessuale, ma l’ha piuttosto ritenuta non credibile in relazione alla sussistenza di un effettivo pericolo di essere arrestato o sottoposto a trattamenti inumani o degradanti per il suo orientamento sessuale; tale valutazione di scarsa credibilità è stata però desunta, in buona sostanza, dalla sola circostanza che il richiedente aveva frequentato il compagno per tre anni in un albergo, senza aver subito ritorsioni di sorta.

Ora, l’argomento dal quale il Tribunale ha tratto la mancanza di credibilità in relazione al concreto rischio di persecuzione non può ritenersi decisivo, tenuto conto del fatto che il ricorrente aveva riferito che la sua frequentazione era limitata ad un circoscritto periodo dell’anno.

La motivazione sul punto è dunque del tutto carente ed in ogni caso, come già evidenziato, la valutazione di scarsa credibilità non investe la condizione di omosessualità del richiedente.

La sentenza impugnata, non considera, di contro, quali fatti decisivi per la controversia, le allegazioni dell’istante – contenute nell’atto introduttivo del giudizio, trascritto nel ricorso – secondo cui l’omosessualità in Gambia è punita come reato, con pene che possono arrivare fino all’ergastolo, nonchè dei fatti – desumibili dalle fonti internazionali citate dall’istante (portale del Ministero degli Esteri, rapporto di Amnesty International), secondo cui l’omosessualità è ancora un reato in Gambia, nonostante il cambiamento di presidente, e che tale reato è punito con pene severissime.

In relazione a tali allegazioni, precise e dettagliate, il Tribunale avrebbe dovuto attivare il dovere di cooperazione istruttoria, piuttosto che dar rilievo alla circostanza, in sè non decisiva, per le considerazione sopra evidenziate, del protrarsi per tre anni della relazione omosessuale del richiedente.

L’accoglimento del secondo e quarto motivo assorbe l’esame del terzo motivo, relativo alla protezione umanitaria.

PQM

la Corte rigetta il primo motivo.

Accoglie il secondo e quarto motivo; assorbito il terzo.

Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, al tribunale di Campobasso in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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