Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27070 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 23/10/2019), n.27070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24650/2018 proposto da:

E.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via G Marcora

18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Dalla Bona Roberto;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 669/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2019 da Dott. SCORDAMAGLIA IRENE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 9 marzo 2018, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del Tribunale della stessa città del 28 luglio 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da E.N., cittadino nigeriano proveniente dalla regione di (OMISSIS), contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, quantomeno sub specie di protezione umanitaria.

A fondamento della decisione la Corte territoriale ha addotto che il timore, allegato dall’appellante, di essere ucciso, in caso di rimpatrio, dalle stesse persone che avevano assassinato il padre, benestante professore di religione in una scuola privata, che non aveva pagato un’esosa somma di denaro (pari a Euro 5.000,00) richiestagli a titolo estorsivo, era stato affidato a dichiarazioni del tutto inattendibili – giudicate come tali sia da parte della Commissione territoriale che dal Tribunale – delle quali, con i motivi di gravame, non erano stati chiariti i profili di vaghezza, contraddittorietà e inverosimiglianza, ricadenti su aspetti fondamentali della vicenda narrata: lo stato di agiatezza della famiglia in contrasto con il modesto stipendio percepito da un professore; la mancata denuncia dell’omicidio alle forze dell’ordine, apoditticamente indicate come corrotte; la fuga dalla Nigeria lo stesso giorno della morte del padre, grazie alla somma messagli a disposizione della madre, lasciando il resto della famiglia in balia dei criminali autori del fatto di sangue. In aggiunta la Corte medesima ha sottolineato che l’appellante, quanto alla richiesta di protezione sussidiaria avanzata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) nulla aveva dedotto in senso contrario rispetto all’esclusione da parte del Tribunale dell’esistenza nell'(OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata e generalizzata e, quanto alla richiesta di protezione umanitaria, neppure aveva allegato alcunchè in ordine ad una sua specifica situazione di vulnerabilità.

2. Il ricorso per cassazione è affidato a tre motivi, che denunciano:

I. la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 per non avere la Corte territoriale esaminato le dichiarazioni del richiedente alla stregua dello schema legale prefissato dal legislatore ed esercitato i propri poteri di integrazione probatoria officiosa rispetto ai fatti allegati dal richiedente;

II. Il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 6 per avere la Corte territoriale omesso di esercitare i propri poteri di integrazione istruttoria officiosa approfondendo il tema della situazione di violenza indiscriminata esistente in Nigeria;

III. il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale fondato il diniego della protezione umanitaria sul rilievo di scarsa credibilità soggettiva del richiedente omettendo di attivare, comunque, i propri doveri di implementazione istruttoria, obliterando, in tal guisa, anche il principio di non refoulement che vieta il rimpatrio dello straniero che rischi, nel suo paese di origine, di incorrere in gravi violazioni dei diritti umani.

3. L’intimato Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. I primi due motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente, deducendo questioni che si riferiscono al controllo sull’operato del giudice di merito chiamato a pronunciarsi sull’esistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Le formulate censure sono, tuttavia, inammissibili.

1.1. I rilievi che attingono il tema della credibilità del richiedente in relazione a tale forma di protezione secondaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) sono privi di decisività, posto che, secondo l’ermeneusi di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente prescinde dalla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 1 -, Ordinanza n. 14283 del 24/05/2019, Rv. 654168 – 01): ciò perchè il requisito della individualità della minaccia grave alla vita o alla persona di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è subordinato, in conformità alle indicazioni della Corte di Giustizia UE (sentenza 17 febbraio 2009, in C-465/07), vincolante per il giudice di merito, alla condizione che il richiedente fornisca la prova che egli vi è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, in quanto la sua esistenza può desumersi anche dal grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, da cui dedurre che il rientro nel Paese d’origine determinerebbe un rischio concreto per la vita del richiedente (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16202 del 30/07/2015, Rv. 636614 01).

Ne viene che, una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente e, al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17069 del 28/06/2018, Rv. 649647 – 01; Sez. 6 – 1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, Rv. 634949 – 01).

Tanto richiamato, va dato atto che il rilievo di ricorso, che si appunta sul mancato esercizio da parte del giudice censurato del dovere di cooperazione istruttoria, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3 e art. 27 in ordine alla situazione di violenza generalizzata esistente nella regione nigeriana dell'(OMISSIS), è, tuttavia, generico, posto che omette di confrontarsi specificamente con l’affermazione contenuta in sentenza secondo la quale sull’inesistenza di una violenza generalizzata nell'(OMISSIS), ritenuta dal Tribunale, la difesa dell’appellante non aveva sviluppato alcuna contraria deduzione (pag. 7, 2 capoverso).

2. Del pari generico è il motivo che insiste sulla situazione di vulnerabilità del ricorrente, richiedente la protezione umanitaria, mediante l’allegazione delle traversie da questi vissute nella fuga dalla Nigeria e della condizione di grave violazione dei diritti umani colà esistente, trattandosi di circostanze inidonee ad integrare, quantomeno in ragione della loro astrattezza, i presupposti della misura invocata.

4. S’impone, dunque, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla è dovuto a titolo di spese. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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