Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2705 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 02/02/2017, (ud. 02/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10107-2014 proposto da:

I.A., I.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato GINO DANILO

GRILLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO

FERRARI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

IMMOBILIARE EFFE ESSE SRL, in persona del legale rappresentante

nonchè Amministratore Unico N.P.M.E.,

considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLAS CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FLAVIO MASI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3684/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito l’Avvocato GINO DANILO GRILLI;

udito l’Avvocato FLAVIO MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 3684 del 2013, confermava la pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale di Monza aveva rigettato il ricorso di Academy Center di A.I. & CO S.a.S., conduttore di un immobile destinato ad attività di scuola professionale di Acconciatura ed Estetica, nei confronti di Immobiliare Effe Esse s.r.l., locatore, asserendo che questa seconda società, in occasione del mancato rinnovo del contratto, aveva rifiutato di liquidare l’indennità di avviamento ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 34 quantificata in Euro 48.677,22.

La Corte d’Appello riteneva inammissibili, perchè tardivi, i documenti depositati dall’appellante in grado di appello e comunque non idonei a provare la sussistenza del fine di lucro dell’attività esercitata, presupposto indefettibile per il riconoscimento dell’indennità di avviamento e riconosceva, peraltro, non esserci prova che l’attività comportasse il contatto diretto con la clientela, del genere di quello richiesto dalla L. n. 392 del 1978, art. 34.

I.A. e I.R., rispettivamente in qualità di socia accomandataria e socio accomandante della Academy Center S.a.S., con ricorso notificato in data 16 aprile 2014 e poi rinotificato in data 29 aprile 2014, per migliore formulazione dei motivi, hanno proposto 4 motivi di ricorso, 2 di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione ad omesso esame di un fatto decisivo e 2 di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Immobiliare Effe Esse s.r.l. si è costituita in giudizio con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

Innanzitutto occorre superare le pregiudiziali eccezioni di inammissibilità del ricorso proposto dagli ex soci della società in accomandita semplice cancellata dal registro delle imprese nelle more del giudizio di appello, senza che l’evento interruttivo sia stato oggetto di dichiarazione del procuratore costituito.

Quanto alla legittimazione dei soci, questa Corte ha, per il vero, affermato che, con la sola eccezione della fictio iuris contemplata dalla L. Fall., art. 10, la cancellazione della società, a partire dal momento in cui si verifica, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, di talchè, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo.

Ne consegue, sul piano processuale, che, qualora esso non sia stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando il farlo constare non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso, (confr. Cass. S.U. n. 6070/2013; Cass. civ. 19 marzo n. 6468/2014, Cass. n. 28187/2013).

Quanto all’inammissibilità di un precedente ricorso avverso la stessa decisione che non sarebbe stato iscritto a ruolo e all’erronea impostazione delle censure ivi formulate – a prescindere dal rilievo che sarebbe eventualmente prioritario il rilievo di improcedibilità – è sufficiente richiamare la regola di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c..

Da tale norma si evince il principio che la consumazione dell’impugnazione, che ne preclude la riproposizione anche nell’ipotesi in cui non sia ancora scaduto il termine stabilito dalla legge, opera soltanto ove sia intervenuta una declaratoria d’inammissibilità, con la conseguenza che, fino a quando siffatta declaratoria non sia intervenuta, può essere proposto un nuovo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purchè la seconda impugnazione risulti tempestiva, in rapporto al termine breve decorrente, in caso di mancata notificazione della sentenza, dalla data di proposizione del primo appello, che equivale alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante. (Cass., Sez. 6 n. 22679/2015).

Nel caso in esame dalla documentazione specificamente indicata dalla resistente risulta che il primo ricorso venne notificato il 16.04.2014 mentre il ricorso all’esame è stato notificato il 29.04.2014 e cioè entro il termine semestrale dal deposito della sentenza impugnata in data 31.10.2013 e comunque non oltre il termine breve dalla notificazione del primo ricorso.

E’ il caso di precisare che il Collegio prescinde dalla questione, agitata anche dal P.G. di udienza, in ordine alla prefigurabilità di una rinuncia del credito litigioso non inserito nel bilancio di liquidazione della società estinta, potendo il ricorso essere definito in base alla ragione più liquida.

Il ricorso ripropone, invero, accertamenti di fatto che non possono essere svolti in questa sede: la sentenza d’appello ha ben motivato sia in ordine alla mancanza del fine di lucro sia in ordine all’assenza di prova di un contatto diretto con la clientela, rilevante ai fini della L. n. 392 del 1978, art. 34.

La giurisprudenza di questa Corte e specificamente di questa sezione è consolidata nel senso di negare l’indennità per la perdita di avviamento commerciale, in occasione della cessata locazione di immobili adibiti ad attività di formazione o scolastico-professionale, qualora l’attività sia esercitata senza fine di lucro e senza struttura imprenditoriale.

In particolare Cass., sez. 3, n. 13083/2008: Il conduttore di un immobile utilizzato per uso diverso da quello abitativo, in tanto può rivendicare, alla cessazione del rapporto, il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, in quanto provi che il locale costituiva luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, luogo da sè idoneo ad esercitare un richiamo su un pubblico indifferenziato di utenti, sì da essere esso stesso collettore di clientela e fattore locale di avviamento. (conformi Sez. 3 n. 12278/2010; n. 6948/2010; n. 13083/2008; 20829/2006).

Con particolare riguardo alla fattispecie in esame si veda Cass., Sez. 3, n. 5089/1996: Atteso che, secondo la L. n. 392 del 1978, artt. 35 e 42 per i contratti di locazione di immobili nei quali venga esercitata attività scolastica o attività professionale non spetta, in caso di cessazione del rapporto, l’indennità per la perdita dell’ avviamento commerciale, il diritto a tale prestazione di norma non sussiste in relazione allo svolgimento di attività di insegnamento, che di per sè non dà luogo ad un’impresa. Tuttavia è valida l’opposta conclusione, ove sia accertato, nel caso concreto, che l’attività scolastica sia esercitata a fini di lucro e con struttura imprenditoriale.

Per mera completezza si procede ora alla trattazione dei singoli motivi di ricorso.

Con il 1^ motivo (violazione dell’art. 360, n. 5) i ricorrenti ravvisano l’omesso esame della differenza tra la Academy Center S.a.S., società con fine di lucro, estinta in data 17.4.2013, e l’Associazione Academy differenza che si evincerebbe da documenti versati in atti ed in particolare da un report pubblicitario riferibile alla seconda e non alla prima.

Il motivo è inammissibile perchè pretenderebbe un riesame del merito precluso in questa sede. La censura prefigura situazioni che esulano dallo specifico vizio risultante dalla riformulazione della norma, quale disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ai ricorsi avverso le sentenze pubblicate, come quella all’esame, successivamente al 11.09.2012) ed esorbita dall’ambito del controllo di legittimità sulla motivazione, ricondotto dalla novella al “minimo costituzionale” (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014).

Il 2^ motivo (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, n. 5) lamenta una presunta errata valutazione delle prove, soprattutto dei bilanci, che avrebbero dovuto condurre a ritenere presente la finalità di lucro. La Corte d’Appello ha motivato nel senso che anche la presenza di una retta pagata dagli iscritti ed uno stipendio pagato agli insegnanti siano del tutto compatibili con la finalità non imprenditoriale o commerciale dell’attività.

Si rammenta che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (S.U. n. 8053/2014). Il motivo è, dunque, inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte in precedenza.

Con il 3^ motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 113, 115 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4) i ricorrenti asseriscono che la Corte d’Appello avrebbe dovuto accertare la prova del fine di lucro ponendo l’onere della medesima a carico della Immobiliare Effe Esse s.r.l., non potendosi attribuire rilevanza alla circostanza che la società Academy, fin dal 2003, si fosse accreditata presso la Regione Lombardia quale ente formatore il cui presupposto era l’assenza di fine di lucro.

L’argomento non è condivisibile perchè, per giurisprudenza del tutto consolidata di questa Sezione, era il conduttore, e dunque la Academy S.a.S., ad essere gravato dall’onere di provare il fine di lucro ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di avviamento e a tale onere il conduttore non ha assolto.

Con il 4^ motivo (violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3. in relazione alla L.R. n. 95 del 1980, art. 27 etc.) si denuncia la violazione di due norme regionali e di una delibera di giunta della Regione Lombardia. A parte l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 per avere il motivo ad oggetto delibere di giunta regionale che non sono norme di diritto ma meri atti amministrativi, il motivo è infondato, riguarda norme che non smentiscono l’assunto della locatrice circa l’assenza di fine di lucro dell’attività di insegnamento svolta nell’immobile; tantomeno i ricorrenti – pur ripetutamente soffermandosi sull’errore in cui sarebbe incorsa la Corte per avere ipotizzato una trasformazione della società in accomandita semplice in associazione non riconosciuta – attingono il nucleo centrale della motivazione, basata sul fatto dell’essersi avvalsa la conduttrice s.a.s. di un’associazione senza fini di lucro per svolgere la suddetta attività di insegnamento.

L’esame complessivo dei motivi comporta il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.100,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre accessori come per legge e contributo spese generali. Ai sensi del D.P.R. n.115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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