Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27045 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 27/12/2016, (ud. 15/11/2016, dep.27/12/2016),  n. 27045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20402-2013 proposto da:

R.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA GIULIANA 63, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO

CARATTONI;

– ricorrente –

contro

M.S., (OMISSIS), V.D. (OMISSIS), domiciliate

ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentate e difese dagli avvocati MARIA FERNANDA

BOZZOLA, LAURA COTTARELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 794/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 20/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato ROBERTO MORONI, con delega dell’Avvocato LUCIANO

GARATTI difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento dei primi

tre motivi e per l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con atto 30 ottobre 2002 V.D. e M.S., proprietarie di un immobile in (OMISSIS), convennero la vicina R.A.M. davanti alla Sez. Dist. di Salò (Tribunale di Brescia), lamentando che costei, nel recintare il proprio fondo, aveva invaso il loro fondo e chiesero pertanto il regolamento dei confini nonchè il rilascio della porzione occupata con riduzione in pristino dei luoghi (o, in subordine, pagamento dell’equivalente), oltre al risarcimento del danno.

La R. si oppose alla domanda e chiese, in via riconvenzionale, l’accertamento del suo diritto di proprietà, in ogni caso per usucapione o per accessione invertita con coeva declaratoria di prescrizione del diritto al compenso.

2 Dopo avere disposto una consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale adito, con sentenza n. 25/2007, accolse la domanda condannando la convenuta alla restituzione dell’area in contestazione, alla rimozione delle opere e ai danni nella misura di Euro 2.000,00.

La Corte di Appello di Brescia, con sentenza n. 794/2012, ha confermato questa decisione rigettando l’appello della soccombente. Per giungere a tale soluzione la Corte d’Appello, per quanto ancora interessa in questa sede, ha osservato:

– che, come già ritenuto dal Tribunale, le prove dedotte in primo grado erano inammissibili perchè generiche ed irrilevanti;

– che la censura sulla mancata utilizzazione delle prove assunte in altro giudizio era inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c.;

– che vi erano stati validi atti interruttivi dell’usucapione, rappresentati da un atto di citazione del 1985 ad oggetto non solo l’accertamento della linea di confine ma anche la rimozione di opere e l’arretramento del muro di confine;

– che, in ogni caso, non era stata fornita idonea prova dell’acquisto per usucapione.

3 Ricorre per cassazione R.A.M. con cinque motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., a cui resistono con controricorso M.S. e V.D..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1- L’espletamento di regolare attività difensiva in questa sede da parte delle intimate mediante tempestivo deposito di controricorso rende infondate, per il principio del raggiungimento dello scopo, le eccezioni preliminari (ma inspiegabilmente collocate nella parte finale del controricorso) con cui si segnalano errori nella domiciliazione delle controricorrenti e l’incompletezza della notifica del ricorso.

Infatti, l’attività di notificazione svolta dagli avvocati, ai sensi della L. n. 53 del 1994, in mancanza dei requisiti prescritti dalla legge stessa, va considerata nulla e non inesistente. Ne consegue che tale nullità, quand’anche riscontrata, è sanata dalla rituale e tempestiva costituzione dell’intimato e, quindi, dall’accertato raggiungimento dello scopo della notificazione stessa (Sez. 5, Sentenza n. 15081 del 05/08/2004 Rv. 575231; Sez. 3, Sentenza n. 8592 del 22/06/2001 Rv. 547668; Sez. 2, Sentenza n. 5743 del 10/03/2011 Rv. 617190).

1-1 Venendo all’esame dei motivi, con il primo di essi si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 950 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso la prova testimoniale già articolata in primo grado o comunque per non avere considerato come accertati i fatti oggetto delle prove già espletate nel precedente giudizio davanti al Pretore di Salò ed abbandonato dall’attore: secondo la ricorrente, tali prove avrebbero dimostrato che il confine era stato concordemente stabilito dalle parti e quindi comportato il rigetto della domanda.

1-2 Con il secondo motivo si lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per l’omessa valutazione da parte della Corte di Appello dei fatti non contestati, quali la determinazione concorde della linea di confine e la mancata ammissione delle prove volte a dimostrarli. Si lamenta altresì incoerenza, insufficienza e illogicità della motivazione.

1-3 Con il terzo motivo ci si duole della incoerenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con cui era stata ritenuta inammissibile la prova finalizzata a dimostrare l’esistenza di una regolamentazione della linea di confine per facta concludentia.

2 I primi tre motivi di ricorso denunziano non già violazioni di legge (come nel caso di omessa pronuncia su una domanda di parte), ma tutti sostanzialmente ed unicamente la motivazione della Corte d’Appello sul rigetto delle istanze istruttorie formulate dalla convenuta appellante al fine di dimostrare una pregressa determinazione amichevole del confine e dunque l’esistenza di un negozio di accertamento per “facta concludentia”. Appare pertanto opportuna una trattazione unitaria delle censure, che però si rivelano infondate.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).

E’ stato altresì affermato che il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio non siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (tra le varie, v. Sez. 3, Sentenza n. 1754 del 08/02/2012 Rv. 621707 Sez. 2, Sentenza n. 7700 del 29/03/2007 Rv. 596061; v. altresì Sez. 3, Sentenza n. 11593 del 19/05/2009 Rv. 608290).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha dato conto del proprio convincimento sul diniego delle istanze istruttorie rilevando che i capitoli di prova apparivano genericamente formulati perchè, quanto ai primi cinque, non contenevano alcun riferimento ai mappali contigui e quanto agli altri, non vi era traccia di una determinazione consensuale dei confini.

La Corte d’Appello ha poi giustificato l’inammissibilità delle prove assunte nell’altro giudizio richiamando il principio di specificità dei motivi di cui all’art. 342 c.p.c., a suo dire violato dall’appellante che non aveva precisato quali prove assunte aliunde avrebbero dovuto trovare ingresso ed in quale modo la loro utilizzazione avrebbe potuto incidere sulla motivazione della sentenza impugnata. Anche sulla tematica dell’usucapione la Corte d’Appello si è confrontata rilevando l’efficacia interruttiva dell’atto di citazione del 1985 prodotto dallo stesso appellante e la inammissibilità, per tardività, della successiva specificazione del tipo di usucapione invocata, non risultando che le condizioni costitutive del diritto azionato fossero state oggetto di specifiche allegazioni e prove già ritualmente introdotte in causa. Sulla base di tale elementi, la Corte di merito ha ravvisato l’assenza di una prova rigorosa e pregnante che incombeva sull’appellante.

Trattasi, come si vede, di un percorso argomentativo tutt’altro che palesemente incongruo o contraddittorio, anzi lineare e privo di vizio logici, come tale non attaccabile dalla critica della ricorrente che tende ad una rivalutazione delle richieste istruttorie, che in questa sede non è consentita.

3 Con il quarto motivo la ricorrente rimprovera alla corte territoriale di non aver considerato la presunzione di verità della determinazione consensuale del confine desumibile dal comportamento del M. (attore nell’altro procedimento) che, dopo la deposizione testimoniale a lui sfavorevole, ebbe ad abbandonare il giudizio. Richiama l’art. 950 c.c. che fa salvo qualunque mezzo di prova e quindi anche la prova per presunzione.

Il motivo è inammissibile perchè introduce una questione di diritto implicante accertamenti in fatto (la rilevanza della prova per presunzioni di cui all’art. 2727 c.c. nel giudizio di regolamento di confine) che però non risulta previamente sottoposta ai giudici di merito (investiti solo della richiesta di esame delle risultanze istruttorie di tale giudizio).

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, v. sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945).

La ricorrente non offre tali necessarie indicazioni.

4 Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta il mancato esame del verbale (prodotto in primo ed in secondo grado) riguardante la prova testimoniale assunta davanti al Pretore nel giudizio abbandonato.

Il motivo, così come articolato, è inammissibile per difetto di autosufficienza perchè occorreva la trascrizione esatta del verbale nella parter contenente le dichiarazioni dei testi, non bastando i generici riferimenti al contenuto delle deposizioni.

Qualora il ricorrente in sede di legittimità denunci l’omessa valutazione di un documento ovvero di una prova testimoniale, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione del documento o di elementi deducibili dal documento, oppure dalla deposizione, che si palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di cassazione esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito. Nella denuncia di questo vizio, il ricorrente ha dunque l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre il tenore esatto del documento, ovvero della prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua integrità, in modo da permettere siffatta valutazione di decisività, essendo insufficienti i richiami “per relationem” agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili in sede di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 4405 del 28/02/2006 Rv. 589975; Sez. L, Sentenza n. 15751 del 21/10/2003 Rv. 567559).

Il ricorso va pertanto respinto con addebito di ulteriori spese alla parte soccombente.

Considerato inoltre che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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