Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27041 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 26/11/2020), n.27041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17369-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ICONIO MASSARA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 524/2/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CLAABRIA, depositata il 26/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Calabria, con sentenza nr. 524 del 2019, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Vibo Valentia con cui era stato accolto il ricorso di F.R. avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo alla rideterminazione del reddito della contribuente, nella sua qualità di titolare di una società di costruzioni immobiliari.

Il Giudice di appello rilevava che la presunzione di maggior reddito si fondava unicamente sulla divergenza di valore tra un atto preliminare ed il successivo atto pubblico riguardante solo uno dei plurimi appartamenti alienati.

Osservava che tale unico dato in relazione al quale la contribuente aveva fornito una plausibile spiegazione circa le ragioni che avevano indotto gli acquirenti ad indicare una cifra più alta nell’atto preliminare senza che sul punto fosse stata sollevata alcuna deduzione da parte dell’Ufficio, non si fondava su alcun presupposto oggettivo tenuto conto del valore al quale sono stati venduti gli altri immobili dello stesso fabbricato.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui resiste la contribuente.

Diritto

Considerato che:

L’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta in particolare che la rettifica operata dall’Ufficio non fosse basata sull’importo del mutuo bensì sul prezzo ricavabile dal fascicolo presentato unitamente all’istanza di mutuo e quindi su “dati documentali univoci e concordanti, legittimamente utilizzati per stabilire il prezzo realmente versato per l’acquisto di tutti gli appartamenti.

La censura nei termini in cui è stata articolata si risolve in un’errata valutazione del compendio probatorio e nella richiesta di un diverso apprezzamento degli elementi di fatto, inammissibile in questa sede;

Spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v., fra le tante, Cass., n. 13485 del 2014);

In sede di legittimità non è data la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto la stessa attività di valutazione del compendio probatorio, che solo al giudice di merito compete.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., siffatta doglianza, in continuità con i numerosi precedenti di questa Corte (v., ex multis, Cass. n. 8554 del 2018), è configurabile, integrando motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata, secondo le regole dettate da quella norma, mentre laddove la censura sia incentrata sulla valutazione delle risultanze istruttorie, attività regolata dagli artt. 115 e 116 c.p.c., il relativo vizio può essere fatto valere, ai sensi del n. 5 del citato art. 360 c.p.c., secondo il paradigma del novellato vizio di motivazione, secondo l’interpretazione data dalle già richiamate Sezioni unite della Corte (sentenza n. 8053 del 2014 e numerose successivi conforme).

Ciò posto nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio dell’onere della prova apprezzando, con una valutazione in fatto non più sindacabile in questa sede, tutti gli elementi posti a base dell’accertamento in termini di inidoneità per l’assenza di riscontri oggettivi.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri di legge vigenti.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 10.000,00 oltre S.P.A.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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