Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27047 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 06/10/2021, (ud. 13/07/2021, dep. 06/10/2021), n.27047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7948/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

S.S., elettivamente domiciliato in Roma, piazza San

Bernardo n. 101, presso lo studio dell’Avv. Gennaro Terracciano, dal

quale, unitamente all’Avv. Giuseppe Giannì, è rappresentato e

difeso, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 4167/2015 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata il 29 settembre 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 luglio

2021 dal Consigliere Raffaele Rossi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A seguito di verifica fiscale condotta attraverso l’invio di un questionario recante invito a produrre documentazione, l’Agenzia delle Entrate procedeva, con metodo sintetico D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 38, alla ricostruzione per l’anno 2008 del reddito di S.S..

In specie, l’Ufficio acclarava in capo al contribuente un incremento patrimoniale generato dall’acquisto di un fabbricato nell’anno 2008 per un prezzo di Euro 880.000 (imputando l’importo di Euro 176.000, pari ad un quinto del totale, all’anno d’imposta in verifica), la disponibilità di un immobile adibito a residenza principale e di altri sei immobili a titolo di residenze secondarie (nonché la sopportazione delle spese per il mantenimento degli stessi), la disponibilità di quattro autovetture (con il carico dei relativi esborsi), il pagamento di premi assicurativi. Individuato l’importo reddituale attribuito ai singoli beni come indice di ricchezza in applicazione del c.d. redditometro, determinava il maggior reddito percepito ai fini IRPEF e recuperava a tassazione l’imposta non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.

2. L’impugnativa del contribuente avverso il relativo avviso di accertamento veniva accolta in ambedue i gradi del giudizio di merito.

Per quanto qui d’interesse, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, nella sentenza in epigrafe indicata, rilevava che “dalla documentazione in atti e dalla movimentazione di c/c bancario” (prodotta “nel corso del giudizio di primo grado”, ritenuta utilizzabile e non preclusa dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32) “si evince che il contribuente, nel periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS), ha effettuato versamenti per Euro 1.874.000 e prelievi per Euro 1.890.000 che – sostanzialmente bilanciandosi – danno conto delle modalità di finanziamento dell’accrescimento delle proprie acquisizioni patrimoniali”.

3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a cinque motivi; resiste, con controricorso, S.S..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente censura la ritenuta utilizzabilità della documentazione bancaria (in specie, degli estratti di conto corrente), benché non prodotta in risposta all’invito contenuto nel questionario prodromico all’atto impositivo.

Assume, in sintesi, che, in spregio alla menzionata disposizione, il giudice territoriale ha fondato il proprio convincimento su documenti depositati “nel corso del giudizio di primo grado” (e non già in allegato all’atto introduttivo di esso) ed in difetto della dichiarazione del contribuente, nel ricorso di prime cure, in ordine alla causa non imputabile che aveva impedito di adempiere in fase procedimentale alla richiesta di produzione dell’ufficio.

5. Con il secondo motivo, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce l’errore di diritto in cui è incorsa la gravata sentenza con il ritenere, ai fini dell’utilizzabilità della documentazione bancaria, quale causa non imputabile ostativa all’ottemperanza all’invito la mera chiusura della filiale dell’istituto di credito di accensione del conto corrente, fatto peraltro non provato dal contribuente.

6. Con il terzo mezzo, si eccepisce la nullità della sentenza per motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36: a dire del ricorrente, la C.T.R., limitandosi ad asserzioni astratte e generiche, palesa unicamente la (apodittica) conclusione raggiunta in ordine alla giustificazione delle spese ascritte ad incremento patrimoniale nell’avviso di accertamento, senza tuttavia spiegare il ragionamento a tal fine seguito.

7. Con il quarto motivo, ancora per violazione e falsa applicazione di norme di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si prospetta l’inosservanza nella pronuncia impugnata del principio di diritto secondo cui, onde invalidare l’accertamento compiuto con metodo sintetico, il contribuente è onerato di provare che la spesa per incremento patrimoniale è stata sostenuta o con redditi esenti o con redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o con somme non aventi natura reddituale.

8. Con il quinto motivo, la difesa erariale rileva la nullità della gravata decisione (per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per aver pronunciato l’annullamento dell’avviso di accertamento nella sua interezza, senza fornire alcuna motivazione in ordine alla quota di maggior reddito determinata dall’A.F. con lo strumento del c.d. redditometro, ovvero attribuendo definiti valori a beni indice di capacità contributiva nella disponibilità del contribuente.

9. E’ fondato il primo motivo, con assorbimento degli altri.

In tema di accertamento fiscale, l’invito dell’Amministrazione finanziaria a fornire dati e notizie, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione operanti in materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per definire le rispettive posizioni, mirando altresì ad evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, per cui la mancata risposta alla richiesta è espressamente sanzionata con la preclusione (in sede amministrativa e processuale) dell’allegazione di dati e della esibizione di documenti non forniti in fase procedimentale.

Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio: essa non opera solo quando il contribuente, beneficiando della deroga prevista dal citato art. 32, comma 5, depositi unitamente all’atto introduttivo del giudizio di primo grado le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi e contestualmente dichiari di non aver potuto adempiere alle richieste dell’Ufficio per causa a lui non imputabile (cfr., ex plurimis, Cass. 11/02/2021, n. 3442; Cass. 03/05/2019, n. 11608; Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 19/06/2018, n. 16106; Cass. 09/11/2016, n. 22745; Cass. 14/05/2014, n. 10489).

Nel puntualizzare la diversità tra i precetti dettati dall’art. 32, commi 4 e 5, in parola, questa Corte – con avviso cui si intende dare continuità – ha affermato che la dichiarazione del contribuente che, in uno all’allegazione dei documenti non esibiti in fase amministrativa, impedisce l’inutilizzabilità deve essere fatta, in maniera “chiara ed esplicita”, nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, proprio perché essa non richiede la prova contestuale di non imputabilità della causa d’inadempimento, a differenza di quanto accade in caso di rifiuto ad esibire documentazione esplicitamente richiesta con l’invito a rispondere al questionario (così Cass., 30/12/2009, n. 28049: “diversamente opinando, il comma 5, vanificherebbe del tutto la norma contenuta nel comma precedente”; conformi, Cass. 21/03/2018, n. 7011; Cass. 01/08/2019, n. 20731).

La previsione “formale” di cui alla disposizione in esame, comma 5 – che trova puntuale corrispondenza, in materia di IVA, nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, u.c., comporta che, a seguito della dichiarazione necessariamente resa dal contribuente nel libello introduttivo competa all’autorità giudiziaria (ex officio, anche in assenza di eccezione dell’A.F.) il vaglio sulla regolarità dei documenti e delle sue modalità di produzione, nonché la sussistenza e la congruità della dichiarazione “di non aver potuto adempiere alla richiesta degli uffici per causa a lui non imputabile” (da ultimo, Cass. 10/03/2021, n. 6617).

10. Degli enunciati principi di diritto non ha fatto buon governo la sentenza impugnata.

In relazione agli estratti di conto corrente bancario prodotti solo al momento della costituzione nel giudizio di primo grado, il giudice di prossimità ha considerato “superata” la preclusione posta di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 3, per aver il contribuente “motivato la mancata esibizione ancor prima di sostenere le sue ragioni in sede di contenzioso”, cioè a dire per aver “dato informazione all’ufficio dei legittimi motivi” della mancata ostensione documentale in fase amministrativa.

Argomentazione, in tutta evidenza, contraria alla lettera ed alla ratio della disposizione in questione: la necessità della deduzione in sede contenziosa (rectius, con il ricorso introduttivo della lite) della causa non imputabile ostativa all’ottemperanza all’invito dell’A.F. si giustifica (e, ad un tempo, si correla) con l’ineludibile controllo (esercitabile anche in via officiosa) dell’autorità giudiziaria sulla ricorrenza e sulla plausibilità di circostanze, non ascrivibili ad un contegno o atteggiamento psicologico del contribuente, giustificanti la mancata evasione della richiesta amministrativa dell’Ufficio.

Nella specie, per converso, dal contenuto dell’atto introduttivo della lite (riprodotto, in ossequio al principio di autosufficienza, nel ricorso di adizione del giudice di legittimità) risulta il mancato adempimento del descritto obbligo formale gravante sul contribuente.

In tale atto non si ravvisa, infatti, l’avvenuta formulazione di una (esplicita o implicita) “dichiarazione della impossibilità di adempiere alla richiesta dell’Ufficio per causa a lui non imputabile”: alcun cenno o menzione viene ivi operato ad una omessa ottemperanza (né, a malori, alle cause di essa) all’invito di esibizione rivolto dall’A.F., assumendosi, al contrario, l’integrale ossequio allo stesso (“il ricorrente produceva (…) tutta la documentazione richiesta”).

La descritta deficienza contenutistica del ricorso del contribuente avrebbe dovuto senz’altro condurre il giudice territoriale a ritenere (in accoglimento della specifica contestazione sollevata dall’Ufficio) la inutilizzabilità degli estratti conto bancari, invece considerati decisivi, poiché ritenuti asseveranti l’inesistenza del maggior reddito in via sintetica determinato nell’atto impositivo impugnato.

11. Accolto il ricorso per il primo motivo, va disposta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, per il riesame delle doglianze di merito prospettate dal contribuente (sul quale grava l’onere di dimostrare l’inesistenza del maggior reddito attribuito con metodo sintetico dall’A.F.: Cass. 24/03/2021, n. 8186; Cass. 31/10/2018, n. 27811; Cass. 10/08/2016, n. 16912) senza tener conto della documentazione bancaria acclarata inutilizzabile.

12. Al giudice del rinvio è anche demandata la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

 

 

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