Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27059 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 23/10/2019), n.27059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14869-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso PAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente-

contro

A.N., M.B.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1572/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di TORINO, depositata l’08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE

CAPOZZI.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR del Piemonte, di rigetto dell’appello da essa proposto contro una decisione della CTP di Torino, che aveva accolto il ricorso dei contribuenti A.N. e M.B.F., quali soci della s.r.l. “COLD FRIGO”, avverso un avviso di accertamento IRES, IVA ed IRAP 2007, avendo ritenuto l’avviso impugnato tardivo, non essendo ad esso applicabile il raddoppio dei termini connesso alla qualificazione delle violazioni riscontrate come reati, essendo stata la relativa denuncia penale trasmessa alla competente autorità quando il reato era già prescritto.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37 comma 24; del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, nel testo vigente fino al 2 settembre 2015, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto l’avviso di accertamento impugnato era stato tempestivamente notificato il 21 ottobre 2015 ed era stata contestata una violazione (utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti: D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2), che comportava l’obbligo di denuncia penale ex art. 331 c.p.p., non assumendo alcun rilievo se la denuncia fosse stata o meno presentata ed eventualmente quando;

che i contribuenti non hanno presentato controricorso;

che il motivo di ricorso è fondato;

che invero il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito dalla L. n. 248 del 2006, ha integrato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, introducendo un comma 3, alla stregua del quale, in caso di violazione di norme, per le quali c’era obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento erano raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui era stata commessa la violazione;

che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 del 2011 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla norma da ultimo citata;

che, sulla base di detta pronuncia, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11207 del 2017; Cass. n. 20368 del 2107; Cass. n. 20435 del 2017) è concorde nel ritenere che ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. ex art. 405 c.p.p. mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, tenuto altresì conto del regime del doppio binario, al quale deve ritenersi conformato il rapporto fra il giudizio penale ed il processo tributario;

che le successive modifiche legislative, intervenute in materia con il D.Lgs. n. 128 del 2015 e con la L. n. 208 del 2015, art. 1, commi 130 e 131, non hanno alcuna rilievo nella specie in esame, atteso che l’avviso di accertamento impugnato è stato notificato, come in precedenza esposto, prima del 1 gennaio 2016, con conseguente applicabilità alla fattispecie in esame della disciplina anteriore, quale regolata dal citato D.L. n. 223 del 2006;

che pertanto, nella specie, i giudici d’appello erroneamente hanno escluso il raddoppio dei termini, avendo ritenuto che la denuncia penale non sarebbe stata obbligatoria, trattandosi di reati prescritti, mentre al contrario è da ritenere irrilevante la sussistenza di eventuali cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali, trattandosi di valutazioni di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria penale;

che, peraltro, il c.d. “raddoppio dei termini”, di cui sopra, non trova applicazione per l’IRAP, in quanto le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (cfr., in termini, Cass. n. 10483 del 2018);

che pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con riferimento alla sola IRES ed IVA, con rinvio alla CTR del Piemonte in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con riferimento alle sole IRES ed IVA e rinvia alla CTR del Piemonte in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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