Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27049 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 27/12/2016, (ud. 21/10/2016, dep.27/12/2016),  n. 27049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul regolamento di competenza d’ufficio, iscritto al N.R.G.

8682-2016, sollevato dalla CORTE D’APPELLO DI ROMA nel giudizio

promosso da:

C.M., C.P., CO.LU., C.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI 7, presso lo studio

dell’avvocato MARCO CALIENDO, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARINA CARDONE;

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 22 luglio 2016, la seguente relazione ex art. 380-bis c.p.c.:

“Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia in data 24 marzo 2010, Co.Lu. cd altre, eredi di C.G., proponevano domanda di equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio svoltosi dinanzi al TAR del Lazio.

La Corte d’appello di Perugia dichiarava la propria incompetenza per territorio in favore della Corte d’appello di Roma.

La causa veniva riassunta dinanzi alla Corte d’appello di Roma.

La Corte d’appello di Roma, con ordinanza depositata in data 11 aprile 2016, ha proposto regolamento di competenza d’ufficio, ritenendosi a sua volta incompetente. La Corte confliggente ha indicato come competente la Corte d’appello di Perugia.

Sono intervenute le parti private, concludendo per la competenza sopravvenuta della Corte d’appello di Roma.

L’istanza di conflitto non appare fondata.

Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente in ordine alla relativa domanda, il criterio di collegamento stabilito dall’art. 11 c.p.p., richiamato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 1, va applicato con riferimento al luogo in cui ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto, anche nel caso in cui un segmento dello stesso si sia concluso dinanzi alla Corte di cassazione, non ostandovi, sul piano lessicale, il termine distretto adoperato nell’art. 3 cit., il quale appartiene alla descrizione del criterio di collegamento e vale a delimitare un ambito territoriale in modo identico, quale che sia l’ufficio giudiziario dinanzi al quale il giudizio presupposto è iniziato e l’ordine giudiziario cui appartiene, in quanto ciò che viene in rilievo non è l’ambito territoriale di competenza dell’ufficio giudiziario, ma la sua sede” (Cass., S.U., n. 6306 del 2010).

Sennonchè, ai fini della definizione del presente regolamento, occorre tenere conto dello ius superveniens. La legge n. 208 del 2015, entrata in vigore il 1 gennaio 2016, ha infatti modificato della L. n. 89 del 2001, l’art. 3, comma 1, il quale ora dispone che “la domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto. Si applica l’art. 125 c.p.c.”.

Vero è che, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., “la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”. Al principio ora ricordato fa però eccezione il caso in cui la modifica normativa sopravvenuta comporti l’attribuzione della competenza ad un giudice che originariamente ne fosse privo, operando in tal caso il principio per cui “l’art. 5 c.p.c., anche nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 2 che esclude la rilevanza dei mutamenti in corso di causa della legge – oltre che dello stato di fatto – in ordine alla determinazione della competenza, va interpretato in conformità alla sua ratio, che è quella di favorire, non già di impedire, la peoetuati o iurisdictionis, sicchè, ove sia stato adito un giudice incompetente al momento della proposizione della domanda, non può l’incompetenza essere dichiarata se quel giudice sia diventato competente in forza di legge entrata in vigore nel corso del giudizio” (Cass. n. 857 del 2008, relativa ad un procedimento di regolamento di competenza d’ufficio).

Dunque, posto che il giudizio presupposto è iniziato a Roma e che la Corte d’appello di Roma sarebbe competente per effetto della richiamata modificazione legislativa, la conclusione, ad avviso del relatore, non può essere altro che quella di rigettare il sollevato conflitto e di dichiarare – in conformità delle conclusioni delle parti private – la competenza della Corte d’appello di Roma. In tal senso questa Corte si è pronunciata, in fattispecie similare, con l’ordinanza della 6-2 Sezione 9 marzo 2016, n. 4662.”.

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c., alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, deve essere dichiarata la competenza della Corte d’appello di Roma;

che non vi è luogo a pronuncia sulle spese, trattandosi di regolamento di competenza d’ufficio.

PQM

La Corte, pronunciando sul conflitto, dichiara la competenza della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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