Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27067 del 03/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27067 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 27177-2010 proposto da:
PARADISO FEDELE C.F. PRDFDL37S01H501S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo
studio degli avvocati BERTOLONE BIAGIO e DE GREGORIO
CORRADO, che lo rappresentano e difendono giusta

I

delega in atti;
– ricorrente –

2013
3067

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (C.F. 01165400589),
in persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 03/12/2013

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati ROSSI ANDREA,
ARNALDO COLAIOCCO, MORAGGI DONATELLA, che lo
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controri corrente –

di ROMA, depositata il 18/11/2009 r.g.n. 7459/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato ROSSI ANDREA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

/ z
/

avverso la sentenza n. 1704/2009 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Roma, Paradiso Fedele, dipendente dell’INAIL con

del d.P.R. n. 43 del 1990, una polizza con la soc. Assicurazioni Generali per la
copertura assicurativa del personale dell’Istituto centrale comandato in missione
fuori della sede abituale di lavoro ed autorizzato a servirsi del proprio mezzo di
trasporto; che, durante il percorso di rientro da un sopralluogo presso
un’impresa, era venuto a diverbio con un automobilista dopo una collisione tra
gli autoveicoli e in tale contesto aveva subito un’aggressione fisica, riportando
lesioni personali; che aveva presentato domanda per ottenere il risarcimento in
base alle previsioni della polizza assicurativa, ma la richiesta era stata respinta;
che ciò era imputabile al tardivo inoltro della richiesta da parte dell’INAIL alla
Società assicuratrice; che se l’Istituto avesse provveduto a tale adempimento
entro il termine fissato dall’art. 9 delle condizioni generali della polizza, l’evento
sarebbe stato indennizzato; che, conseguentemente, l’Istituto era tenuto a
risarcirgli il danno biologico per inadempimento contrattuale.
In primo grado la domanda veniva accolta. A seguito di gravame proposto
dall’INAIL, la sentenza era riformata dalla Corte di appello di Roma che, con
sentenza pubblicata il 18 novembre 2009, respingeva la domanda sulla base delle
seguenti considerazioni:
– erano nuove, e dunque inammissibili ex art. 437 cod. proc. civ., le deduzioni ed
allegazioni introdotte in appello relative alla non conformità del contratto di
assicurazione alle previsioni di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 43 del 1990;

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Udienza del 29 ottobre 2013
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funzioni di ispettore, esponeva che l’Istituto aveva stipulato, ai sensi dell’art. 9

- secondo le condizioni particolari della polizza (art. 9), la denuncia
dell’infortunio doveva essere fatta dall’INAIL entro trenta giorni lavorativi dalla
conoscenza dell’evento e comunque non oltre sessanta giorni dalla data

– per rendere possibile l’inoltro della denuncia da parte dell’INAIL, occorreva
dunque che il lavoratore, quale unico soggetto a conoscenza dei fatti, si attivasse
per portare l’Istituto a conoscenza dell’infortunio e delle sue modalità;
– nella specie, ciò era avvenuto solo in data 18 agosto 1999, quando era già
completamente decorso il termine di decadenza di sessanta giorni dall’evento,
occorso il 29 gennaio 1999; né la conoscenza dei fatti poteva trarsi dalla mera
circostanza della assenza dal lavoro del dipendente, comunicata per una diversa
causale (malattia); non era, dunque, addebitabile all’Istituto il ritardo con il quale
la denuncia dell’infortunio venne inoltrata alla soc. Assicurazioni Generali;
– l’infortunio non era comunque neppure riconducibile alla copertura
assicurativa della polizza, la quale era limitata agli infortuni occorsi al
conducente mentre il veicolo è in marcia o fermo per la ripartenza o comunque
agli infortuni strettamente connessi alla guida del veicolo; nel caso di specie il
Paradiso era stato indagato, unitamente alla persona che egli aveva definito suo
aggressore, per il reato di cui all’art. 588 cod. pen., e dagli atti risultava essere
avvenuta una colluttazione per motivi di viabilità in occasione della quale
entrambi i contendenti avevano riportato delle lesioni;
– era evidente che la copertura assicurativa, al di là di qualsiasi interpretazione
ampia che potesse darsi alla clausola contrattuale, considerata la ratio di cui al
d.P.R. n. 43 del 1990, non poteva logicamente ricomprendere lesioni

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dell’evento medesimo;

conseguenti a fatti volontari, anche di possibile rilievo penale, estranei
totalmente alla prestazione lavorativa e finanche alla “guida del veicolo”.
Per la cassazione di tale sentenza Paradiso Fedele propone ricorso, affidato a

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di legge in
relazione agli artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 cod. civ., artt. 1175, 1176 e 1218 cod.
civ., art. 1 delle disposizioni sulla legge in generale, art. 1173 cod. civ., art. 116
cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), nonché vizio di motivazione (art.
360 n. 5 cod. proc. civ.), per avere la Corte di appello ravvisato a carico del
lavoratore insussistenti oneri di comunicazione, in alcun modo previsti dal
contratto di assicurazione, che invece contemplava specifici adempimenti a
carico dell’INAIL per la formulazione e l’inoltro della denuncia di infortunio alla
compagnia assicuratrice.
Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione di legge (art. 360
n. 3 cod. proc. civ.), in relazione agli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1370 cod.
civ., artt. 112, 115 e 329 cod. proc. civ. e agli artt. 1900, 1917 e 2697 cod. civ.,
nonché per vizio di motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), nella parte in cui
era stato escluso che l’infortunio potesse essere ricompreso nella garanzia
assicurativa, con giudizio che aveva travalicato i limiti segnati dall’appello
proposto dall’INAIL; tale argomentazione aveva violato il principio del tantum
devolutum quantum appellatum (art. 112 cod. proc. civ.) ed aveva interessato una
questione coperta da giudicato interno (art. 329 cod. proc. civ.). In ogni caso, era
stata erroneamente interpretata la clausola contrattuale che, facendo riferimento

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tre motivi. Resiste l’INAIL con controricorso.

agli infortuni subiti “in relazione alla guida del veicolo”, alludeva a qualsiasi
evento comunque riconducibile all’uso della autovettura per motivi di servizio o

Con il terzo motivo si censura la sentenza contemporaneamente per omessa
pronuncia (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) e per omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). Sostiene il ricorrente
che, ove pure si ritenesse insussistente una responsabilità dell’Istituto in forza
del contratto di assicurazione, nondimeno dovrebbe affermarsi tale
responsabilità per violazione dell’art. 9 d.P.R. n. 43/90. Tale norma prevede che
gli enti pubblici hanno l’obbligo di garantire ai dipendenti, autorizzati ad
utilizzare la propria autovettura per finalità di servizio, il ristoro delle lesioni non
coperte dall’assicurazione obbligatoria di terzi e a tal fine devono stipulare
apposita polizza assicurativa in favore di detti dipendenti al fine di coprire non
solo i danni subiti in occasione della guida del veicolo, ma anche quelli
occasionati dall’uso del veicolo; ove la polizza stipulata dall’Ente pubblico
escluda illegittimamente dalla garanzia assicurativa talune fattispecie riconducibili
a tale uso, l’Ente medesimo è tenuto a risarcire direttamente i danni subiti dal
proprio dipendente.
Preliminarmente, deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso
sollevata dall’INAIL per carenza dello ius posulandi in capo all’avv. Achille
Santoro, destinatario della notificazione del ricorso per cassazione. Come
documentato da certificazione allegata al controricorso, era venuto meno,
anteriormente alla notificazione del ricorso, sia il rapporto di servizio con
l’Istituto, sia l’iscrizione dell’avv. Santoro nell’elenco speciale, ex art. 3, quarto

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comunque occasionato dalla guida del veicolo.

comma, R.D.L. n. 1578/1933, conv. con legge n. 36/1934 e modificato dalla
legge n. 1949/1939.

Il Collegio condivide l’orientamento espresso nei precedenti di questa Corte
richiamati dall’Istituto controricorrente, secondo cui gli avvocati dipendenti da
enti pubblici ed iscritti nell’albo speciale annesso all’albo professionale sono
abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente
presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di
impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere e/o a ricevere
atti processuali relativi alle cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno
dello “ius postulandi” per una causa equiparabile a quelle elencate dall’art. 301
cod. proc. civ., a nulla rilevando l’eventuale formale permanenza dell’iscrizione
nell’albo speciale (Cass. n.21048 del 2007, n.3143 del 1999).
Ciò posto, si pone l’ulteriore questione di stabilire se la notificazione
effettuata al difensore privo dello ius postulandi sia affetta da inesistenza o da
nullità sanabile con la rinnovazione ex art. 291 cod. proc. civ. o con la
costituzione della parte in giudizio.
Secondo l’orientamento prevalente di questa Corte – qui condiviso – la
notificazione al procuratore domiciliatario nel precedente grado di giudizio, ma
nelle more cancellato dall’albo professionale, in quanto eseguita nei confronti di
persona avente un collegamento con il soggetto destinatario dell’atto, è affetta
non da inesistenza, bensì da nullità sanabile “ex tunc” per effetto della sua
rinnovazione, disposta ai sensi dell’articolo 291 cod. proc. civ. o eseguita
spontaneamente dalla parte, ovvero a seguito della costituzione del suo
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L’eccezione è infondata.

destinatario (Cass. n. 11623 del 2003, n. 27450 del 2005, n.6868 del 2009, n.
9528 del 2009, n. 9528 del 2009, n. 10464 del 2011, n.10301 del 2012, n. 12478
del 2013, nonché S.U. n. 10817 del 2008). E’ stato, infatti, osservato che l’ipotesi

del tutto o sia effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa,
tale, cioè, da impedire che possa essere assunta nel modello legale della figura,
mentre si ha mera nullità allorché la notificazione sia stata eseguita, nei confronti
del destinatario, mediante consegna in luogo o a soggetto diversi da quelli
stabiliti dalla legge, ma che abbiano pur sempre un qualche riferimento con il
destinatario medesimo. Conseguentemente, la notificazione della impugnazione
al procuratore domiciliatario nel precedente grado del giudizio ma nelle more
cancellato dall’albo, in quanto eseguita nei confronti di persona collegabile al
destinatario, è affetta non da giuridica inesistenza bensì da nullità sanabile ex tune
per effetto della sua rinnovazione, disposta ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. o
eseguita spontaneamente dalla parte.
Possono segnalarsi, nel contesto di tale orientamento, alcune pronunce di
questa Corte afferenti a fattispecie analoghe alla presente. Con la sentenza n.
11623 del 2003 è stata disattesa l’eccezione di inammissibilità di un ricorso per
cassazione notificato dopo la scadenza del termine utile per la proposizione del
gravame alla parte personalmente ad opera del ricorrente che aveva di sua
iniziativa rinnovato la notifica del ricorso già effettuata una prima volta,
tempestivamente, presso il domicilio eletto ove il procuratore indicato,
cancellatosi dall’albo dopo la conclusione del giudizio di secondo grado, si era
ricevuto l’atto notificando.

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della inesistenza giuridica della notificazione ricorre quando quest’ultima manchi

Nella ipotesi esaminata dalla Corte con la sentenza n. 11529 del 14 maggio
2013, la notificazione del ricorso in appello era stata effettuata nei confronti di
un avvocato già in pensione e non più iscritto all’albo speciale e la corte di

discussione, per consentire all’INPS, parte appellata costituitasi tardivamente in
giudizio, di integrare le proprie difese anche mediante proposizione di appello
incidentale; nel confermare la sentenza di merito, è stato affermato il principio
secondo cui gli avvocati e procuratori dipendenti di enti pubblici, iscritti
nell’albo speciale annesso all’albo professionale, sono abilitati al patrocinio
esclusivamente per le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la
loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la
mancanza di legittimazione a compiere e ricevere atti processuali relativi alle
cause proprie dell’ente, comporta il totale venir meno dello “ius postulandi”, con
l’ulteriore conseguenza che le notificazioni necessarie, ed in particolare quelle
delle impugnazioni, devono essere fatte alla parte personalmente (v. pure, Cass.
n. 19225 del 2011).
Può dunque affermarsi che, anche nel caso di cessazione dell’avvocato dal
rapporto di impiego, sussiste un qualche riferimento con l’ente pubblico dal
quale il difensore dipendeva e che la notificazione, anche se non idonea a
produrre in modo definitivo gli effetti propri del tipo di atto, integra un’ipotesi
di nullità sanabile ex tunc per effetto della sua rinnovazione, disposta ai sensi
dell’art. 291 cod. proc. civ., o eseguita spontaneamente dalla parte, ovvero a
seguito della costituzione del suo destinatario.

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merito, rilevata la nullità della notifica, aveva fissato una nuova udienza di

Nel caso di specie, la sanatoria è avvenuta mediante la costituzione in giudizio
dell’INAIL, che ha pure spiegato le sue difese in ordine ai motivi del ricorso

I motivi di ricorso sono comunque inammissibili.
Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza impugnata non ha
affermato che dal contratto di assicurazione derivava un onere di denuncia a
carico del lavoratore, ma che non poteva configurarsi alcuna responsabilità in
capo all’INAIL per il tardivo inoltro della denuncia, poiché l’Istituto non era
stato posto a conoscenza dell’infortunio entro un termine utile per il successivo
inoltro della richiesta; infatti l’interessato aveva informato l’Istituto solo il 18
agosto 1999, quando ormai era ampiamente decorso il termine fissato nel
contratto di assicurazione per la denuncia dell’infortunio.
La denuncia di vizio di motivazione, peraltro formulata promiscuamente a
quella di violazione di legge, senza una chiara distinzione delle censure, non
precisa le ragioni per le quali la riferita soluzione interpretativa dovrebbe essere
insufficiente o contraddittoria, tendendo ad opporre, alle logiche spiegazioni
fornite dalla Corte territoriale, coerenti con le acquisizioni istruttorie di cui si dà
conto, una diversa interpretazione, peraltro attraverso una errata lettura del
tenore stesso delle argomentazioni svolte dal giudice di merito.
E’ stato ripetutamente affermato da questa Corte, che il ricorso per cassazione,
con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a
norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve contenere – in ossequio al disposto dell’art.
366 c.p.c., n. 4 che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità
sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle
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avversario.

argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato,
ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di
giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la

incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi.
Il secondo motivo involge un diverso – e concorrente – ordine di
argomentazioni svolto dalla Corte territoriale, vertente sull’interpretazione del
contenuto delle clausole contrattuali, con specifico riferimento agli eventi
protetti e coperti dalla garanzia assicurativa.
Al riguardo deve premettersi che, stante l’infondatezza (rectius, inammissibilità)
del motivo vertente sul primo ordine di considerazioni, idoneo a sorreggere
autonomamente la decisione, in alcun modo il secondo potrebbe condurre
all’accoglimento dell’impugnazione. E’ stato già affermato da questa Corte che,
qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro
distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e
giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle

raiz’ ones

decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure
relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto
queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta
definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 14 febbraio
2012, n. 2108).
Ulteriori profili di inammissibilità inficiano il secondo, come pure il terzo
motivo.

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mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta

Nel secondo si denuncia il vizio di ultrapetizione per avere la Corte
pronunciato su una questione non devoluta alla sua cognizione, ed anzi coperta
da giudicato interno, non avendo l’Istituto riproposto in appello le censure

stipulato tra l’INAIL e la soc. Assicurazioni Generali. Tuttavia, occorre
osservare che, diversamente da quanto affermato dall’attuale ricorrente, risulta
dalla sentenza impugnata (v. parte narrativa) che era stata riproposta in secondo
grado dall’INAIL la questione della insussistenza del diritto in base alle
condizioni particolari della polizza; l’ambito del devolutum è indicato come esteso
anche alla questione dell’errata interpretazione che il giudice di primo grado
aveva dato del contenuto del contratto di assicurazione. La censura proposta dal
ricorrente per cassazione muove da una premessa errata, quella di un
travalicamento dei limiti dell’impugnazione, mentre la sentenza impugnata aveva
chiaramente espresso che il punto era stato investito dall’impugnazione e
devoluto alla cognizione del giudice del gravame.
Anche in ordine alla denunciata violazione dei canoni di ermeneutica
contrattuale, il ricorso risulta lacunoso, in quanto, al di là della generica
elencazione delle norme di legge contenuta nella rubrica del motivo, non è
indicato in quale passaggio argomentativo la sentenza si sia posta in difformità
dai suddetti canoni e/o abbia motivato in modo contraddittorio o illogico.
Va ricordato che in tema di interpretazione del contratto, riservata al giudice
del merito – le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per
violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione
– al fine di far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di

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venenti sulla esclusione dell’evento dalla copertura assicurativa del contratto

specificità ed autosufficienza del ricorso, deve riportare il testo integrale della
regolamentazione pattizia del rapporto nella sua originaria formulazione, o della
parte in contestazione, precisare quali norme ermeneutiche siano state in

di merito se ne sia discostato.
Il terzo motivo presenta una intrinseca contraddittorietà in quanto, da un lato,
prospetta un omesso esame di un capo di domanda (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.) e dall’altro lamenta l’omessa o
insufficiente motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Come osservato da questa Corte nella sentenza n. 15882 del 2007, la
cumulativa censura di risolve in una sovrapposizione di mezzi d’impugnazione
eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360,
primo comma, cod. proc. civ., tra loro incompatibili, quali quella della omessa
pronuncia, che suppone non esaminata la domanda, e quella del vizio di
motivazione, che suppone che tale esame sia avvenuto, censurandone invece il
relativo accertamento per avere il giudice di merito insufficientemente o
erroneamente motivato l’apprezzamento dei fatti rilevanti. L’esposizione
cumulativa delle questioni, oltre ad essere logicamente incompatibile, finisce per
rimettere al giudice di legittimità il compito di ricercare la censura utilizzabile
allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il
compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine
di decidere successivamente su di esse.
A prescindere dalla inammissibile sovrapposizione di censure tra loro
incompatibili, deve rilevarsi che la Corte di appello non ha omesso di esaminare

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Udienza del 29 ottobre 2013
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concreto violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice

alcune delle domande proposte, ma ha ritenuto nuove le domande prospettate,
osservando che l’unica ragione addotta a fondamento dell’avanzata domanda
risarcitoria era l’asserito inadempimento dell’INAIL all’obbligo di tempestivo

inammissibili sia le allegazioni contenute nella memoria di costituzione
depositata in appello, relative ad una asserita violazione dell’art. 9 d.P.R. n.
43/90 “per inidonea formulazione del contratto di assicurazione” ovvero “per
eventuale arbitraria limitazione assicurativa”, sia la dedotta violazione dell’art.
2087 cod. civ., invocata senza che fosse stata allegata né dimostrata
un’omissione riferibile all’obbligo di sicurezza.
Nel ricorso per cassazione ci si limita ad affermare che in primo grado era stata
prospettata anche una responsabilità derivante direttamente dall’inosservanza
dell’art. 9 d.P.R. n. 43/90, senza tuttavia dare conto dei termini attraverso i quali
tale domanda sarebbe stata proposta, né dell’esito della stessa nel giudizio di
primo grado, né dei termini della sua riproposizione in appello, non potendo
soddisfare tale onere di specificazione la frammentaria trascrizione di parti di
atti, selezionate dal ricorrente secondo il proprio apprezzamento, da cui non è
dato comprendere l’ iter processuale relativo a tale capo di domanda.
Il requisito di autosufficienza deve essere osservato pure nel caso in cui siano
dedotti errores in procedendo. In tale ipotesi la Corte di legittimità diviene anche
giudice del fatto (processuale) ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere
direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali; tuttavia, si
prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità
del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che,
solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa
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– 12 –

inoltro, alla compagnia assicuratrice, dell’istanza risarcitoria. Ha dunque ritenuto

;

possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente
nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve
procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali

Specificamente, l’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. richiede l’esposizione sommaria
dei fatti della causa, la quale è concretamente richiesta — appunto in virtù del
principio dell’autosufficienza — nei limiti in cui è necessaria (senza ricorrere ad
altre fonti) per consentire di rendersi conto delle censure sollevate (cfr. Cass. 21
luglio 2004 n. 13550; conf. Cass. 15 aprile 2005 n. 7863, 29 novembre 2005 n.
26046; S.U. 18 maggio 2006 n. 11653, Cass. 19 ottobre 2006 n. 22385).
Per tali assorbenti motivi, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sulla base del D.M. n. 140 del
2012 e delle tabelle ad esso allegate, che si applica alle controversie pendenti alla
data della sua approvazione, vanno liquidate in Euro 2.000,00 per compensi
professionali e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi e in
Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

(Cass. n. 1221 del 2006, conf., da ultimo, Cass. 17 gennaio 2012 n. 539).

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