Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27055 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 23/10/2019), n.27055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18767-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CICERONE

49, presso lo studio dell’Avvocato SVEVA BERNARDINI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3355/2/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA-ROMAGNA, depositata il 12/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, indicata in epigrafe, che aveva accolto l’appello di S.M. contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Ferrara n. 488/2016, con cui era stato respinto il ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF IRAP IVA 2010;

il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denunciando, in rubrica, “violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 e art. 21, comma 7, e della Dir. 112/2006/CE, art. 203” perchè, secondo l’Agenzia ricorrente, la CTR avrebbe erroneamente annullato il recupero dell’Iva, calcolato dall’Ufficio in base alle fatture, fittiziamente emesse nei confronti della società CEMI S.a.S. nel corso dell’anno di imposta in questione, nell’ambito di una frode predisposta dalla suddetta società relativamente ad emissione di fatture da parte di S.M. per importi versati al medesimo, ma con l’accordo che quest’ultimo avrebbe prelevato parte dei detti importi per riversarli alla società in questione;

1.2. secondo consolidati principi espressi da questa Corte (cfr. Cass. nn. 22963/2018, 10939/2015, 4020/2012), ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, il cedente o prestatore che emette fatture per operazioni inesistenti è tenuto, in base al principio di cartolarità, al versamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato, mentre tale obbligo non sussiste qualora abbia tempestivamente corretto o annullato la fattura ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, sì da consentire l’applicazione dell’esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario;

1.3. il destinatario della fattura emessa per un’operazione inesistente, non è, inoltre, legittimato a detrarre l’imposta a meno che non sia ripristinata, con la procedura di variazione, la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, restando salva, in ogni caso, la sua buona fede ove dimostri di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti ad un operatore del settore e di essere stato nell’oggettiva impossibilità di conoscere l’eventuale frode;

1.4. in ogni caso, l’inottemperanza agli adempimenti richiesti dalla norma non consente all’Amministrazione finanziaria di pretendere il pagamento dell’imposta, nè osta al riconoscimento del rimborso dell’IVA indebita versata in eccedenza ove il Giudice di merito accerti che, con il ritiro della fattura, sia stato definitivamente eliminato il rischio che il destinatario abbia utilizzato o possa utilizzare tale documento ai fini della detrazione e, conseguentemente, di un rischio di perdita di gettito tributario;

1.5. tali affermazioni risultano coerenti con la giurisprudenza Eurounitaria, la quale ha affermato che il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che, in base ad una disposizione nazionale intesa a recepire detto articolo, l’amministrazione tributaria neghi al fornitore di una prestazione esente il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto fatturata per errore al suo cliente, in quanto tale prestatore non ha rettificato la fattura erroneamente redatta, mentre l’amministrazione ha definitivamente negato a tale cliente il diritto di detrarre detta imposta sul valore aggiunto (cfr. Corte Giust. 11 aprile 2013, Rusedespred);

1.6. nel caso in esame, la Corte territoriale ha rilevato che “l’imposta risulta(va)… integralmente assolta dalla detta società la quale si…(era)… assunta l’onere della corresponsione” a seguito di p.v.c., ed ha escluso, nel caso di specie, la “legittimità della doppia imposizione relativamente a una stessa operazione…, comportando ciò un indebito arricchimento dell’Erario il quale ha già trovato soddisfazione del proprio credito Iva nei confronti della Cemi sas la quale ha pagato tutto quanto indebitamente detratto”;

1.6. dall’accertamento del fatto compiuto dal Giudice di merito emerge, dunque, come sia stato erroneamente affermato che sia stato “eliminato qualsiasi rischio di perdite di entrate fiscali da parte dell’erario” in quanto con riguardo ai contestati la società destinataria della fattura, a seguito di accordo raggiunto con l’Erario, aveva unicamente provveduto a pagare ciò che era stato indebitamente detratto, ma non emerge prova alcuna che l’emittente avesse provveduto a correggere o annullare le contestate fatture secondo le modalità dianzi illustrate;

1.7. la pretesa impositiva, alla stregua del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, va quindi ritenuta fondata considerando che detta norma correla la pretesa fiscale nei confronti dell’emittente-soggetto passivo all’esercizio attuale o potenziale del diritto a detrazione da parte del destinatario della fattura, e risultando nella fattispecie che non sia stato eliminato il rischio di effetti pregiudizievoli alle risorse della Comunità determinati dall’immissione nel circuito delle compensazioni IVA delle fatture emesse per operazioni inesistenti;

1.8. il primo motivo deve pertanto ritenersi fondato;

2.1. con il secondo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui erano stati rideterminati i compensi trattenuti per l’attività di emissione di fatture per operazioni inesistenti, denunciando, in rubrica, “omesso esame di fatto oggetto di discussione e decisivo” in relazione alla “documentazione, esaminata dall’Ufficio, (che) rivelava la percezione di un compenso maggiore di Euro 400 a fattura, e più precisamente emergente dal riscontro di… Euro 6.200 oggetto di giroconti tra un conto presso la Banca Popolare di Novara a uno presso Poste Italiane, rimasti nella disponibilità del contribuente a seguito della parziale retrocessione delle somme alla CEMI, ed Euro 20.991,83 quali versamenti effettuati dallo stesso Sig. S.”;

2.2. nel caso in esame la CTR ha effettivamente omesso di motivare sufficientemente, previ gli accertamenti e le valutazioni in ipotesi ritenuti opportuni alla luce delle circostanze messe in evidenza dalla contribuente, in ordine ad un fatto certamente decisivo, quale la percezioni di redditi maggiori di quanto statuito, in quanto è innegabile che, a fronte delle allegazioni operate dall’Ufficio – che aveva dedotto e documentato nell’avviso impugnato, ritualmente trascritto in parte qua nel ricorso, come i ricavi percepiti dal contribuente fossero maggiori di Euro 400 a fattura mediante operazioni di prelevamento e di accredito sui c/c correnti a sua disposizione presso gli Istituti di Credito dianzi illustrati – la motivazione adottata dalla CTR, per negare ogni rilevanza all’assunto dell’Ufficio, si rivela manifestamente lacunosa, limitandosi invero a prendere atto che “non possono ritenersi quali ricavi percepiti dal contribuente gli importi addebitati dall’Ufficio proprio in considerazione della retrodatazione degli importi”, per trarre la conclusione che “devono considerarsi tali solo ed esclusivamente gli importi di Euro 400 per ciascuna fattura e per un totale complessivo di Euro 4.400, che deve ritenersi rilevante ai fini della ricostruzione del reddito dello S.”, con mere e generiche affermazioni, prescindendo totalmente dalle allegate circostanze fattuali, il che priva il percorso motivazionale della necessaria unità argomentativa, ne mina l’interna sostenibilità logica ed lo espone al rilievo del vizio denunciato;

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, va cassata l’impugnata sentenza con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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