Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27065 del 15/12/2011

Cassazione civile sez. I, 15/12/2011, (ud. 08/07/2011, dep. 15/12/2011), n.27065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria

2, presso l’aVV. Alfredo Placidi, rappresentato e difeso dall’avv.

CICCARELLI Domenico, per procura in atti;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA “U CUZZET” s.r.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Valadier 48, presso l’avv. Giuseppe Raguso, rappresentata e difesa

dall’avv. CAGGIANO Antonio per procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 581/2007 del 23

maggio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

luglio 2011 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

udito, per il ricorrente, l’avv. Domenico Ciccarelli che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale,

Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo dichiararsi

inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 17699 del 21 novembre 2003 la Corte di cassazione annullava con rinvio la sentenza del 22 marzo 2001, con la quale la Corte di appello di Bari aveva confermato la decisione del Tribunale di Bari in data 17 maggio 1997, che aveva rigettato la domanda proposta da R.G., socio della società cooperativa edilizia “U Cuzzet”, volta alla dichiarazione di nullità della delibera del consiglio di amministrazione di detta cooperativa, che aveva disposto la esclusione del R. a causa di una morosità di L.. 9.097.745.

In particolare la Corte di legittimità rilevava una carenza di motivazione in relazione al rigetto delle istanze probatorie del R. e in ordine al valore probatorio attribuito dalla Corte di merito alla mancata indicazione nei libri contabili della somma di L. 9.000.000, che il R. aveva sostenuto di aver corrisposto alla cooperativa a mezzo di cambiali senza l’indicazione del beneficiario.

2. Riassunta la causa dalla società appellata, la Corte di appello di Bari – definitivamente pronunciando, in diversa composizione, nel giudizio di rinvio – con sentenza del 23 maggio 2007 rigettava l’appello del R., confermando integralmente la sentenza di primo grado.

La Corte di appello, a sostegno della decisione, dopo aver dato atto di aver sottoposto a riesame critico tutto il materiale probatorio acquisito, ritenendo che fosse necessario non solo l’assunzione delle prove orali reiteratamente richieste dal R., ma anche chiarire alcuni aspetti oscuri della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, così motivava:

– l’espletamento delle prove orali richieste dall’appellante aveva dato esito per lui sfavorevole, essendo risultato che le somme corrisposte a mezzo di cambiali dal R. non costituivano il saldo di un debito della cooperativa, come sostenuto dal socio, ma rappresentavano il corrispettivo di miglioramenti da lui richiesti nel suo appartamento;

– le contestazioni mosse alle conclusioni raggiunte dalla espletata consulenza tecnica d’ufficio, anche alla luce dei chiarimenti forniti, erano prive di fondamento, dovendosi altresì tener conto della contraddizione in cui l’appellante era caduto, da un lato affermando di aver saldato il debito della cooperativa con cambiali prive dell’indicazione del beneficiario, così implicitamente riconoscendo il proprio debito, e dall’altro contestando le risultanze contabili su cui il credito stesso si era fondato.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il R. sulla base di due motivi, a cui resiste la cooperativa “U Cuzzet” con controricorso.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la sentenza sia redatta con motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione da parte della Corte di appello delle prove orali espletate, che non sarebbero state valutate alla luce delle risultanze documentali in atti. La censura è inammissibile.

Il R., prospettando vizi della motivazione della sentenza impugnata, ha formulato censure – comunque attinenti al merito della controversia e alla valutazione delle risultanze probatorie da parte dei giudici di appello – che non contengono (come richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis essendo stato il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pubblicata il 23 maggio 2007) la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità e da evitare che all’individuazione di detto fatto controverso possa pervenirsi solo attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.U. 2007/20603; Cass. 2007/16002; 2008/8897).

Il ricorrente, inoltre, ha dedotto genericamente sia la mancanza, che l’insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione, in violazione dell’obbligo di formulare le censure (e quindi anche i quesiti di diritti e i momenti di sintesi ex art. 366 bis c.p.c.) in modo rigoroso e preciso, secondo le regole di chiarezza indicate dall’art. 366 bis c.p.c. (Cass. 2008/9470), evitando doglianze multiple e cumulative (Cass. 2008/5471), così da non ingenerare incertezze in sede di formulazione e di valutazione della loro ammissibilità (Cass. 2008/2652).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2709, 2214, 2219 e 2220 c.c., e si muovono censure alla consulenza tecnica d’ufficio. Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Il giudicante ha osservato il valore di piena prova contro la cooperativa edilizia U Cuzzet di quanto risulta dalle scritture ex art. 2214 c.c., e dalle altre scritture, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2709?”.

Il motivo è inammissibile. La doglianza – con la quale, comunque, si contestano nel merito le conclusioni a cui è pervenuto il consulente tecnico d’ufficio e alle quali vengono contrapposte le differenti valutazioni del consulente di parte, ritenute preferibili dal ricorrente, secondo un iter logico-giuridico non consentito nel giudizio di legittimità – è illustrata con un quesito di diritto, formulato ex art. 366 bis c.p.c., che si risolve nel mero e generico interpello della Corte – non ancorato agli elementi di fatto sottoposti al giudice del merito, non richiamati nel quesito stesso (Cass. 2008/19769) – in ordine alla sussistenza delle violazioni di legge dedotte con la proposta censura, ma non contiene la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito e della diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. S.U. 2008/2658;

Cass. 2008/19769; 2008/24339). Il quesito formulato dal ricorrente non consente pertanto di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Cass. 2009/7197), laddove la citata disposizione è finalizzata proprio a porre il giudice di legittimità nella condizione di comprendere – in base alla sola lettura del quesito – l’errore di diritto asseritamele compiuto dal giudice e di rispondere al quesito enunciando una “regula iuris” (Cass. S.U. 2008/2658).

Le considerazioni che precedono conducono alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso e le spese processali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorati, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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