Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27033 del 27/12/2016

Cassazione civile, sez. lav., 27/12/2016, (ud. 28/09/2016, dep.27/12/2016),  n. 27033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6026-2011 proposto da:

A.M., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO DORIA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, ALESSANDRO DI MEGLIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2010 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 24/02/2010 R.G.N. 1472/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato RICCI MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Lecce in data 8.2.2005 A.M., bracciante agricolo, agiva nei confronti dell’INPS per la conferma del proprio diritto a percepire l’assegno ordinario di invalidità, esponendo che la domanda di conferma presentata in sede amministrativa era stata respinta e che il ricorso amministrativo era rimasto senza esito. Il Tribunale di Lecce, espletata ctu, rigettava la domanda (sentenza del 16.5.2006).

La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 18.1-24.2.2010 (nr. 117/2010), rigettava l’appello dell’ A..

La Corte territoriale esponeva che facendo seguito alle doglianze dell’appellante era stata disposta la rinnovazione della consulenza tecnica e che il ctu sulla base della documentazione medica prodotta e della visita personale dell’assicurato aveva negato che le patologie riscontrate determinassero una riduzione della capacità di lavoro in misura superiore a 2/3.

Le conclusioni del ctu erano ineccepibili sul piano tecnico scientifico e concordanti peraltro con quelle del primo ctu mentre le osservazioni critiche formulate dalla difesa dell’appellante si limitavano a riproporre questioni già vagliate in sede di consulenza.

Per la cassazione della sentenza ricorre A.M., articolando due motivi. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1.

Ha dedotto che il ctu aveva compiuto la propria indagine sul presupposto errato che venisse in questione una prestazione di invalidità civile – per la quale rileva la invalidità generica – e non una prestazione previdenziale (assegno ordinario di invalidità). Nelle sue conclusioni l’ausiliario aveva determinato la invalidità finale applicando il calcolo riduzionistico di cui alle tabelle previste dal D.M. 5 febbraio 1992, relative alla invalidità civile.

Il richiamo alla invalidità civile era contenuto in vari passaggi della consulenza, riportati per estratto nel presente ricorso.

Il parametro di valutazione della invalidità civile non era corretto in relazione alla invalidità pensionabile, riferita alla capacità lavorativa specifica ovvero relativa ad occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa insufficiente e contraddittoria motivazione.

La parte ricorrente ha lamentato la omessa indicazione delle ragioni per le quali la consulenza era stata ritenuta congrua ed esauriente nonostante la utilizzazione dei criteri di valutazione della invalidità civile; ciò anche in considerazione del fatto che l’invalidità conclusivamente riconosciuta dal ctu, in misura del 65%, era assai prossima alla percentuale del 66,1%, corrispondente ad una riduzione della capacità di lavoro superiore ai 2/3.

Ha dedotto che la Corte territoriale aveva omesso ogni indagine circa i fattori soggettivi rilevanti nell’accertamento, quali l’età dell’assicurato e la possibilità di impiego in attività confacenti alle sue attitudini.

I motivi, che possono essere congiuntamente trattati in quanto connessi, sono fondati.

La nozione di invalidità pensionabile ex lege 12 giugno 1984, n. 222 è ancorata non alla generica riduzione della capacità di lavoro quale dato meramente biologico ma alla riduzione di tale capacità in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato.

Ai fini dell’accertamento della detta invalidità è dunque necessario considerare in concreto le condizioni del soggetto protetto, tenendo conto della età e della formazione professionale, in modo da valutare la sua possibilità di continuare nelle mansioni in concreto svolte o di svolgere attività diverse che costituiscano una naturale estrinsecazione delle sue attitudini, sempre che non si tratti di lavori usuranti, che affrettino ed accentuino il logoramento dell’organismo per essere sproporzionati alla residua efficienza fisiopsichica. Di qui l’impossibilità tecnica di far ricorso ad un sistema di tabelle che stabiliscano un automatico confronto fra una infermità o difetto fisico o mentale e la possibile riduzione della capacità di lavoro generica.

I suddetti principi sono stati oggetto di reiterate pronunzie di questa Corte (ex plrimis: Cassazione civile, sez. lav. 10/03/2016, n. 4710; Cass. 24-11-2003 n. 17812; Cass. 3-4-2006 n. 7760; Cass. 4/10/2013 n. 22737) che ha avuto modo di rimarcare come la L. 12 giugno 1984, n. 222 abbia non solo il presupposto del rapporto assicurativo – che nella L. 30 marzo 1971, n. 118 è insussistente – ma anche un diverso fondamento, costituito dalla riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato in luogo della generica capacità lavorativa del soggetto. Si è infatti affermato (cfr. Cass. 20-61994 n. 5934) che “in sede di valutazione della capacità di lavoro, ai fini della sussistenza del diritto all’assegno ordinario d’invalidità disciplinato dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, si deve tener conto del quadro morboso complessivo del soggetto assicurato e non delle singole manifestazioni morbose, considerate l’una indipendentemente dalle altre, nè può procedersi ad una somma aritmetica delle percentuali d’invalidità relative a ciascuna delle infermità riscontrate, dovendosi invece compiere una valutazione complessiva delle stesse, con specifico riferimento alla loro incidenza sull’attività svolta in precedenza e su ogni altra che sia confacente. Non è conseguentemente consentito il ricorso alle tabelle infortunistiche o comunque ad un sistema di tabelle che stabiliscano un automatico confronto fra infermità o difetto fisico o mentale e la probabile conseguente riduzione della capacità di lavoro, in quanto indici medi che, riferiti ad un’attività lavorativa generica, possono essere presi in considerazione soltanto come semplice punto di partenza per un’indagine diretta ad accertare l’effettiva riduzione della capacità subita dall’assicurato in relazione all’attività svolta, che può risultare tanto superiore che inferiore alla percentuale risultante all’applicazione d’una tabella di valutazione astratta”.

Nella fattispecie di causa nella valutazione dell’invalidità pensionabile la Corte territoriale ha condiviso le obiettività riportate nella consulenza di ufficio espletata in grado di appello, che recava applicazione delle tabelle del D.M. 5 febbraio 1992 previste invece per l’invalidità civile, con statuizione non conforme a diritto, perchè contraria ai principi innanzi enunciati.

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Bari, affinchè provveda a rinnovare l’accertamento dei fatti di causa alla luce dei principi di diritto sopra esposti.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del presente grado.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per le spese – alla Corte di Appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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