Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27055 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. I, 26/11/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 26/11/2020), n.27055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6744/2019 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in Roma V.le Università n.

11, presso lo studio dell’avvocato Benzi Emiliano, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Ballerini Alessandra, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 08/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/07/2020 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 359/2019 depositato l’08-01-2019 il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di I.S., cittadino della (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere di religione (OMISSIS) e di essere fuggito perchè perseguitato dalla setta religiosa degli (OMISSIS), dopo essersi rifiutato di prendere il posto di suo padre, sacerdote della stessa setta. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 2 Cost. e art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con la L. n. 881 del 1977), in relazione, in particolare all’art. 5, comma 6 T.U. Immigrazione. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Violazione dell’art. 19 T.U. Imm.”. Con il secondo motivo denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 CEDU in particolare in relazione all’art. 5, comma 6 T.U. Imm. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 T.U. Imm.”. Il ricorrente, nel dolersi del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, richiama diffusamente la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte, rimarca che in (OMISSIS) oltre il 60% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà, nonchè deduce che sia stato leso il suo diritto ad un livello di vita dignitoso. Lamenta la mancata considerazione da parte del Tribunale del suo periodo di soggiorno in Libia, richiamando al riguardo quanto risulta dalle relazioni delle ong che cita, lamenta che sia stata omessa la valutazione della sua vulnerabilità in relazione all’attuale situazione della (OMISSIS), richiamando anche il divieto di respingimento di cui alla Convenzione di Ginevra, e rileva che non può trovare applicazione la disciplina sopravvenuta di cui al D.L. n. 113 del 2018.

2. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

2.1. Occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

2.2. Tanto premesso, non è minimamente specificata in ricorso quale sia la condizione di vulnerabilità soggettiva del ricorrente, che è stata esclusa con motivazione adeguata dal Tribunale, rispetto alla quale il ricorrente non si confronta. In particolare i giudici di merito hanno ribadito la non credibilità del racconto relativo agli (OMISSIS) ed hanno rimarcato che neppure il ricorrente aveva conseguito in Italia una significativa integrazione, non svolgendo alcuna attività lavorativa, nè avendo autonomia abitativa o significative relazioni interpersonali, mentre in caso di rientro nel paese di origine avrebbe potuto ricongiungersi ai due figli ancora in tenera età e alla madre.

Le deduzioni svolte in ricorso, limitate al richiamo della normativa di riferimento e della giurisprudenza di questa Corte, sono del tutto generiche. Il ricorrente non indica elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). Inoltre la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

2.3. La doglianza riferita all’omessa considerazione, da parte del Tribunale, dei traumi che il ricorrente assume di aver subito in Libia è parimenti generica e difetta, altresì, di autosufficienza. Non vi è cenno nel decreto impugnato ad allegazioni del richiedente su situazioni riferibili al Paese di transito e il ricorrente non indica quando, come e dove, nel corso del giudizio di primo grado, abbia svolto quelle allegazioni (cfr. Cass. n. 27568/2017 sulla necessità che il ricorrente, qualora proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non solo alleghi l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indichi in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione). In ogni caso, sotto ulteriore e assorbente profilo, il ricorrente afferma del tutto genericamente di aver subito violenze in Libia nel periodo in cui vi si è trattenuto, senza fornire precisazioni o dettagli idonei ad individualizzare quell’allegazione, e neppure evidenzia quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese e il contenuto della domanda (Cass. n. 31676/2018; Cass. n. 29875/2018; Cass. n. 13096/2019).

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre circa le spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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