Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27033 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 26/11/2020), n.27033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22049-2019 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO

VENTICINQUE 23, presso lo studio dell’avvocato MIRA TELARICO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 994/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 22/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 22 febbraio 2019 la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da A.G. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento, notificato l’8 gennaio 2015, con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il reddito prodotto dall’ A. nel periodo d’imposta 2007 disconoscendo costi correlati ad operazioni oggettivamente inesistenti. Riteneva la CTR che, nel caso di specie, i termini decadenziali previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, nella formulazione applicabile ratione temporis, erano raddoppiati, sussistendo seri indizi di reato che facevano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia stata archiviata o presentata oltre i termini di decadenza. Nel merito, rilevava che il contribuente non aveva fornito elementi idonei a confutare le ragioni dell’Ufficio, così disattendendo l’onere probatorio imposto nelle fattispecie in cui si rilevino operazioni oggettivamente inesistenti e indebite detrazioni di fatture.

Avverso la suddetta sentenza il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – rubricato: “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – termine decadenziale dell’azione accertativa a seguito della presentazione della notizia di reato ex art. 331 c.p.p., oltre i termini ordinari, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, regime transitorio” – il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la CTR erroneamente ritenuto applicabile, nel caso di specie, la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento.

La censura è infondata.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, come modificati dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, conv., con modif., in L. n. 248 del 2006, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, già notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati” (Cass. n. 11620 del 2018; nello stesso senso, Cass. n. 33793 del 2019).

Nel caso di specie, relativo ad avviso di accertamento notificato in data 8 gennaio 2015 per l’anno di imposta 2007, la sentenza impugnata si è uniformata ai principi di diritto espressi nei richiamati arresti giurisprudenziali, dai quali non v’è motivo di discostarsi.

Quanto all’asserita omessa valutazione da parte della CTR della sussistenza di seri indizi di reato tali da determinare l’insorgenza dell’obbligo di presentazione della denuncia penale, va rilevato come il ricorrente non abbia dimostrato, trascrivendo o allegando i relativi atti processuali, di aver espressamente richiesto al giudice la verifica di tale circostanza, avendo la Corte costituzionale (sent. n. 247 del 2011) precisato che “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia”.

Con il secondo motivo – rubricato: “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione/falsa applicazione del termine decadenziale dell’azione accertativa a seguito della presentazione della notizia di reato ex art. 331 c.p.c., oltre i termini ordinari, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, con riferimento all’IRAP” – il ricorrente si duole che la CTR abbia applicato il raddoppio dei termini di accertamento anche all’IRAP, imposta per la quale non sono previste sanzioni penali.

Il motivo è fondato, posto che il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP, non essendo le violazioni delle relative disposizioni presidiate da sanzioni penali (Cass. n. 10483 e n. 26326 del 2018).

Con il terzo motivo – rubricato: “ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione del principio della ripartizione dell’onere probatorio in ordine a fatture per operazioni inesistenti, violazione degli artt. 2729 e 2697 c.c.,” – il ricorrente lamenta che la CTR, in fattispecie relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, aveva fatto ricadere l’onere probatorio sul contribuente, senza individuare gli elementi che avrebbero dovuto sorreggere il corredo motivazionale delle ragioni dell’Amministrazione finanziaria.

Il motivo è infondato, avendo la CTR correttamente applicato i criteri di ripartizione dell’onere della prova nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente dimostrarne l’effettiva esistenza (ex multis, Cass. n. 26453 del 2018). Si è inoltre precisato che l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass. n. 18118 del 2016).

La CTR, invero, conformandosi ai richiamati principi, ha ritenuto che gli elementi indiziari acquisiti dall’Amministrazione finanziaria – richiamati nella parte espositiva della sentenza dimostrassero che le operazioni in questione non erano state in realtà effettuate, rilevando che “il contribuente non ha fornito elementi idonei a confutare le ragioni dell’Ufficio, così disattendendo l’onere probatorio imposto nelle fattispecie in cui si rilevino operazioni oggettivamente inesistenti e indebite detrazioni di fatture” (evidenziando – tra l’altro – la mancanza di qualsiasi documentazione di riscontro dell’asserito versamento in contanti di circa Euro 150.000,00).

In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo, la sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IRAP.

Le spese dei gradi di merito possono essere compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IRAP.

Compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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