Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27046 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 26/11/2020), n.27046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19023-2019 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MICHELE BRUNELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (C.F.(OMISSIS); quale successore

di Equitalia Servizi di Riscossione Spa), in persona Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5377/16/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata l’11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

S.L. ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, meglio indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione avverso avviso di cartella di pagamento nr (OMISSIS) per IRPEF anno 1993 – ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che per i crediti erariali dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale.

Il ricorrente dava atto di rinunciare al giudizio in ordine alle cartelle nr. (OMISSIS) avendo aderito alla definizione agevolata delle iscrizioni a ruolo introdotta dal D.L. n. 119 del 2018, art. 3, convertito in L. n. 136 del 2018.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

Considerato che:

Con l’unico motivo di ricorso, illustrato da memoria, si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2953 c.c. e/o dell’art. 2945 c.c. e dell’art. 14 disp. gen. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto applicabile ai tributi erariali, quali IRPEF, il termine di prescrizione decennale, anzichè il termine quinquennale – ex art. 2948 c.c..

Lamenta inoltre che il termine prescrizionale non sarebbe stato comunque interrotto in considerazione del fatto che la produzione dei documenti nella fase di appello sarebbero riferibili non già alla cartella qui in discussione bensì ad altre per le quali il contribuente sarebbe risultato vittorioso.

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che una volta divenuto definitivo l’atto di accertamento per mancata impugnazione nel termine di decadenza, la pretesa tributaria resta soggetta, in fase di riscossione, al termine di prescrizione propria del tributo (Cass. n. 11555/2018).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (SS.UU. n. 23397/2016; Cass. 32308 /2019), per i tributi erariali – IRPEF, IRES, IRAP, IVA – accertati e divenuti definitivi per omessa impugnazione, non è applicabile la prescrizione breve di cinque anni prevista per le prestazioni periodiche, ai sensi dell’art. 2948 c.c., poichè i crediti erariali non possono considerarsi prestazioni periodiche, in quanto derivano da valutazioni effettuate per ciascun anno sulla base della sussistenza dei presupposti impositivi (Cass. 4283/2010).

Consegue che, mancando una espressa disposizione di legge, per detti tributi è applicabile la prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.), quale unico termine rilevante in fase di recupero.

La CTR si è correttamente attenuta ai suddetti principi e la decisione sotto questo profilo si sottrae alla censura che le viene mossa.

Quanto alla dedotta mancata prova dell’atto interruttivo anche a voler prescindere dalla genericità della contestazione si tratta di una valutazione di merito del materiale probatorio sottratta al sindacato della Corte.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’intimata delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 8000,00 oltre s.p.a.; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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