Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27034 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 27/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.27/12/2016),  n. 27034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17161-2010 proposto da:

Z.G., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’Avvocato FRANCO GIORDANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

OCE’ ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ATTILIO MINZIONI, giusta delega in

atti;

IVECO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,

presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO BONAMICO,

DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

AR.DE.C S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 26/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/01/2010 R.G.N. 683/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato BOZZI CARLO per delega orale Avvocato BOCCIA FRANCO

RAIMONDO;

udito l’Avvocato PATERNO’ FEDERICA per delega orale DE LUCA TAMAJO

RAFFAELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 26/2010, depositata il 20 gennaio 2010, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame di Z.G. nei confronti della sentenza del Tribunale di Torino che ne aveva respinto la domanda di risarcimento del danno esistenziale e professionale conseguente ad una prolungata condizione di demansionamento verificatasi a partire dal rientro in azienda nel dicembre 1997, dopo una lunga malattia, al 31 maggio 2006, prima nel corso del rapporto alle dipendenze di Iveco S.p.A. e poi del rapporto alle dipendenze della cessionaria di ramo di azienda Ocè Business Services Italia S.p.A..

La Corte rilevava, a sostegno della propria decisione, come l’appellante, dopo di avere indicato i fatti che avrebbero dato luogo al demansionamento rispetto alle mansioni in precedenza svolte, si era limitato a dedurre del tutto genericamente i danni che ne sarebbero derivati, nonostante la necessità di una precisa allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio subito.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con due motivi; hanno resistito con controricorso le società Iveco e Ocè Italia.

Entrambe le controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, deducendo insufficiente motivazione e violazione dell’art. 115 c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto di fare ricorso al prudente apprezzamento dei fatti noti, oggetto di capitolazione nel ricorso introduttivo, al fine di provare il fatto ignoto, consistente nei danni non patrimoniali dallo stesso subiti.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. sul rilievo che l’imprenditore, in caso di mancata tutela della personalità morale dei propri dipendenti, è tenuto al risarcimento del danno non patrimoniale determinato dalla propria condotta omissiva e che, pertanto, la Corte, una volta provato il demansionamento totale del ricorrente, avrebbe potuto facilmente dedurre l’avvenuta aggressione alla personalità morale dello stesso, senza una particolare attività istruttoria e sulla base di un ragionamento di tipo presuntivo.

I motivi così svolti possono essere esaminati congiuntamente, risolvendosi entrambi, sia pure da angoli visuali diversi, in una medesima censura.

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Al riguardo si osserva che la sentenza impugnata, dopo avere riportato testualmente allegazioni del ricorso introduttivo relative aì danni che l’appellante assumeva di ere subito, ha rilevato la “completa genericità” di tale deduzione, in particolare precisando che, attraverso di essa, non era dato conoscere quali fossero i lamentati disagi per l’esistenza del lavoratore e quale fosse stata la perdita di chances relativamente alla sua carriera: valutazione, questa, espressamente (ed esattamente) condotta dalla Corte territoriale alla stregua del principio, secondo il quale, in materia di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, “non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo” (cfr. Sezioni Unite, 24 marzo 2006 n. 6572). Su tali premesse, le critiche formulate dal ricorrente, sostanzialmente riconducibili alla mancata applicazione di un ragionamento presuntivo che avrebbe consentito alla Corte di risalire dai fatti (di demansionamento) dedotti alla dimostrazione dei pregiudizi che ne sarebbero derivati, non risultano pertinenti al decisum della sentenza impugnata, ed anzi scopertamente lo eludono, in quanto, trasferendo il dibattito sul terreno della prova, non investono l’accertamento attinente alla corrispondenza delle allegazioni di danno ad un canone di necessaria “specificità”, accertamento che anche nella citata pronuncia delle Sezioni Unite risulta preliminare ad ogni altra e successiva operazione logico-ricostruttiva.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per ciascuna delle altre parti, in Euro 3.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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