Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27020 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 06/10/2021), n.27020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3470-2020 proposto da:

D.N.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EZIO 24,

presso lo studio dell’avvocato DE FILIPPO MAURIZIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO PITARO;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 12 presso lo studio

dell’avvocato PUNGI’ GRAZIANO, rappresentata e difesa dall’avvocato

NICOLA GRECO;

– controricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 829/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 24/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Catanzaro, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città, ha ritenuto che fosse fondata la domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa intercorso tra D.N.S. e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (di seguito, PDCM), per l’attività svolta presso il Commissario per l’emergenza ambientale della Calabria, riconoscendo il diritto al risarcimento, in misura di 8 mensilità di retribuzione globale di fatto per il superamento dei limiti massimi di durata dei rapporti a tempo determinato e rigettando invece sia la domanda di conversione a tempo indeterminato, sia quella di corresponsione delle rivendicate differenze retributive;

2. con riferimento alla questione sulla legittimazione passiva, riconosciuta dal Tribunale solo rispetto alla PDCM e non in capo alla Regione Calabria, la Corte di merito riteneva preliminarmente l’inammissibilità dell’appello, per carenza di specifiche critiche in punto di fatto e di diritto;

3. la domanda di differenze retributive veniva invece respinta perché era ritenuta mancante la prova dell’orario svolto in misura eccedente rispetto alle ore pattuite, oltre che per mancanza di allegazioni sulle ferie non godute e rivendicate e sulla parimenti rivendicata retribuzione di risultato;

4. infine la Corte territoriale rilevava l’assenza di qualsiasi allegazione sulle somme percepite, su cui impostare il calcolo differenziale, a tal fine non ritenendo sufficiente la mancata contestazione dei dati desumibili dai contratti, né quanto risultante dalla relazione di c.t.p., in quanto formulata sulla base di somme totali annuali e senza produzione del modello Cud da cui i dati sarebbero stati estrapolati, senza contare l’esistenza di periodi non coperti da alcun contratto e per i quali parimenti vi era stata domanda, sicché, in tale quadro, la richiesta di c.t.u. era ritenuta tale da assumere connotazione meramente esplorativa e dunque inammissibile;

5. la D.N. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, resistiti da controricorso della PDCM e della Regione Calabria;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

7. D.N.S. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, assumendo di non avere mai impugnato il capo di sentenza con cui il Tribunale aveva affermato la legittimazione passiva della PDCM, mentre non era così, perché quel capo non era stato appellato, mentre lo era stato il capo che aveva negato la legittimazione della Regione Calabria;

2. il motivo è inammissibile in quanto esso si fonda su un’errata interpretazione della sentenza impugnata e come tale risulta incoerente rispetto alla reale ratio decidendi sul punto;

3. la Corte territoriale non ha infatti affermato quanto sostiene la ricorrente, in quanto nel ritenere inammissibile l’appello avverso la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata affermata la legittimazione passiva della PDCM essa non ha evidentemente deciso su una richiesta della appellante finalizzata a contestare quanto accertato in suo favore dal Tribunale rispetto alla predetta parte, ma piuttosto sul capo della sentenza riguardante in generale la legittimazione passiva, rispetto al quale le censure non potevano che riguardare la posizione della Regione Calabria, ritenuta dal primo giudice estranea al rapporto controverso;

4. tuttavia, rispetto a tale diniego di legittimazione passiva delle Regione Calabria non risulta, così come la Corte d’Appello afferma essere avvenuto anche nel secondo grado di giudizio, alcun elemento specifico e concreto di critica a dimostrazione della asseritamente erronea conclusione raggiunta dal Tribunale prima e in seguito aggredita presso la Corte catanzarese senza, come precisa la sentenza impugnata, “specifiche critiche” in punto di fatto o diritto sulle argomentazione che il Tribunale ha posto a fondamento della decisione sul punto;

5. il secondo motivo è rubricato come “difetto di motivazione e violazione dell’art. 132 c.p.c.” e con esso si sostiene che la domanda del ricorrente trovava fondamento nella “copiosa produzione documentale”, nonché nelle testimonianze raccolte in causa, rispetto alle quali la valutazione la Corte aveva ritenuto più attendibile un teste rispetto ad un altro, ma ciò erroneamente e su presupposti di fatto non veri;

6. il terzo motivo censura invece l’incongruità, incoerenza e illogicità della motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo e con esso si afferma che la Corte territoriale avrebbe potuto risalire alle somme percepite attraverso i contratti di collaborazione prodotti o sulla base della perizia di parte, che richiamava il Cud e conteneva la ricostruzione del dovuto, anche per i periodi non coperti da contratti, senza essere stata mai contestata dalle controparti;

7. il motivo prosegue rimarcando come non fosse comprensibile che cause del tutto analoghe avessero avuto diverso esito presso la medesima Corte territoriale, con appelli decisi in alcuni casi da collegi presieduti dal medesimo Presidente della presente controversia;

8. infine la ricorrente critica la mancata ammissione di c.t.u. ad opera della Corte territoriale, nonostante tale mezzo potesse dissipare gli eventuali dubbi su quanto ricostruito nella perizia di parte o comunque svolgere i calcoli del dovuto;

9. con il quarto motivo la D.N. reitera una censura di violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 sostenendo che la sentenza impugnata avesse mancato di spiegare in modo logico e coerente le ragioni poste a fondamento della propria statuizione;

10. i motivi sopra riepilogati, da esaminare congiuntamente, non possono trovare accoglimento;

11. la censura alla sentenza impugnata, rispetto alla carenza di prova degli orari di lavoro, risulta intanto generica;

12. la ricorrente afferma infatti apoditticamente che “dalle testimonianze è emerso chiaramente” l’orario di lavoro di 8 ore e la durata settimanale della prestazione e ritiene incomprensibile il motivo per cui la Corte non “abbia… considerato adeguata la prova documentale”, il tutto senza però riportare il tenore delle deposizioni raccolte e di cui la sentenza contiene una disamina critica e senza riferire in concreto quali specifici elementi delle produzioni documentali, pur indicate, sarebbero stati decisivi per la richiesta ricostruzione;

13. il motivo finisce quindi per caratterizzarsi non più come critica di legittimità ritualmente veicolata, ma come riproposizione di una diversa lettura dell’istruttoria, il che la rende estranea ed inammissibile in sede di legittimità (Cass., S.U., 34476/2019; Cass., S.U., 24148/2013);

14. non è poi chiarito come fosse regolata la prestazione nei contratti di co.co.co. e quindi se la ricostruzione della durata oraria e settimanale fosse comunque necessaria per determinare gli importi dovuti, il che già di per sé impedisce di ritenere decisivo tutto quanto riguarda il perceptum, in quanto l’impossibilità di determinare il percipiendum priverebbe il calcolo di un parametro necessario e tale insufficienza contenutistica del ricorso per cassazione è parimenti ragione di inammissibilità dei motivi qui in esame nel loro complesso, destinati a risultare superflui in mancanza dei necessari dati di computo e raffronto;

15. anche la questione sulla mancata contestazione della c.t.p. è mal costruita rispetto ai parametri propri del giudizio di legittimità;

16. premesso che la non contestazione riguarda fatti storici affermati da una parte e non documenti o prove (Cass. 6172/2020; Cass. 3022/2018; Cass. 6606/2016), il rilievo secondo cui la c.t.p. non sarebbe stata contestata è puramente affermato dalla ricorrente, la quale non riporta, quanto meno, i passaggi del ricorso di primo grado in cui si sarebbe fatto riferimento a tale perizia ed ai suoi esiti;

17. è infatti noto ed evidente che solo la deduzione di un fatto nel ricorso di primo grado (qui, le circostanze su cui si baserebbe il calcolo svolto dal perito di parte) consente l’eventuale formarsi di un fenomeno di “non contestazione”, ma le carenze espositive su questo punto impediscono in questa sede di apprezzare la pregnanza dell’argomentazione critica spesa;

18. neppure può dirsi che la motivazione della Corte di merito sia mancante, risultando essa articolata sul riscontro di carenze rispetto alla deduzione e prova del percipiendum e poi sulla deduzione e prova del perceptum, né si evidenziano passaggi manifestamente implausibili o contraddittori;

19. è per queste ragioni che i motivi di cui sopra vanno quindi nel loro insieme disattesi;

20. il quinto motivo è invece fondato;

21. con esso la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere compensato le spese del secondo grado, nonostante con la pronuncia di appello fosse stata accolta una domanda rigettata dal Tribunale (quella risarcitoria), così lasciando intatta la condanna della D.N. al pagamento delle spese di primo grado in favore della PDCM e finendo pertanto per porre a carico della parte comunque vincitrice una quota delle spese di giudizio, in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.;

22. in effetti quanto così affermato è vero, perché con l’accoglimento della domanda risarcitoria verso la PDCM, la D.N., rispetto a tale parte, è da ritenersi vincitrice in causa e quindi ad essa non possono addossarsi, in nessuna misura, le spese della controparte;

23. la sentenza va dunque cassata in parte qua;

24. non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può peraltro procedersi alla definizione di merito già in questa sede;

25. in proposito si ritiene di disporre la compensazione per metà delle spese di tutti i gradi di giudizio tra la D.N. e la PDCM, stante la solo parziale vittoria della lavoratrice, di cui sono accolte due delle domande dispiegate (l’accertamento della natura subordinata del rapporto e la condanna risarcitoria per i danni da abuso dei rapporti a termine), con rigetto delle altre (conversione a tempo indeterminato e differenze retributive);

26. la restante metà di tali spese, liquidate già in tale quota parziaria nel dispositivo, dovranno essere invece rifuse dalla PDCM alla D.N.;

27. tutto ciò non vale invece rispetto alla Regione Calabria, nei cui riguardi nessuna domanda è mai stata accolta e dunque non si determina il vizio denunciato;

28. rispetto alla Regione restano dunque intatte le pronunce sulle spese di cui ai gradi di merito e la D.N. va condannate a rifondere ad essa le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara compensate per metà le spese dell’intero processo tra la ricorrente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, condannando quest’ultima al pagamento in favore della D.N. della restante metà, quota che liquida in Euro 2.000,00 quanto al primo grado, in Euro 1.000,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi quanto al grado di appello ed infine in Euro 1.000,00 per compensi ed Euro 100,00 per esborsi quanto al giudizio di cassazione, oltre spese generali ed accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della Regione Calabria delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

 

 

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